venerdì 25 maggio 2018

MALCOSTUME ETERNO E DISUGUALE (Racconto di Piero Nicola)


  Sull'autobus affollato la gente si accalca. Una donna anziana raggiunge a fatica la macchinetta obliteratrice, sebbene i più vicini si siano stretti per lasciarle un varco, messi anche in soggezione dalla presenza d'un militare. Alla fermata, un'imprecazione: la protesta d'un marcantonio maturo, ostacolato dovendo scendere. Gli è scappata una mezza bestemmia. L'autista lo punisce accennando a chiudergli la porta in faccia. Il severo conducente, che filava veloce dando l'impressione d'essere spericolato, benché si potesse contare sulla perizia della sua categoria, ora rallenta l'andatura. È in anticipo di due o tre minuti e, se non arriva al capolinea in orario, lo aspetta un'ammonizione. La guida del veicolo lo seduce, lo trae dall'anonimato investendolo di responsabilità e di potere; gioca un po' con le regole del traffico rasentando il limite dell'osservanza, e mette a posto gli automobilisti che contrastano il passo al grande mezzo pubblico.
  È salito il controllore. I due dipendenti dei Trasporti Urbani si ammiccano. Anche questo impiegato temuto dai passeggeri s'investe d'autorità, legittima, beninteso, ma c'è modo e modo... Egli pure avrà qualche motivo di rifarsi col proprio servizio, o semplicemente esagera sentendosi partecipe nella tutela dell'ordine sociale. Così, in lui resta socchiusa l'apertura per la quale s'insinua la dura volontà di contribuire al raddrizzamento del mondo. Si pianta davanti a un evidente vagabondo, forse un mendicante; invita lo sprovvisto di biglietto a esibire il documento che lo identifica; rileva le generalità da una tessera gualcita e bisunta che il poveraccio ha pescato nella sacca portata a tracolla. Un vago mormorio proviene dal circostante disagio corporeo e spirituale, ma la cosa finisce subito lì. L'africano e la donna con la testa avvolta nel velo guardano placidi. Il borsaiolo sente puzza di bruciato e, ripreso il biglietto dalle mani indagatrici, si prepara a smontare.
  Nel tassì che ha sorpassato l'autobus prima della fermata, da cui sarebbe stato costretto a una sosta nella corsia dei mezzi pubblici, viaggia un funzionario del Ministero. Quando scende, il portiere gli va incontro, si tocca il berretto, gli prende la borsa. All'interno, su, al piano della dirigenza, l'usciere in uniforme accompagna all'ufficio l'arrivato capo-divisione che, eretto e veloce, attraversa l'anticamera. Gli astanti hanno abbozzato l'inchino, ritti e ossequenti. Sulla scrivania monumentale c'è l'elenco degli ammessi all'udienza. I nomi dei postulanti occupano le ultime righe del foglio. Il capo lo scansa; mediante la segretaria convoca due subalterni. Sbrigata la faccenda con piglio militaresco a dispetto del grosso ventre, afferra la copia del provvedimento con cui il direttore del personale, su segnalazione del capo-sezione, ha sospeso dal servizio il ragioniere Martelli, ritardatario nel giungere al lavoro.
  "'Sto Benedetti è un pignolo... fiscale!" pensa il capo-divisione, che quanto a puntiglio esigente non scherza affatto. «Scommetto che il Martelli è arrivato un paio di volte con pochi minuti di ritardo... Bah, il cerbero non sarà un'aquila, ma compie il suo dovere. E poi, come moderarlo, se sta nella manica del Prefetto?"

