lunedì 20 luglio 2015

SCORRIBANDE NEL TEMPO CHE FU (di Lino Di Stefano)

   L’Autrice del volumetto di cui ci stiamo occupando – ‘Voci del passato’ (Ed. Tigulliana, S. Margherita Ligure, 2015) – è una scrittrice molisana che ha al suo attivo un notevole ‘corpus’ di lavori che spaziano dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica alla storia, dalla pedagogia alla critica, dalla lirica antica al romanzo, per limitarci ad alcuni aspetti del suo ricco mondo . Ragion per cui il presente libretto costituisce un vero e proprio ‘canto del cigno’ – nel significato migliore, beninteso, dell’espressione - di Antonia Izzi Rufo, ex insegnante di lettere e titolare di vasti interessi culturali.
   Anch’essa, un po’ come tutti coloro che si dedicano alle lettere, all’arte ed alla cultura in generale, non è venuta meno, colla sua ultima fatica – autentico viaggio nel proprio passato – all’affermazione del poeta e scrittore argentino, Jorge Luis Borges, a detta del quale, ogni autore che si rispetti, “scrive la propria autobiografia”; i filosofi idealisti avrebbero detto, al riguardo:  “Non si esce dalla soggettività”; entrambe le asserzioni sono vere “per la contraddizion che nol consente”, parafrasando l’Alighieri.
   Sicché, per dirla col Prefatore del libro, Marco Delpino, “ogni giorno che scorre è un giorno in più; ogni giorno che passa è un giorno in meno da qualcosa, ma il tempo non fa distinzioni, perché viaggia  inesorabile, e il passato diventa presente, e il presente si trasforma in futuro, mentre ti restano i ricordi di tutto ciò che hai vissuto”.“Fugit irreparabile tempus”, avrebbe osservato Virgilio.
Parole sacrosante – le prime e le seconde - visto che scrittrice ha rivissuto, nel libro,il tempo trascorso, dalla prima gioventù ad oggi, attraverso un ‘excursus’, ampio ed articolato, nel paese di nascita e in altri centri della sua regione, il Molise. Tradizioni, consuetudini, usi, costumi, dialetto e tutto ciò che l’inarrestabile tempo ha travolto e travolge nella sua fuga verso l’ignoto, tutto questo viene passato in rassegna dall’Autrice la cui nostalgia per un’epoca finita rimane fortissima nonostante le difficoltà di quel momento storico..
   Difficoltà e carenze evidentissime in tutti i campi dell’umano vivere, in genere, e della vita sociale in particolare ove si considerino le comodità del mondo d’oggi – che durano ormai da decenni - che hanno cambiato radicalmente il modo di vivere della stragrande maggioranza dei popoli più ricchi con tutti i risvolti negativi del caso. Le persone delle età trascorse erano, invece, costrette a subire i soprusi e le angherie dei più forti, dei più ricchi, dei più arroganti e dei cosiddetti nobili.
 Per quanto riguarda il riferimento ai cosiddetti nobili, basti leggere il celebre ‘Dialogo sopra la nobiltà’ di Giuseppe Parini per avere la conferma dell’insolenza del presunto nobile che dialoga col poeta vantando meriti inesistenti; quest’ultimo, già all’inizio del colloquio se ne esce con tali significative parole: “E che diacine (razza) d’animale egli è mai cotesto nobile? o perché dobbiam noi  esser obbligati a rispettarlo?”. Alla fine del lungo scambio di idee, abbastanza lungo, il nobile, o presunto tale, messo in difficoltà dal poeta conclude: “Deh, amico, perché non ti conobbi io meglio, quand’io era colassù tra’ i vivi; ché io non avrei aspettato a riconoscermi così tardi!”.
   Tornando alla nostra scrittrice, questa non tralascia alcun aspetto della società della sua epoca, talmente numerose risultano le memorie dei momenti in cui, per fare un esempio, le case “non erano decenti, comode, accoglienti (…), ma tuguri aperti alle mosche, alle galline, ai maiali, a cani e gatti”. Così come non trascura di evidenziare gli aspetti positivi delle stesse abitazioni allorquando “le porte erano sempre aperte e le chiavi si lasciavano fuori, fino a sera, a volte anche di notte, nella serratura. Si entrava ovunque senza bussare né chiedere permesso”, perché dei ladri nessuna traccia.
   La nostalgia dell’Autrice è struggente e sincera e chi come lo scrivente – suo conterraneo – ha vissuto le medesime esperienze può confermare poiché è tutto vero e tutto realistico; la gente del tempo, gli attrezzi allora in uso, le relazioni sociali, le amicizie, le usanze quotidiane, le sentite funzioni religiose, i semplici cibi del periodo, le elementari, ma efficaci, tecniche per procurarsi il necessario  – anche perché allora ci si accontentava  di poco – nulla sfugge alla meticolosa e formidabile memoria dell’Autrice la quale, ad un certo punto, ricorda pure la preparazione di alcuni prodotti.
   Ma lasciamole la parola: “Il sapone si preparava in casa con potassio e scarti di grasso di maiale, la cena faceva da regina, era il detersivo più sfruttato; imbevuto di aceto si usava per pulire e lucidare recipienti di rame, bollita in acqua serviva per ottenere la liscivia per togliere le macchie e schiarire la biancheria”. Sembra ieri ed è, invece, trascorso un cinquantennio. E si potrebbe continuare. Naturalmente, la stessa mette parimenti in evidenza, soprattutto, gli sprechi della vita di oggi quando, al contrario, negli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare, nulla veniva buttato e ogni cosa veniva conservata e riutilizzata.
   I paesi del tempo, anche se piccoli e poveri, erano pieni di vita e di solidarietà umana, mentre, a vederli oggi, abbandonati e desolati, stringono il cuore e suscitano soltanto malinconia e tristezza; pure le scuole, oggi, sono vuote di alunni per egoismo coniugale visto che i figli, da una parte, non si desiderano e non si fanno e, dall’altra, sono confezionati in provetta con tutte le mostruosità genetiche sotto gli occhi di tutti. La scrittrice parla anche dei suoi genitori, onesti lavoratori, i quali con immani sacrifici permisero alla figlia di studiare e di conseguire una laurea. Ed i casi ogni tanto si ripetevano, ad onta degli ostacoli oggettivi insiti in quella società.
   A questo punto, una domanda è d’obbligo: stando così la situazione, si può fare qualcosa? A malincuore, rispondo di no, considerata l’estrema velocità con cui tutto viene travolto e continuerà ad essere spazzato via dalla cosiddetta ‘modernità’ lanciata verso un avvenire onusto di incognite, ma non tanto sconosciute da non far comprendere che l’umanità va verso l’autodistruzione.
   La Izzi Rufo si accomiata dal lettore scrivendo testualmente: “Si corre, si ha sempre fretta; il tempo per sostare a dialogare non c’è più”; le rispondo con una calzante espressione della fisica, purtroppo, veritiera: “Motus in fine velocior”. L’ignoto, infatti, ci attende – basta dare un’occhiata al pianeta - e al momento opportuno, salvo miracoli, ci sterminerà tutti. Si tenga, pertanto, l’Autrice ben stretti i citati ricordi, unico rifugio alle follie della comunità contemporanea. 

Lino Di Stefano


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