L’Autrice del volumetto di cui ci stiamo
occupando – ‘Voci del passato’ (Ed. Tigulliana, S. Margherita Ligure, 2015) – è
una scrittrice molisana che ha al suo attivo un notevole ‘corpus’ di lavori che
spaziano dalla poesia alla narrativa, dalla saggistica alla storia, dalla pedagogia
alla critica, dalla lirica antica al romanzo, per limitarci ad alcuni aspetti
del suo ricco mondo . Ragion per cui il presente libretto costituisce un vero e
proprio ‘canto del cigno’ – nel significato migliore, beninteso,
dell’espressione - di Antonia Izzi Rufo, ex insegnante di lettere e titolare di
vasti interessi culturali.
Anch’essa, un po’ come tutti coloro che si
dedicano alle lettere, all’arte ed alla cultura in generale, non è venuta meno,
colla sua ultima fatica – autentico viaggio nel proprio passato –
all’affermazione del poeta e scrittore argentino, Jorge Luis Borges, a detta del
quale, ogni autore che si rispetti, “scrive la propria autobiografia”; i
filosofi idealisti avrebbero detto, al riguardo: “Non si esce dalla soggettività”; entrambe le
asserzioni sono vere “per la contraddizion che nol consente”, parafrasando l’Alighieri.
Sicché, per dirla col Prefatore del libro,
Marco Delpino, “ogni giorno che scorre è un giorno in più; ogni giorno che
passa è un giorno in meno da qualcosa, ma il tempo non fa distinzioni, perché
viaggia inesorabile, e il passato
diventa presente, e il presente si trasforma in futuro, mentre ti restano i
ricordi di tutto ciò che hai vissuto”.“Fugit irreparabile tempus”, avrebbe
osservato Virgilio.
Parole
sacrosante – le prime e le seconde - visto che scrittrice ha rivissuto, nel
libro,il tempo trascorso, dalla prima gioventù ad oggi, attraverso un
‘excursus’, ampio ed articolato, nel paese di nascita e in altri centri della
sua regione, il Molise. Tradizioni, consuetudini, usi, costumi, dialetto e
tutto ciò che l’inarrestabile tempo ha travolto e travolge nella sua fuga verso
l’ignoto, tutto questo viene passato in rassegna dall’Autrice la cui nostalgia
per un’epoca finita rimane fortissima nonostante le difficoltà di quel momento
storico..
Difficoltà e carenze evidentissime in tutti
i campi dell’umano vivere, in genere, e della vita sociale in particolare ove
si considerino le comodità del mondo d’oggi – che durano ormai da decenni - che
hanno cambiato radicalmente il modo di vivere della stragrande maggioranza dei
popoli più ricchi con tutti i risvolti negativi del caso. Le persone delle età
trascorse erano, invece, costrette a subire i soprusi e le angherie dei più
forti, dei più ricchi, dei più arroganti e dei cosiddetti nobili.
Per quanto riguarda il riferimento ai cosiddetti
nobili, basti leggere il celebre ‘Dialogo sopra la nobiltà’ di Giuseppe Parini
per avere la conferma dell’insolenza del presunto nobile che dialoga col poeta
vantando meriti inesistenti; quest’ultimo, già all’inizio del colloquio se ne
esce con tali significative parole: “E che diacine (razza) d’animale egli è mai
cotesto nobile? o perché dobbiam noi esser
obbligati a rispettarlo?”. Alla fine del lungo scambio di idee, abbastanza
lungo, il nobile, o presunto tale, messo in difficoltà dal poeta conclude:
“Deh, amico, perché non ti conobbi io meglio, quand’io era colassù tra’ i vivi;
ché io non avrei aspettato a riconoscermi così tardi!”.
Tornando alla nostra scrittrice, questa non
tralascia alcun aspetto della società della sua epoca, talmente numerose
risultano le memorie dei momenti in cui, per fare un esempio, le case “non
erano decenti, comode, accoglienti (…), ma tuguri aperti alle mosche, alle galline,
ai maiali, a cani e gatti”. Così come non trascura di evidenziare gli aspetti
positivi delle stesse abitazioni allorquando “le porte erano sempre aperte e le
chiavi si lasciavano fuori, fino a sera, a volte anche di notte, nella
serratura. Si entrava ovunque senza bussare né chiedere permesso”, perché dei
ladri nessuna traccia.
La nostalgia dell’Autrice è struggente e
sincera e chi come lo scrivente – suo conterraneo – ha vissuto le medesime
esperienze può confermare poiché è tutto vero e tutto realistico; la gente del
tempo, gli attrezzi allora in uso, le relazioni sociali, le amicizie, le usanze
quotidiane, le sentite funzioni religiose, i semplici cibi del periodo, le
elementari, ma efficaci, tecniche per procurarsi il necessario – anche perché allora ci si accontentava di poco – nulla sfugge alla meticolosa e
formidabile memoria dell’Autrice la quale, ad un certo punto, ricorda pure la
preparazione di alcuni prodotti.
Ma lasciamole la parola: “Il sapone si
preparava in casa con potassio e scarti di grasso di maiale, la cena faceva da
regina, era il detersivo più sfruttato; imbevuto di aceto si usava per pulire e
lucidare recipienti di rame, bollita in acqua serviva per ottenere la liscivia
per togliere le macchie e schiarire la biancheria”. Sembra ieri ed è, invece,
trascorso un cinquantennio. E si potrebbe continuare. Naturalmente, la stessa
mette parimenti in evidenza, soprattutto, gli sprechi della vita di oggi
quando, al contrario, negli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare, nulla veniva
buttato e ogni cosa veniva conservata e riutilizzata.
I paesi del tempo, anche se piccoli e
poveri, erano pieni di vita e di solidarietà umana, mentre, a vederli oggi,
abbandonati e desolati, stringono il cuore e suscitano soltanto malinconia e
tristezza; pure le scuole, oggi, sono vuote di alunni per egoismo coniugale
visto che i figli, da una parte, non si desiderano e non si fanno e,
dall’altra, sono confezionati in provetta con tutte le mostruosità genetiche
sotto gli occhi di tutti. La scrittrice parla anche dei suoi genitori, onesti
lavoratori, i quali con immani sacrifici permisero alla figlia di studiare e di
conseguire una laurea. Ed i casi ogni tanto si ripetevano, ad onta degli
ostacoli oggettivi insiti in quella società.
A questo punto, una domanda è d’obbligo:
stando così la situazione, si può fare qualcosa? A malincuore, rispondo di no,
considerata l’estrema velocità con cui tutto viene travolto e continuerà ad
essere spazzato via dalla cosiddetta ‘modernità’ lanciata verso un avvenire
onusto di incognite, ma non tanto sconosciute da non far comprendere che
l’umanità va verso l’autodistruzione.
La
Izzi Rufo si accomiata dal lettore scrivendo testualmente: “Si corre, si ha
sempre fretta; il tempo per sostare a dialogare non c’è più”; le rispondo con
una calzante espressione della fisica, purtroppo, veritiera: “Motus in fine
velocior”. L’ignoto, infatti, ci attende – basta dare un’occhiata al pianeta -
e al momento opportuno, salvo miracoli, ci sterminerà tutti. Si tenga,
pertanto, l’Autrice ben stretti i citati ricordi, unico rifugio alle follie
della comunità contemporanea.
Lino
Di Stefano
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