martedì 3 maggio 2016

Un importante saggio di Giulio Alfano: Falangismo e Fascismo

 Autorevole docente di istituzioni di filosofia politica ed etica politica presso la facoltà di filosofia della Pontificia Università Lateranense, Giulio Alfano – revisionista indenne da pregiudizi ideologici - è attivo nella prima, combattiva linea dei politologi intesi a cercare la verità storica, che abita nelle regioni dimenticate o cancellate dai protettori della conformità al pensiero unico.
 Alla ingente produzione di Alfano si aggiunge adesso un saggio pubblicato dall'intrepido Marco Solfanelli, editore in Chieti: “Falangismo e Fascismo Una lettura filosofico e politica”, 72 pagine in vendita a 8 euro.
 L'intento di Alfano è correggere i giudizi circolanti nell'area in cui l'inesausta avversione ai fatti incontra l'ostinata fedeltà ai sogni obbedienti a un'ideologia – il progressismo – che l'implacabile fiume del tempo ha affondato nel gorgo dei pensieri esausti.
 Alfano non si pone il problema di rettificare le sentenze dettate da una avventizia lettura della storia, tanto meno di propiziare il passaggio da un pregiudizio ideologico all'altro, ma di ristabilire le verità alterate da una frenesia settaria, che, proiettando orizzonti surreali e scolpendo definizioni dogmatiche, ha alterato e falsificato le nozioni di fascismo e di falangismo.
 A smentita delle opinioni in circolazione nelle piste dell'esausta ideologia, Alfano dimostra, anzi tutto, che il fascismo italiano, a differenza del franchismo, non fu reazionario e tanto meno di destra: ”nel fascismo erano presenti, e sempre lo saranno in tutti gli anni del regime, l'intento della lotta alla borghesia e l'ideale della rivoluzione, elementi assolutamente estranei al falangismo spagnolo e in genere al franchismo”.
 Il movimento ispanico, oltre le ovvie convergenze (anticomunismo, anticapitalismo, antiliberalismo) propose, invece, “una critica al corporativismo fascista che, a giudizio del falangismo, non sarebbe stato capace di chiudere le relazioni col mondo capitalista”.
 Ad incrementare la differenza tra falangismo e fascismo “si profilava il crescente peso della Chiesa e gli stessi teorici del nuovo Stato non tralasciavano di aggiungere ai termini totalitario fascista e nazionalsocialista, l'attributo di cattolico, a ribadire una specificità tutta spagnola. … Riproponendo l'impostazione ideologica del libro di Ramiro de Maeztu, La defensa de la hispanidad, del 1934, veniva rilanciata un'identità ispanica fondata a sua valori patriottico-religiosi definitori della Spagna autentica e che avevano trovato una loro realizzazione piena nell'evangelizzazione operata dalla Conquista nelle glorie del passato imperiale, nello splendore del Secolo d'Oro”.
 Opportunamente Alfano sottolinea la sacralità che era associata alla figura di Franco, protagonista di un'impresa “cui faceva da cornice il recupero di pratiche devozionali barocche o proprie dell'integrismo cattolico carlista”. Sotto questo profilo l'interpretazione di Alfano coincide con il giudizio di Francisco Elias de Tejada, il filosofo del diritto, che aveva sostenuto un certo influsso del pensiero carlista nella politica di Franco.
 Il carisma della controrivoluzione era rafforzato dal ritrovamento causale (nella valigia di un generale repubblicano) e dall'affidamento al Generalissimo Franco delle reliquie di Santa Teresa d'Avila.
 Controcorrente è indirizzato il drastico giudizio di Alfano sulle cause della seconda guerra mondiale: “era evidente che Inghilterra e Francia, sobillate dalle caste massoniche, preparavano la guerra contro Germania e Italia. … L'Inghilterra aveva interpretato la libertà dei mari come libertà di comandarvi con la soverchiante potenza della propria flotta, così da adeguare in pace e in guerra, la navigazione degli altri paesi ai suoi esclusivi interessi, soprattutto economici”.
 Nel secondo conflitto mondiale la Spagna, estenuata dalla guerra civile, ebbe una parte marginale, cioè l'invio in Russia di una legione di volontari.
 Coraggioso e anticonformista è anche il giudizio formulato da Alfano sulla politica fascista: “l'intervento pubblico nell'economia capitalistica, che poi nel secondo dopoguerra sarebbe stato ripreso dalla politica economica democristiana, soprattutto nel periodo del post-centrismo, con la nascita delle cosiddette partecipazioni statali”.
 Sulla liquidazione del regime fascista Alfano condivide il giudizio di Pietro Calamandrei, “personaggio non certo fascista e tanto meno monarchico”, il quale non esitò a riconoscere nei fatti del 25 luglio 1943 “i tratti del colpo di stato, stigmatizzando che il re avesse fatto arrestare il capo del governo sulla soglia della propria residenza, dove egli stesso lo aveva invitato. Si tratta di un atto propter jus ma anche contra jus, compiuto in violazione delle norme allora vigenti”.
 Di qui la condivisione del giudizio esposto da Salvatore Satta nel saggio De profundis e la conclusione che “il governo Badoglio, creato con procedura d'urgenza, non era un governo legittimo”.
 Il libro di Alfano si propone pertanto agli italiani che intendono conoscere la verità sul loro passato e sulla drammatica svolta, da cui ha avuto inizio la nuova storia della loro nazione.


Piero Vassallo

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