venerdì 31 luglio 2015

San Giovanni Bosco nel bicentenario della nascita

Nella desolazione dell'ora presente, avvelenata dall'economia liberale e tormentata dal delirio libertino, il ricordo dell'intrepida carità di San Giovanni Bosco (Castelnuovo d'Asti 1815 - Torino 1889) desta nei cattolici refrattari all'ideologia postmoderna, l'intenzione di resistere al dissennato culto del mercato e all'applaudita sodomia californiana, senza nulla concedere a irragionevoli buonismi e/o a perdonismi scivolosi, che suggeriscono il ricorso a rimedi peggiori del male.
 Il pregevole saggio di Michele Tosca, Don Bosco Un santo della chiesa militante, edito in Torino da Roberto Chiaromonte, propone un profilo del santo, ispirato dalla ferma intenzione di scansare i trabocchetti scavati e mascherati dai pii inganni e dagli estenuanti languori del teologicamente corretto.
 Nella biografia del santo piemontese è, infatti, evidente l'incrollabile fedeltà a quella teologia pre-buonista, che contemplava i quattro novissimi censurati dai teologi modernizzanti: morte, giudizio, inferno e paradiso. Fedeltà ultimamente silenziata dall'esorbitanza velenosa di un lassismo tentato di approvare e benedire gli errori e i peccati, che avviliscono e  tormentano l'umanità moderna.
 La misericordia che ha illuminato la vita di don Bosco è associata indissolubilmente al timor di Dio, una virtù che allontana le tentazioni lassiste, destate e lodate dalla teologia postconciliare.
 Opportunamente Tosca rammenta che Don Bosco "è un santo non allineato con il politically correct, con il pensiero unico dominante, un Santo che considera quella che oggi si chiama interreligiosità come mettere gli agnelli in bocca ai lupi, e l'ecumenismo aprire le porte di casa al nemico".  
 A conferma della refrattarietà di Don Bosco alla suggestione sincretista, Tosca cita una puntuale affermazione di Antonio Socci: "don Bosco parlava e scriveva con la stessa decisione con cui si va a una battaglia. Non sapeva nemmeno cosa fosse il dialogo. Il suo stile era muro contro muro. Bisognava salvare i giovani e la gente per la Chiesa, per Dio, per la vita eterna, e quindi bisognava lottare, battersi". 
 Il saggio di Tosca rammenta altresì che la storia di Don Bosco testimonia il primato dello spirituale sul sociale e pertanto può essere letta come una spirituale lezione intesa a vincere le squillanti tentazioni di un cristianesimo ideologizzante cioè rovesciato nelle chimere della giustizia orizzontale.
 La storia delle opere di Don Bosco, sotto tale profilo, è un efficace antidoto alle sgangherate suggestioni di una teologia vaticanista, prigioniera delle remote e fioche e anacronistiche suggestioni del socialismo reale.
 Non sempre condivisibile è invece la ricostruzione del conflitto tra la morale cattolica e le ragioni militanti a sostegno dell'unità d'Italia, un'analisi compiuta seguendo la linea di pensiero tracciata dalle esagerazioni di Angela Pellicciari.
 Al seguito di una tale scolastica, Tosca avanza fino alla giustificazione dell'infortunio in cui incorse il Santo nel 1873, quando indirizzò una lettera all'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, per sollecitare un intervento militare finalizzato all'invasione dell'Italia.
 Al proposito scrive Tosca: "Dopo l'invasione piemontese dello Stato Pontificio nel 1870, molti cattolici speravano in un intervento dell'Austria contro l'Italia massonica, tra loro vi era don Bosco, il quale era certo che Dio avrebbe benedetto le armi che avessero ricollocato il Pontefice sul suo legittimo trono".  
 Ora l'unità d'Italia fu una conquista macchiata dal garibaldinismo e dalla efferata repressione   compiuta dal discusso generale Enrico Cialdini nel Sud, ma appunto una conquista, un'impresa che liberò la nostra Patria dalla pesante egemonia esercitata da oscure e avide potenze straniere .
 Nel pensiero del tradizionalismo estremo, la legittima critica della storia risorgimentale sembra purtroppo declinare nella nostalgia (antistorica) di un'Italia divisa, oppressa e umiliata dagli stranieri. La citazione squillante di una non felice lettera di Don Bosco al sovrano di una nazione che aveva oppresso e umiliato gli italiani del Lombardo-Veneto è il segnale del limite raggiunto dalla scolastica intesa ad accreditare un anacronistico pensiero austriacante.
 L'unità d'Italia è una conquista riconosciuta e benedetta da Pio XI e da Pio XII. Si ha ragione di temere che l'avversione all'unità d'Italia sia il prodotto delle esagerazioni suggeriti dal pensiero del miliardario brasiliano Plinio Correa de Oliveira, un autore che non ha mai nascosto la sua ammirazione per un implacabile nemico dell'Italia quale fu il conservatore Winston Churchill.
 Di qui il non infondato sospetto sull'avvertito trasbordo della legittima e seria critica al fascismo in una (tentata) legittimazione bigottadei lati oscuri dell'Occidente anti-italiano.