  Martelli rimugina tristi considerazioni. Gli brucia l'onta subita. Nessuno dimostrerà sentimenti meschini, non ci sarà collega che si azzardi ad apparire vile lasciandosi andare a una canzonatura; però lo smacco rimane e i maligni ne godono. Adesso, in casa bisogna fare i conti col prossimo stipendio dimezzato. La moglie comprensiva, ribellatasi all'"ingiustizia", ora distoglie lo sguardo inquieto quando i loro occhi s'incontrano. Le passerà. Più d'una volta si sono trovati d'accordo criticando questo sistema "da caserma", vantato con elevati argomenti e orgoglio di popolo. Ad ogni modo, il sospeso finisce per prenderla con filosofia. In fondo conosceva la regola, valevole per tutti. Il posto ce l'ha, i figli crescono sani e profittano negli studi. Ricorda suo padre che lo metteva in guardia dalla tentazione di separarsi da Giulia a causa dei suoi difetti, non di rado esasperanti:
  «Se guardi a quello che ti manca, non sarai mai contento. Tu non lo sai, ma cerchi una perfezione, e questo mondo non è perfetto per nessun verso. Puoi avere questo e non quello, un piacere col suo dispiacere, oppure un altro piacere e un altro dispiacere. Occorre accontentarsi. Una situazione può essere migliore d'un'altra, certamente... In qualche caso è soltanto questione di gusti.»
  La scelta d'una situazione migliore s'addiceva meno che mai al matrimonio. Scioglierlo lasciando i figli sbalestrati, rompendo la comunità familiare, basilare, per mettersi con una nuova persona difettosa o per confinarsi nel proprio io, era comunque un delitto. La Chiesa aveva ragione.
  «Caro mio, avresti ragione,» l'amico d'infanzia altolocato replicò, un giorno in cui Martelli gli confidava le sue insofferenze verso certe coercizioni, «potresti essere nel giusto, ma governare è un dramma. Il cancro non si cura con l'aspirina.»
  «E quale sarebbe il cancro?»
  «È la seduzione diffusa a vantaggio degli astuti disonesti, nemici dei valori che intralciano i loro interessi.»
  «E che cosa mi di dici della retorica?»
  «Eh, dagli con la soluzione ideale!» anche lui aveva concluso fustigando il perfezionismo.
  «Ma la retorica non è fingere un'eccellenza inesistente?»
  «Si capisce...» aveva sorriso.

  Luigi Martelli, detto Gigi, frequenta la seconda classe del Liceo Petrarca. Il professore di latino e italiano non solo è un tipo che si fa rispettare: in classe non tollera distrazioni. Se un alunno si volta indietro, stende la mano verso di lui, calmo, impassibile: 
  «Lei, si alzi,» dice col suo tono personalissimo: «Si accomodi fuori.»
  Avviene che uno non capisca il motivo della penitenza, ma nessuno osa chiederlo.
  Nel silenzio in cui si sentirebbe volare un moscerino, l'insegnante allampanato e calvo si leva sulla cattedra per tenere la lezione. Le occasioni fornite dalle materie alla retorica sono parecchie; egli non ne perde una. Le virtù dei Romani ricorrono puntualmente. Oppure sono i vati italici d'ogni epoca a essere portati sugli scudi dell'amor patrio. Ragazzi le cui fibre vengono plasmandosi assimilando sia le proteine che le patrie glorie, patiscono tuttavia un sottile sconcerto. Altri godono dell'enfasi, qualcuno invece sorride; per poi tollerarsi a vicenda, abituati alla disciplina dell'unità. E serbano l'attesa della lezione seguente, condotta da quella di storia e geografia. Chi più chi meno, chi meglio chi peggio, sono tutti innamorati della signorina. Lei, che lo sappia o no, che lo voglia o no, porta la gonna ben sotto al ginocchio e gli occhiali cerchiati di spessa montatura marrone, intonata ai capelli castani.
  Quando scocca il segnale dell'intervallo e le classi si riversano nel cortile, i baldanzosi si danno agli scherzi e agli sfoghi fisici; i riflessivi discorrono, ragionano; ma è vietata la sigaretta e l'uso del telefonino. Il bidello, che ha licenza di vendere fette di focaccia salata, ha durato fatica a reggere l'assalto dell'appetito pressoché generale.
  Viene l'ora di ginnastica. L'istruttore, ex campione di volteggi al cavallo, vuole che la tenuta sia proprio conforme al regolamento. Trascurando gli attrezzi, dopo i giri di corsa ordina ripetuti esercizi a corpo libero, che fanno sudare il doppio. Ama la facezia, si esprime con locuzioni inedite:
  «Tu, dì un po',» ha ripreso un compagno che saltellando gettava i piedi in fuori, « perché corri così, alla parigina?»
  Gli adolescenti hanno riso sorpresi, senza cattiveria. E non c'è stata malizia. La malizia sta altrove, oltre il confine. Viene rinfacciata a quegli stranieri che ritorcono il disprezzo e le accuse. Le propagande si scontrano. Qui non mancano i curiosi dei costumi liberi, licenziosi. Ce ne sono che infilano il naso tra le maglie della censura. In ultimo, ha la meglio il richiamo dell'orgoglio per la civiltà nazionale: fa sentire colpevoli i trasgressori, simili a fedeli che abbiano peccato. Quanto agli indifferenti, sembrano eretici, e pagano il fio del loro agnosticismo.

