Non sono più i tempi dell'imperativo Dura lex sed lex? Si capisce. Infatti anche
per questo andiamo a catafascio. Ogni tanto viene fuori un piagnisteo perché si
è scoperto un grande errore giudiziario. Un povero innocente ha scontato dieci,
vent'anni di galera. Ma quelli che compiangono il disgraziato e ritengono
evitabile, inaudito il giudizio errato sono ignoranti della più bell'acqua, oppure
i soliti giornalisti senza scrupoli, che l'ignoranza la spargono a piene mani.
L'errore giudiziario è sempre stato e sempre sarà. Il guaio invece sta nelle
leggi, per giunta di solito peggiorate dai loro interpreti.
Quei
giornalisti, con la loro sottintesa e falsa imparzialità che rispetterebbe ogni
essere umano, non mancano di riportare la dichiarazione degli imputati che si
dicono innocenti. Che importanza ha che l'accusato, anche il sospetto, di un
delitto si scagioni da solo protestandosi semplicemente innocente? Casomai
basterebbe osservare che non ha confessato. Ma il democratico umanitarismo,
degenerato in garantismo buonista, giustifica le losche sciocchezze.
In altre
occasioni ho avuto modo di criticare la domanda rivolta alle vittime orbate dei
loro cari: se abbiano perdonato. Tuttavia vale la pena riprendere tale
scempiaggine poco pulita, la quale ignora come il perdono sia un fatto della
coscienza intima, oggetto di un dramma di cui è disonesto sollecitare
l'esposizione al pubblico giudizio, giudizio semmai riservato al confessore.
D'altronde il perdono esternato al grande pubblico sprovveduto induce all'indulgenza
verso il reo offensore. Esternamente, l'offeso deve soltanto pretendere l'equa
condanna e la sua esecuzione.
Si è
stabilito che occorrano tre gradi di giudizio (che durano anni) - dalla Corte
d'Assisi alla Cassazione - per definire colpevole un soggetto e per metterlo in
galera, salvo che non si dimostri la sua pericolosità, stabilita a discrezione
del giudice. In questo modo, abbiamo in giro delinquenti che di certo
perpetreranno delitti, di cui è responsabile l'allegra legislazione che regola
questa materia. Forse tre giudizi successivi garantiscono un verdetto più
giusto (la riserva è d'obbligo, vista la contraddittorietà e la stravaganza di
sentenze d'ogni grado), ma il valore del primo verdetto non può essere inficiato
dalla sua sospensione e la cautela della presunzione di innocenza non compensa
affatto il danno morale e sociale provocato dal condannato messo fuori. In ogni
caso, una giustizia che ritarda anni ad attuarsi non è giustizia.
Riguardo
alle pene, l'immoralità è ancora maggiore. La pena non è più lo strumento
dell'espiazione. Essa viene condizionata, addolcita con libertà parziali e
favori, con dubbi percorsi di rieducazione, abbreviata da buona condotta, presunto
pentimento e ravvedimento (di impossibile verifica). Ne conseguono altri
delitti evitabili.
La
perfetta Giustizia divina, che i governi si sono messi sotto i tacchi, prevede
il perdono del pentito (accertato tale infallibilmente), ma la pena sussistente
è alleviata dall'offerta di sacrifici, espiata del tutto in Purgatorio.
In una
escursione tra le rovine del Diritto, è inevitabile puntare gli occhi sull'originario
caso funesto, che fu di nuovo genere poco dopo il verificarsi di un'altro male
epocale, quello del Concilio Vaticano II. Intendo dire il rinnegamento dell'onestà,
ossia l'abrogazione delle leggi eque e l'introduzione di leggi depravate. Se
prima della legalizzazione del divorzio mancarono quasi del tutto norme
regolatrici della vita civile che fossero immorali, in seguito fu un crescendo
di legalizzazione dell'abuso, dall'aborto sino alle legittimate unioni di fatto,
che prospettano il matrimonio omosessuale e la regolarizzazione di varie
nefandezze. Si può affermare che, in Italia, la data dell'avvento del divorzio
spartì due epoche storiche: l'era della Giustizia ancora in grado di imporre la
sua dignità e autorevolezza, e l'era tenebrosa del rovesciamento della
Giustizia. Viviamo in un tempo maledetto come non si vide dalle bibliche
reprobe età o città, parzialmente e momentaneamente attenuato dall'inerzia dei
costumi moderati e dalla disciplina imposta dal lavoro.
Come è
naturale, la strada del vizio, di qualsiasi vizio, compreso quello di
trasgredire riformando i Codici, conduce più in basso. La Magistratura, in
teoria indipendente Potere dello Stato, si compone di uomini che possono fare
politica e molti la fanno. Inoltre la politica entra nella composizione del suo
organo supremo. La Cassazione, sovrana amministratrice degli estremi ricorsi
giudiziari, ha dato ampi esempi di interpretazione delle leggi in senso
progressista. In questi giorni, ha stabilito che lo stato di necessità dovuto
alla fame autorizza al furto di cibi. È indispensabile considerare le
circostanze del fatto, pertanto occorre un processo in piena regola. Ma la
Cassazione non fa processi, può soltanto annullare le sentenze e esprimere
pareri. Città e paesi possiedono centri caritativi e assistenziali che somministrano
vivande ai poveri. Se essi non vi ricorrono, generalmente trattasi di una loro
negligenza. Ma telegiornali e compagnia bella, con qualche eccezione, si sono
fermati al provvedimento della Cassazione, senza che nessun organo autorevole
della magistratura e dello stato li abbia corretti. Sarà dunque normale che la
decisione della Cassazione costituisca un precedente con cui si
giustificheranno furti e ruberie illegittime, commesse da indigenti e da vagabondi.
Si sta su un piano inclinato e si scivola giù, nella m... della quinta essenza democratica.
Piero Nicola
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