Il
celebre Evelyn Waugh, una dei massimi autori del Novecento, fu corrispondente
di guerra a Addis Abeba e nel Sud dell'Etiopia per un giornale britannico
durante il conflitto Italo-Etiopico del 1935; al termine del quale rimase per
proprio conto nel Paese documentandosi sulle vicende belliche e sulle
primissime fasi della colonizzazione. In precedenza, egli aveva percorso in
lungo e in largo il Continente africano ed era stato in Abissinia, presente
all'incoronazione dell'imperatore Hailé Selassié (1930). Nel 1938 pubblicò Scoop, un libello sul giornalismo dei
cronisti di guerra, pubblicato da vari editori italiani (p.e. Bompiani, 1952) col
titolo di L'inviato speciale. Partecipò
alla Seconda Guerra Mondiale e scrisse una trilogia assai controcorrente sulle
sue esperienze militari, con osservazioni istruttive per la storia di quel
periodo. Convertito cattolico, pubblicò la biografia del teologo convertito
Ronald Knox. Morì nel 1966 all'età di 63 anni.
Nel saggio
Waugh in Abyssinia (Waugh in Abissinia, Sellerio 1992 e In Abissinia, Adelphi 2011) egli presenta un preciso
quadro, ricavato da esperienze personali e notizie di prima mano, dell'impero
etiopico dominato dalla razza del Negus imperatore Tafari. Dire che tale dominio
fosse di carattere feudale, sarebbe un insulto al feudalesimo cristiano. Dire
che si trattasse di una civiltà, sarebbe altrettanto sconveniente. La schiavitù
vi era praticata ovunque e alla luce del sole. La presuntuosa xenofobia della
gente abissina verso le popolazioni assoggettate e, in generale, verso gli
stranieri era pure tangibile e innegabile. I governatori abissini e i loro
gregari spadroneggiavano, con pugno di ferro e da autentici parassiti, sui
territori dell'impero. I popoli soggetti erano oppressi da tassazioni
esorbitanti, lasciati nella miseria e al di fuori del progresso. Una sola
ferrovia francese collegava Gibuti alla capitale. Quest'ultima era per lo più
fatta di baracche e capanne, lungo strade polverose o fangose. Le vie di
comunicazione erano piste sovente impraticabili dagli automezzi. Specie i
musulmani, sotto questo regime speravano nella venuta degli italiani, di cui
conoscevano le colonie confinanti dell'Eritrea e della Somalia.
Riguardo
alle ragioni del nostro intervento militare, esse non mancarono davvero. Gli
abissini avevano violato patti e promesse, a prescindere dai veri diritti umani
da essi calpestati. Per iniquità decisamente minori (e spesso inesistenti) oggi
si condanna e si fa la guerra, per esempio a un Assad. Va notato che la
religione copta è del tutto eretica e scismatica.
La
campagna del nostro esercito, anche contro formazioni di guerrieri combattivi
ed esperti, fu breve (sei mesi), ben condotta e la vittoria meritata. Le stragi
di cui vennero accusate le nostre armate furono favole calunniose della
propaganda internazionale antifascista. Così l'impiego e gli effetti dei gas
furono quanto mai limitati. Waugh ebbe modo di documentarsi anche a questo
riguardo. Nemmeno i famosi bombardamenti fecero stragi di civili e gravi
rovine, anche perché c'era poco da rovinare, e subito tutto venne ricostruito,
in attesa di edificare veramente.
Quando
la conquista non era ancora terminata, e subito dopo, i nostri lavoratori già
costruivano strade camionabili solidissime e ponti di grande ingegneria, mai
sognati in quel paese di una arretratezza indescrivibile, appena corretta dai
recenti aiuti (soprattutto armi) di stati europei colonialisti, sovente
disumani con gli indigeni, e iniquamente nemici dell'Italia. Il Waugh lo
certifica ampiamente.
Dunque
fa specie che dopo ottant'anni, quando sarebbe l'ora di scrivere una storia
seria, ci siano ancora nostri connazionali che, presentandosi come storici,
ignorino queste realtà screditando quel tanto di buono di cui l'Italia può
onorarsi.
Piero Nicola
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