Il
cittadino superiore della Genova bene - altrimenti detta
anglo-liberale - mette in scena un'inconsapevole macchietta, l'imitazione del
gentiluomo attivo in una City mediterranea, dipinta da un immaginario fumo di
Londra.
Ai più
alti e sapienti livelli il genovese distinto e liberale vive nella
convinzione che la propria distinzione obbedisca alla logica dei distinti, oscuramente
elucubrata da Benedetto Croce.
La
cittadinanza bene, oltre la nascita nei quartieri eletti, contempla -
ovviamente - l'obbligata frequentazione
dei negozi esclusivi, a modo loro iniziatici/eleusini.
Un
altezzoso, solenne e roboante caramellaio del centro storico, ad esempio,
inventò un compunto quasi lugubre dolcetto, che, in sprezzo del ridicolo,
definì quaresimale vulgo cimiteriale.
In un
altro incensato negozio officiava il rito della vendita un superbo distributore
di fatidici, esclusivi foulard francesi. Al suo locale, figura mercantile del
tempio iniziatico, si accede facendo scorrere una porta a vetri, che ha
l'apparenza (volutamente?) ingannevole di una porta a spinta.
Un'avventizia/ingenua
aspirante all'ammissione nell'alta società genovese si presentò, in ora
mattutina, per interpretare un disgraziato, umiliante dramma esoterico.
La
candidata alla cittadinanza bene, purtroppo, non conosceva i segreti
del negozio e perciò spinse la porta,
che purtroppo la respinse, due o tre volte. Infine il titolare si avvicinò con
distinta flemma, fece scorrere la barriera sociale e invitò la sudata
postulante ad entrare nel luogo squisito/ambito.
L'infelice
aspirante dichiarò l'intenzione di acquistare uno dei celebrati e venerati
foulard, pregiati stemmi ed emblemi dell'appartenenza all'ambita città Bene.
In
punta di piedi il magico officiante allungò le braccia verso il più alto
scaffale, quello delle rimanenze, e alla cieca ne trasse un foulard
d'insuccesso. Con gesto ieratico lo stese sul banco.
La
candidata contemplò ma non osò manifestare la propria insoddisfazione.
Impassibile lo sguardo del raffinato venditore, il quale lodò, con voce
avvolgente, l'oggetto indesiderato. "E' carino, vero?". L'infelice/frastornata
tacque a lungo, prima di pronunciare la domanda eroica: "Potrei vedere un
altro foulard, signor Delfinetto?".
Nuovamente
l'officiante allungò le braccia verso il piano degli oggetti infelici, detti scarti
della borghesia. "Questo è perfetto. E' adatto alla sua pelle
chiara". Pallida e sudaticcia, a dire il vero. Ma l'officiante incalzò
imperterrito: "Lo incarto? Se è un regalo può scrivere un
biglietto". E consegnò alla coatta una stilografica d'oro e un
cartoncino. L'incauta tacque, restituì penna e biglietto, pagò e uscì estenuata dall'incuboso negozio. Il pacchetto
della sua plebea subalternità pesava dolorosamente.
Contraltare
della sussiegosa/imperiosa/fatua Genova bene, la borghesia cattolica è narrata
con singolare e collaudata maestria da Maria Antonietta Novara Biagini, autrice
di un'avvincente saga familiare, Nonna
non raccontava le favole, proposta in questi giorni dall'editore veronese
Gandolin, e apprezzato in Genova da una folta squadra di amanti dei nobili
ricordi e del bello stile. Fra i quali, insieme con lo scrivente, figurano
autorevoli esponenti della dissidenza al bene grigio fumante nella
città grottesca.
Concepite
nel categorico, allegro rifiuto dello snobismo, le pagine della Novara hanno i
profumo e il fascino delle cose semplici, apprezzate dalla gente cattolica di
fine Ottocento:. Un cibo povero e inelegante diventa il simbolo della città
altra: "Arrivati in piazza San
Domenico, che proprio in quell'anno fu poi ribattezzata piazza De Ferrari,
scesero per Vico Casana. Papà era goloso di trippe e ne acquistò un bel pacco,
da affidare a Ofelia perché la cucinasse quella sera".
La
semplicità di vita non escludeva la partecipazione di un familiare, arruolato
nell'esercito dello Zar, alla guerra di Crimea, "grazie alla quale i
civilizzatori massonici anglo-franco-piemontesi, avevano impedito alla Santa
Madre Russa di liberare i cristiani dei Balcani dal giogo turco", afferma
l'autrice rammentando una non felice impresa progettata e attuata da Camillo
Benso di Cavour al fine di modernizzare il Regno di Sardegna.
Quantunque estranea perfettamente alla deplorata ideologia
fascista, l'autrice non nasconde la pietà per i vinti e non tace la vergogna
dei vincitori, che negavano ai parenti dei caduti perfino il diritto di
indossare un segno di lutto: "era arrivata la libertà, quindi si
consumarono spietate vendette contro gli sconfitti della guerra civile.
Scorreva il sangue dei vinti e anche dei preti colpevoli solo di essere
preti".
Pulla,
una giovane madre appartenente alla
storica famiglia fu bersaglio di male parole, che attribuivano a un tedesco la
paternità del suo bambino "rispondeva per le rime e le brutte arpie
che, come membri del CLN, pattugliavano le strade per controllare la moralità
pubblica furono messe al loro posto e non osarono più avanzare i loro osceni
sospetti".
Nel concerto delle autorevoli
e autorevolissime ciance intorno al sentire comune, la verità testimoniata
dalla nobile vicenda di una famiglia cattolica rappresenta la voce della verità
storica repressa e umiliata dalla storiografia a senso unico e dalla morale
imposta dagli eredi del senatore di giustizia, Gemisto Moranino e dai reggi
coda della sua ingloriosa memoria.
Il
libro di Maria Antonietta Novara Biagini è in vendita a 16 euro nelle buon
librerie cattoliche e, nell'eventuale non improbabile latitanza di cattolicità
nelle deputate rivendite, può essere ordinato telefonando all'editore veronese Giovanni Zenone, che risponde al numero 045941851 o 3294028051.
Piero Vassallo
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