Severo/austero
come conviene a un discepolo del
piissimo don Giuseppe Dossetti ma amabile come i buoni del libro Cuore,
il presidente Sergio Mattarella ha concepito un disegno di unità patriottica
fondata sulla memoria condivisa.
Nel
venerante rispetto, che si deve al rigore di una personalità integerrima, si
pone tuttavia la impertinente domanda:
memoria condivisa da chi e su che cosa?
La
sfrontatezza è tentata di sospettare che il signor Presidente alluda alla
metamorfosi delle otto tessere del Partito nazionale fascista (1936-1943) intestate allo studente quindi dottore,
onorevole e infine don Giuseppe Dossetti e trasformate grazie ad una ratta
illuminazione nel glorioso certificato di immarcescibile fede antifascista.
La miracolosa
memoria di Giuseppe Dossetti e di tantissimi altri italiani mutati e convertiti
dalla sconfitta militare, nella tragica
estate siciliana del 1943, è una solida fonte di patriottica e condivisa
memoria? Mah, diceva Giovanni Volpe.
Una
canzone politica del dopoguerra recitava: siamo figli di un cupo tramonto. Quindi
la condivisibile memoria contempla un cupo tramonto e la democratica
conversione dei tramontati? Dossetti e la falange degli ideologicamente mutanti
e ravveduti sono i preziosi oggetti della
memoria condivisibile?
Espulso
dalla memoria è il totalitarismo, ossia la faticosa ma pacifica
ascesa delle plebi fascistizzate, la correzione della antica piramide sociale,
gelosamente conservata dal liberalismo ottocentesco, il faticoso accesso del popolino
alla cultura dei signori.
Emblema
della rivoluzione sociale attuata senza spargimento di sangue dal regime di
Mussolini è il film Il signor Max, felice rappresentazione del confronto
tra la vitalità della rinnovata, ascendente
cultura popolare e l'estenuata, grigia, crepuscolare sciccheria degli
aristocratici slombati.
E'
obbligatorio credere tuttavia che gli italiani erano illusi e trascinati
dall'oratoria di un duce urlante, e che la provvidenziale sconfitta militare li
ha illuminati e redenti.
Nell'evidenza
della guerra perduta si seppe che gli alleati, anglo-americani e sovietici,
erano i nostri liberatori e salvatori. Preambolo alla condivisione della
memoria italiana è pertanto l'inappellabile giudizio sulle buone e
sacrosante ragioni pedagogiche di Winston Churchill, di Giuseppe Stalin e
di Franklin Delano Roosevelt.
Sulla
malvagità delle dittature di stampo fascista il moralismo non consente il
minimo dubbio. Da tale punto di vista la sentenza è indeclinabile: siamo stati
stregati da una retorica fatua e trascinati in una guerra assurda.
Se non
che nel nascosto e censurato margine della memoria giacciono alcune verità
non facilmente compatibili con la pia e
indiscussa leggenda dei redentori democratici e comunisti.
Nell'agosto
del 1939, ad esempio, mons. Valerio Valeri, nunzio cattolico nella democratica Francia, chiese
ed ottenne udienza dal ministro degli esteri Georges Bonnet, al quale manifestò
la preoccupazione destata in Pio XII dai rumori di guerra. Nel primo volume
degli Atti della Santa Sede durante la seconda guerra mondiale (pubblicati
per volontà di Paolo VI) si legge che il nunzio domandò al ministro degli
esteri francesi quali provvedimenti il suo governo pensava di attuare per
scongiurare il pericolo di una seconda guerra mondiale. E che Bonnet rispose: Abbiamo
affidato alla buona volontà dei polacchi la difesa della pace. Nella
relazione alla Santa Sede, Valeri scrisse: ho detto al ministro che una tale
scelta tradisce la volontà francese di scatenare una guerra e dal suo
imbarazzato silenzio ho capito che tale è l'intenzione dei francesi.
