Buona parte delle teorie erronee
tradotte in norme e prassi non sono prive di frode, altre provengono da buona
fede solo in apparenza, poiché si tratta di coscienza falsificata; molti le
approvano per un errore di valutazione, sebbene anche qui in fondo giochi
spesso un ottimismo, talvolta un pessimismo, moralmente censurabili.
Sta di fatto che oggidì i procedimenti sociali introdotti nella temperie
postmoderna sono sbagliati. Infatti vengono accolti solo quelli conformi a un
mondo sbagliato: il mondo dell'immoralità giustificata, degli stupefacenti
tollerati, della giustizia molle, incerta e indulgente, delle libertà e dei diritti
indebiti e rovinosi, sanciti dalle leggi, che castigano chi vorrebbe
raddrizzare le storture.
Una dottrina delle peggiori, gabellata per scientifica, fu quella sulla
pazzia e sul trattamento dei malati di mente. Ebbe buona accoglienza e consenso
popolare. Come per quasi tutte le licenze legalizzate essa soddisfaceva il
sentimento pietoso e il senso di giustizia, non già puri e generosi, bensì
radicati nel vile amor proprio: "Se succedesse a me, se io fossi costretto
ad avere le mani legate..." ecc. ecc. Il consenso provenne dalla
presunzione di sé, di saper usare della libertà meglio di chiunque, di essere
comunque al riparo dalle offese altrui, e dal timore di dover subire l'affronto
della coercizione.
Si stabilì che l'alienato, curato bene e carezzato, non fosse pericoloso,
tranne che in casi rari. Dunque si abolirono quei tristi e orribili luoghi di
segregazione e di tortura che erano i manicomi. Naturalmente i pazzi omicidi
sussistettero, i peggiori sono tuttora rinchiusi in speciali reparti
psichiatrici, e sono in numero maggiore del previsto. Naturalmente le statistiche
stanno in mano ai comandanti; essendo scomode, non vengono divulgate e forse
nemmeno eseguite. Ma ciò che importa è che potenziali folli assassini, feritori
e danneggiatori - da cui un tempo la società era protetta - sono in
circolazione, nelle famiglie, minate dall'angoscia e dal terrore, altrimenti
quasi abbandonati alla propria disperazione e al suicidio. Fenomeno sociale che
viene artatamente nascosto o sminuito.
La frode, facilitata dall'oltremodo coltivato pregiudizio umanitario, va
a segno un giorno sì e uno no, quando dovrebbe saltar fuori la criminale
applicazione della teoria, responsabile di uccisioni, ferimenti e violenze commesse
da poveri irresponsabili. Non passa settimana che un tale, che è stato in cura
per problemi psichici (questa circostanza viene quasi sottaciuta) ammazza, usa
violenza, commette gravi reati.
Dice: "E allora i poveretti confinati in un manicomio non
vivrebbero peggio che in prigione, anche se non avrebbero compiuto azioni
temibili, orrende?" E qui compare l'ignoranza: sia non essendosi compresa
la reale pericolosità, tenuta nascosta, sia trovandosi all'oscuro della
saggezza inerente al governo di uno Stato.
Seguendo
lo stesso principio pietoso e scrupoloso - utile all'invalso sistema
democratico - per evitare l'errore giudiziario si dovrebbe assolvere quasi tutti
gli imputati, lasciando a piede libero la delinquenza spicciola e criminale. Si
è quasi giunti a un simile disordine funesto. Gli stessi tre gradi di giudizio
lasciano in circolazione gran parte dei delinquenti sotto processo. La regolamentazione
dei provvedimenti detentivi fa acqua dappertutto, con arresti domiciliari,
permessi e premi. Giornalmente le vittime dei delitti, i parenti degli
assassinati, lamentano l'ingiustizia, ma sono relativamente pochi. Chi subisce
il furto, la messa a soqquadro della casa, persino la rapina, se ne dimentica,
si convince che occorre convivere con gli inconvenienti del progresso,
dell'immigrazione. Gli stessi parenti stretti dei drogati sono sopraffatti dal
sistema, dalla falsa fatalità.
Le debite leggi, la debita amministrazione della giustizia, il debito
carcere, possono e devono produrre la salute civile, garantire gli autentici
diritti umani. La malizia invece accende un faro sull'ineliminabile errore
giudiziario, sulla possibilità di patire una restrizione del libito, sul
rischio di incorrere in un'iniquità. I pubblici persuasori, che dovrebbero
essere educatori, mirano in basso a pascere l'ego e gli appetiti, anziché esaltare
il nobile sacrificio, in qualche misura sempre necessario al vero bene comune.
Aggiungo una nota significativa sulle attuali aberrazioni dell'equità.
Poco tempo è trascorso dalla morte di una ragazza placcata in una partita di rugby.
Se c'è uno sport crudo e antifemminile questo è il rugby. La notizia ha fatto
il suo corso ovattato, intriso di tenerezza, di varie solidarietà, con vago
accenno al modo in cui avvenne la disgrazia. E come parlare di disgrazia, a
seguito di uno scontro brutale e di una caduta con conseguenze prevedibili,
trattandosi di corpi di ragazza? Lo stesso dicasi del pugilato, del calcio muliebre:
contrari alla peculiarità del gentil sesso. Veri e propri snaturamenti, altro
non sono che lusinghe per giovani e adulte, non di rado frustrate, in cerca di
affermazione a caro prezzo. Il danno psicologico e fisico non tarda a colpire
quel genere di atlete e di sportive. Ma ha la meglio la brama di avere, di
essere di più, di non rimetterci, di cogliere ogni opportunità. Prevale il
pregiudizio: la completa parità di donna e uomo. Sciocchezza di badiale
evidenza, eppure accettata, idolatrata. Men male che i maschi ancora non si
cimentano con i ferri da calza e i lavori all'uncinetto.
Ma che succederà quando i dispensatori di desideri avranno esaurito le
loro droghe?
Piero Nicola
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