  La signora Martelli si reca all'elegante negozio di stoffe con la sua bella figliola bionda. Le piace cucire vestiti e le conviene. Alla commessa chiede di vedere un tessuto adatto a un abito da pomeriggio per la ragazza. Dietro il banco la donna alta, adusta, dal naso adunco e dalle labbra magre, dopo aver squadrato le aspiranti clienti, mette fuori dei mazzi-campionario le cui copertine sono rivestite di marocchino autentico. Il lusso traspare dai lembi delle pezzuole. La madre, pur stentando a credere che la clientela della bottega sia soltanto facoltosa ed esigente, accetta l'esame delle magnifiche strisce, scoperte via via dalle mani di una malcelata degnazione. Il padrone, ammanierato, dinoccolato, rimane distante e distratto. La madre accenna a una rinuncia distaccandosi, dando ad intendere di cercare qualcosa di differente. «Non abbiamo di meglio signora,» la previene la commessa, con negli occhi pungenti un'ombra d'ironia. La signora Martelli, senza fiatare, coglie il braccio della sua ragazza incantevole e, conducendola alla porta, rinvia i commenti al marciapiede.

  Il nonno ottuagenario sta male. La cameriera ha chiamato il dottore, avverte il figlio sposato. Il medico da poco più di un mese è primario all'Ospedale Maggiore. Ha promesso d'essere sollecito. «Vengo, appena posso. Tra breve sarò libero.» Il figlio Martelli si precipita, avendo ricevuto il solidale permesso dal capufficio, e trova il babbo affamato d'aria, pallidissimo. Nello studio di casa, il primario ascolta sua moglie, desiderosa di sapere che cosa occorre rispondere agli amici Bonanni; i quali devono sapersi regolare riguardo alla progettata cena di sabato sera, al ristorante. Nell'anticamera aspetta ancora una paziente. Squilla il telefono. L'oberato d'impegni si scompone. Schiaccia il tasto d'ascolto. È la nipote del generale, ottantenne come il signor Martelli, di cui stava quasi per scordarsi. Entrambi hanno bisogno di lui. Sembra troppo. Deve decidersi a semplificare la propria esistenza. Toglie il camice, infila la giacca davanti alla consorte, che attende amara.
  «Andiamo,» la risposta rinviata arriva secca, "digli che andiamo; che prenotino loro, dove preferiscono!»
  Quindi raggiunge colei che si sarebbe fatta visitare. Abbia pazienza, ritorni: si è presentata un'urgenza; riprenda l'appuntamento. Tralasciando i riguardi, il medico precede sul pianerottolo la donna graziosa e ammutolita. Scende spedito giù per le scale, nella cui tromba dorme l'ascensore. In strada, si dirige alla volta dell'autorimessa. Intanto lo scontento scema in una risoluzione. Non può esimersi dal correre anzitutto dal generale. Notoriamente suo figlio è una potenza. Invece, se quel figlio conoscesse il caso, disapproverebbe il favoritismo; e non per scarso attaccamento al proprio genitore.

Piero Nicola
 

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