 Giusta l'analisi formulata nel 1977 da Francisco Elias de Tejada, il male oscuro (paradossalmente reazionario)  della storiografia progressista, ha contagiato l'esagerata fedeltà a una tradizione più austriacante che italiana. Un'intossicazione ben visibile nelle acrobazie ultimamente compite dai pliniani d'Italia.

Piero Vassallo

4 commenti:

  1. Nel bicentenario della nascita di Don Bosco, la rilettura di una biografia non allineata può essere utile.

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  2. C'è da dire, però, che per gli abitanti della Penisola italiana, prima dell'unificazione, non cambiava nulla avere un principe straniero (spagnolo o austriaco che fosse) o italiano. Il sentimento nazionale è stato importato dalle armate napoleoniche e dalla moda del Romanticismo, diventando così un elemento importante dell'ideologia liberale dell'Ottocento. Ciò che devono capire gli attuali nostalgici neoborbonici e affini è che "indietro non si torna" per evitare che il rimedio (localismo leghista) sia peggiore del male (mondialismo), ma è pur vero che il nazionalismo è un'idea estranea all'universalismo cattolico.
    Potrebbe indicare, cortesemente, in quali scritti o discorsi Pio XI e Pio XII hanno benedetto la conquista italiana? Io ricordo solo Pio IX che esclamò: "Benedite, gran Dio, l'Italia!".
    Grazie.

    Filelleno

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  3. Il nazionalismo sara' estraneo all'universalismo cattolico, ma il patriottismo? Non sono proprio la stessa cosa. Quando i polacchi e gli irlandesi trovavano nella loro religione cattolica il motivo profondo per resistere alla dominazione straniera, erano nazionalisti o patriottici solamente? E lo trovavano anche con accenti piuttosto "nazionalistici". Non direi che il sentimento nazionale in Italia sia stato un prodotto d'importazione. Vogliamo dire che in un Foscolo, un Manzoni, un Mazzini veniva solo dall'imitazione dimodelli stranieri, che era una moda? NOn credo lo si possa dire. E in Gioberti? Parlo del Gioberti del "Primato". Non cercava di conciliare sentimento nazionale con l'universalismo cattolico? C'e' stato sempre un patriottismo culturale in Italia nei secoli passati, come difesa contro lo straniero (francese, spagnolo, austriaco) che ad un certo punto e' diventato patriottismo in senso forte politico, soprattutto presso la parte piu' dinamica della borghesia, quella che ha fatto l'unita' d'Italia. Oltre ai modelli culturali stranieri, c'erano, piu' importanti, esigenze economiche e spirituali concrete. lo sviluppo dell'industria moderna e l'espansione nordafricana delle Potenze ci avrebbe fatto sprofondare ancora di piu' nell'arretratezza. C'era poi un'esigenza di riscatto morale per le lunghe umiliazioni patite dagli stranieri e per il desiderio di liberarci dalle tare secolari del carattere italiano, esigenza della quale non si vuol parlare oggi, si fa finta che non ci sia stata. (Vedi Alfieri). La presente vulgata antirisorgimentale da' un'idea alquanto distorta delle cose. Possiamo uscire dalla crisi attuale solo se riconciliamo il nostro esser-nazione (cosa che indubbiamente siamo) con il cattolicesimo, contro tutto e tutti: l'instaurazione di uno Stato italiano veramente cattolico. A questo non osta piu', come in passato, l'esistenza di un potere temporale che tagliava l'Italia in due. Filoitaliano

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  4. Cortese Anonymous, l'elogio dell'Italia si legge nel paragrafo finale della prima enciclica di Pio XII Cordiali saluti, piero vassallo
    grazie degli interventi propriamente magistrali
    patriottismo e nazionalismo non sono la stessa cosa, condivido il suo puntuale giudizio
    purtroppo non sono certo che il partito (autenticamente) cattolico sia nella "ottica" del regnante pontefice

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