L'ambiguo ottimismo dell'oligarchia americana,
diffuso a tappeto dagli aviatori liberali (liberetors) prima di
rovesciarsi nelle democrazie sedicenti cristiane è stato battezzato
dall'acqua magica ma non santa dell'aspersorio umanitario.
In fine il gaudio ha gettato la maschera
rovesciandosi nel lugubre pensiero incombente sui decenni infiorati dalla tossica & gomorrita goduria.
Chi oserà tuttavia gettare l'ombra del dubbio
sulla esplosiva felicità diffusa dalle pedagogiche bombe sganciate dai
vincitori/educatori?
Chi metterò in discussione i democratici
piaceri elargiti agli sconfitti dagli alfieri della bandiera a stelle e
strisce?
La filosofia salita a palazzo Chigi per
celebrare l'accoppiamento dell'umorismo involontario di La Pira con la comicità
surreale di Rascel, condivide e loda a voce alta i democratici sollucheri
procurati ai vinti dalla felice/felicitaria America.
La memoria della feroce e mortifera ideologia
americana è peraltro consegnata nelle pagine sulfuree del romanzo di Curzio
Malaparte, La pelle.
L'esame dei filosofemi a monte
dell'allegria americana desta un vago e strisciante sospetto perfino anche nei
margini di quell'area moderata, che non sono del tutto refrattari e allergici al
pensiero tradizionista.
L'imbarazzo e il disagio aumentano allorché i
benpensanti riflettono sulle trasgressioni e sui ruvidi godimenti, che la
filosofia neo-albigese, circolante en travesti nelle università
americane, propone ai giovani.
L'avanguardia (elitaria) americana si
identifica nei precetti morali, che indirizzano alla ricerca della
cadaverica felicità abitante nei paradisi drogastici e nei vespasiani esoterici,
dove si incontrano gli iniziati alle delizie del sesso contro
natura.
Il giornalismo a gettone tenta invano
di occultare il turbamento procurato ai refrattari europei dalla tossica sessantottina
miscela di Eros e Thanatos, la fumosa diade che sta sulla cima
del monte teoretico scalato dal
libertinismo, trionfante nel pensiero dell'oligarchia liberale.
Maria Adelaide Raschini ha stabilito
magistralmente la dipendenza del liberalismo dal pregiudizio scettico, "che
consentiva di imboccare un solo sentiero, quello tracciato dall'illuminismo
inglese - il gran padre Locke, veniva chiamato questo angusto esponente
dell'empirismo così tipicamente inglese" [1].
Nella nascosta profondità del godimento
americano (e anglo-americano) infatti abita - ovviamente privo del qualunque
sussidio della ragione - l'incubo purissimo, albigese e ultimamente
francofortese, che ha dichiarato la amorosa guerra del Nulla lucente
contro l'oscuro/odiato Essere.
Risultato della insorgenza neo-catara contro
la religione dell'Ipsum Esse è il delirio, che ha mosso i pensatori e i
politicanti ultramoderni a condurre un'implacabile guerra alla natura e alla
vita, la guerra combattuta e al momento vinta dalla democrazia obituaria al
potere nei parlamenti del fantasma chiamato Europa.
Buona morte, il nome che la venerante
ipocrisia occidentale attribuisce all'odio contro la vita, è l'oggetto di una
importante raccolta di saggi, Eutanasia un diritto?, sagacemente
introdotti da Danilo Castellano e tempestivamente pubblicata in Napoli dalle
Edizioni Scientifiche Italiane.
Castellano rammenta che "fino alla
fine del secolo XIX può dirsi costante il rifiuto, conseguente alla
prescrizione rivolta ai medici da Giuramento di Ippocrate (420 a . C. circa) di
somministrare ad alcuno, ancorché richiesto, un farmaco mortale o un
suggerimento in tal senso".
L'emersione dal sottosuolo cataro di una
dottrina tenebrosa, avversa alla ragione e intesa a giustificare l'omicidio pietoso,
rappresenta l'epilogo catastrofico e desolante della frenesia ablativa,
soggiacente motore della rivoluzione.
Al proposito Castellano rammenta che la giustificazione
dell'eutanasia matura in un soggetto "non guidato da criteri razionali
(esigiti dalla sua natura razionale e imposti dalla realtà dell cose) bensì da
impulsi e desideri che lo rendono di fatto schiavo anche se a parole e
teoreticamente libero".
L'irrazionalità,
infatti, è il motore che trascina la filosofia illuminista a una guerra spietata contro la ragione, "in nome di un
sacro (cioè intoccabile) diritto a godere e disporre di sé, senza interferenze
di volontà diverse dalla propria e senza il rispetto di criteri
oggettivi".
La
fragilità di tale pensiero è rivelata dal fondamento nella avventurosa
applicazione alla persona umana dello ius utendi et abutendi, "letto
secondo la dottrina illuministica [lockiana] molto lontana dal (forse
agli antipodi rispetto al) significato con il quale questa massima era stata
accolta nella codificazione giustinianea".
La teoria dell'inglese John Locke (1632-1704)
incontra tuttavia un insormontabile ostacolo nella tradizione giuridica, che ha
stabilito i limiti della proprietà, "che non è e non può essere accolta
come sfera di sovranità individuale, Basterebbe considerare a questo proposito
... che la proprietà sulle cose è anche negli ordinamenti giuridici
contemporanei ipotecata da finalità che ne limitano il diritto di godimento e
di disposizione".
Infine
l'annichilimento della realtà è impossibile all'uomo: "la
soggettività (ontica) infatti è indistruttibile poiché la sostanza spirituale
(implicata dalla soggettività) non dipende dagli elementi accidentali che
concorrono alla sua concretizzazione e alla sua manifestazione di cui essa è
forma. Basterebbe considerare, per comprendere a fondo la tesi, che a Dio,
essere libero in senso assoluto e onnipotente, non è possibile il suicidio".
La
legalizzazione del suicidio e l'assistenza prestata dallo stato/becchino al
suicida sono i sintomi della tragica malattia che affligge la ragione
dell'Occidente liberale, folgorato dalle illusioni di una teologia capovolta
nella spaventosa/incubosa figura della ragione in guerra furente e
sciagurata contro se stessa e contro
Dio.
Piero Vassallo
Nessun commento:
Posta un commento