La
conoscenza e il senno del poi dicono che la Germania di Hitler, durante la
guerra, commise orrendi delitti. La malvagità della Germania hitleriana è
quindi fuori discussione. Ma la guerra francese era giusta? Non si può negare
seriamente che i francesi, convinti di godere di una schiacciante superiorità
militare, desideravano arrivare a una resa dei conti con la Germania.
Vero è che il generale Maurice Gamelin, nel
dicembre del 1939, dichiarava che avrebbe pagato un miliardo pur di ottenere un
attacco tedesco. Il fatto nascosto alla memoria condivisa è che nel 1939 la
riforma fascista dell'economia (e non l'efficiente e feroce esercito germanico)
riscuoteva l'ammirazione dei popoli europei e di molte nazioni extra europee.
Solamente una guerra poteva impedire il successo internazionale del modello
italiano.
L'infelice
variante nazista e la rozza gestione della controversia su Danzica
furono occasioni offerte alle democrazie occidentali altrimenti spiazzate da
una pace sfavorevole al loro sistema.
L'intenzione
dei governi democratici di Francia e Inghilterra era trascinare la Germania in
una guerra fatale. Un grande storico inglese, Alan John Percival Taylor
(1906-1990) nel saggio intitolato Le origini della seconda guerra mondiale,
edito in Italia da La Terza nel 1961, ha dimostrato, che la richiesta tedesca
di un corridoio per Danzica era legittima e per nulla sconveniente ai polacchi.
D'altra parte sono misteriosi
i comportamenti dei governi democratici durante la sciagurata aggressione
tedesca della Polonia: Francia e Inghilterra dichiararono guerra alla Germania
ma evitarono con cura di intervenire a difesa dei polacchi.
Singolare
e altamente sospetta è anche la mancata dichiarazione di guerra all'Urss,
alleata della Germania di Hitler, che invase la Polonia da est e occupò, in
base a un accordo con i tedeschi, le repubbliche baltiche.
La
memoria condivisa dovrebbe contemplare un Mussolini titubante. Renzo De Felice ha
rammentato, ad esempio, che il duce consigliò a Hitler di tentare la via della
pace al fine di evitare il probabile, fatale intervento dell'America a sostegno
di Francia e Inghilterra.
Finora
sconosciuto è il motivo che decise Mussolini al disgraziato intervento nella
seconda guerra mondiale. Certo è che la infelice decisione di dichiarare guerra
ai franco-inglesi non fu un colpo di testa del duce, ma una decisione maturata
durante un consiglio della corona, al quale, insieme con Vittorio Emanuele III,
partecipavano Mussolini, il maresciallo Pietro Badoglio e i capi di stato
maggiore di esercito, marina e aviazione.
Poteva
l'Italia imitare la Spagna franchista e scegliere la neutralità, seguendo il
consiglio di Pio XII?
E'
stata divulgato il testo della accorata, affettuosa lettera indirizzata da papa
Pacelli a Mussolini per invocare la neutralità dell'Italia, sconosciuta è la
risposta di Mussolini.
Ad ogni
modo è probabile che in futuro i documenti sequestrati a Mussolini a Dongo
svelino le ragioni ultime dell'intervento italiano nella seconda guerra
mondiale.
A
tutt'oggi si conosce tuttavia la relazione sulle attività vessatorie compiute
da inglesi e francesi per recare grave danno all'Italia, documento redatto nel
febbraio del 1940 dell'ambasciatore Luca Pietromarchi
Si
dovrebbe pertanto riconoscere che la memoria condivisa è altro da memoria
conforme alla vulgata dei vincitori e dei loro collaboratori. Una memoria
appiattita sull'opinione degli alleati e dei loro tardivi partigiani potrebbe essere
condivisa solamente quando fosse giustificata la perfetta ignoranza o la rigida
censura delle gravi responsabilità dei franco-britannici.
Piero Vassallo
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