Autorevole docente di istituzioni di filosofia
politica ed etica politica presso la facoltà di filosofia della Pontificia
Università Lateranense, Giulio Alfano – revisionista indenne da pregiudizi
ideologici - è attivo nella prima, combattiva linea dei politologi intesi a
cercare la verità storica, che abita nelle regioni dimenticate o cancellate dai
protettori della conformità al pensiero unico.
Alla ingente produzione di Alfano si aggiunge
adesso un saggio pubblicato dall'intrepido Marco Solfanelli, editore in Chieti:
“Falangismo e Fascismo Una lettura filosofico e politica”, 72 pagine in
vendita a 8 euro.
L'intento
di Alfano è correggere i giudizi circolanti nell'area in cui l'inesausta avversione
ai fatti incontra l'ostinata fedeltà ai sogni obbedienti a un'ideologia – il
progressismo – che l'implacabile fiume del tempo ha affondato nel gorgo dei
pensieri esausti.
Alfano non si pone il problema di rettificare
le sentenze dettate da una avventizia lettura della storia, tanto meno di
propiziare il passaggio da un pregiudizio ideologico all'altro, ma di
ristabilire le verità alterate da una frenesia settaria, che, proiettando
orizzonti surreali e scolpendo definizioni dogmatiche, ha alterato e
falsificato le nozioni di fascismo e di falangismo.
A smentita delle opinioni in circolazione
nelle piste dell'esausta ideologia, Alfano dimostra, anzi tutto, che il
fascismo italiano, a differenza del franchismo, non fu reazionario e tanto meno
di destra: ”nel fascismo erano presenti, e sempre lo saranno in tutti gli
anni del regime, l'intento della lotta alla borghesia e l'ideale della
rivoluzione, elementi assolutamente estranei al falangismo spagnolo e in genere
al franchismo”.
Il
movimento ispanico, oltre le ovvie convergenze (anticomunismo, anticapitalismo,
antiliberalismo) propose, invece, “una critica al corporativismo fascista
che, a giudizio del falangismo, non sarebbe stato capace di chiudere le
relazioni col mondo capitalista”.
Ad incrementare la differenza tra falangismo e
fascismo “si profilava il crescente peso della Chiesa e gli stessi teorici
del nuovo Stato non tralasciavano di aggiungere ai termini totalitario fascista
e nazionalsocialista, l'attributo di cattolico, a ribadire una specificità
tutta spagnola. … Riproponendo l'impostazione ideologica del libro di Ramiro de
Maeztu, La defensa de la hispanidad, del 1934, veniva rilanciata
un'identità ispanica fondata a sua valori patriottico-religiosi definitori
della Spagna autentica e che avevano trovato una loro realizzazione piena
nell'evangelizzazione operata dalla Conquista nelle glorie del passato
imperiale, nello splendore del Secolo d'Oro”.
Opportunamente
Alfano sottolinea la sacralità che era associata alla figura di Franco, protagonista
di un'impresa “cui faceva da cornice il recupero di pratiche devozionali
barocche o proprie dell'integrismo cattolico carlista”. Sotto questo
profilo l'interpretazione di Alfano coincide con il giudizio di Francisco Elias
de Tejada, il filosofo del diritto, che aveva sostenuto un certo influsso del
pensiero carlista nella politica di Franco.
Il
carisma della controrivoluzione era rafforzato dal ritrovamento causale (nella
valigia di un generale repubblicano) e dall'affidamento al Generalissimo Franco
delle reliquie di Santa Teresa d'Avila.
Controcorrente è indirizzato il drastico
giudizio di Alfano sulle cause della seconda guerra mondiale: “era evidente
che Inghilterra e Francia, sobillate dalle caste massoniche, preparavano la
guerra contro Germania e Italia. … L'Inghilterra aveva interpretato la libertà
dei mari come libertà di comandarvi con la soverchiante potenza della propria
flotta, così da adeguare in pace e in guerra, la navigazione degli altri paesi
ai suoi esclusivi interessi, soprattutto economici”.
Nel
secondo conflitto mondiale la Spagna, estenuata dalla guerra civile, ebbe una
parte marginale, cioè l'invio in Russia di una legione di volontari.
Coraggioso e anticonformista è anche il
giudizio formulato da Alfano sulla politica fascista: “l'intervento pubblico
nell'economia capitalistica, che poi nel secondo dopoguerra sarebbe stato
ripreso dalla politica economica democristiana, soprattutto nel periodo del
post-centrismo, con la nascita delle cosiddette partecipazioni statali”.
Sulla liquidazione del regime fascista Alfano
condivide il giudizio di Pietro Calamandrei, “personaggio non certo fascista
e tanto meno monarchico”, il quale non esitò a riconoscere nei fatti del 25
luglio 1943 “i tratti del colpo di stato, stigmatizzando che il re avesse
fatto arrestare il capo del governo sulla soglia della propria residenza, dove
egli stesso lo aveva invitato. Si tratta di un atto propter jus ma anche contra
jus, compiuto in violazione delle norme allora vigenti”.
Di
qui la condivisione del giudizio esposto da Salvatore Satta nel saggio De
profundis e la conclusione che “il governo Badoglio, creato con
procedura d'urgenza, non era un governo legittimo”.
Il
libro di Alfano si propone pertanto agli italiani che intendono conoscere la
verità sul loro passato e sulla drammatica svolta, da cui ha avuto inizio la nuova
storia della loro nazione.
Piero Vassallo
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