lunedì 27 novembre 2017

IL SIGNORE DEGLI ANELLI (Recensione di Piero Nicola)

  Al maggior lavoro di Tolkien è stata conferita la patente di capolavoro ineguagliabile, edificante (anche a parere di molti tradizionalisti cristiani), per quanto alcuni critici l'abbiano giudicato negativamente sotto vari aspetti. Tre sono i suoi aspetti principali: riguardo al valore letterario, riguardo a quello morale e riguardo a quello religioso; benché gli ultimi due non possano andare disgiunti. Infatti, se il libro lede la Religione, sarà anche inficiata la sua etica.
  È fuor di dubbio che l'autore abbia rappresentato un mondo fantastico, epico e in certo qual modo mitologico, con un realismo morale che non ammette un alibi rispetto alla Verità intera, rispetto a Dio vero. Si ammette la favola e la leggenda, anche popolata di esseri inverosimili, ma il tutto deve rientrare nella Rivelazione. Il Male fa capo al demonio, il Bene fa capo all'Onnipotente. L'allegoria può proporre animali, fantasmi e personaggi mai esistiti e inesistenti, tuttavia con significati conformi al disegno della Creazione. Il bestiario cattolico in parte fu testimoniato come reale e miracoloso, oppure le sue rappresentazioni immaginarie vennero accolte essendo ortodosse.
  Purtroppo, sebbene Tolkien, figlio della Chiesa, abbia inteso rivendicare l'ortodossia dei suoi romanzi, escluse da essi il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, la Madonna e i Santi, a differenza di quanto fecero cristiani creatori di leggende (da non confondersi con le tradizioni). Non basta che egli abbia rispettato le virtù, bollato i vizi, distinto la giustizia dall'iniquità, esaltato la fedeltà e la generosità, proposto la nobile lotta dei buoni contro i malvagi. Per giunta, riguardo a certe razze che abitano la sua Terra di Mezzo - al di fuori degli Uomini e di Hobbit, Nani, Uomini-alberi, stregoni - gli Elfi sono puri affatto, mentre Orchetti e altri personaggi malefici (sebbene abbiano un carattere umano essendo considerati colpevoli) sono condannati alla cattiveria, non appaiono suscettibili di redenzione. E neppure troviamo il religioso paganesimo, assai ignaro di Dio. La superiore divinità è assente.
  La storia, situata in un mondo ancestrale e già decaduto in una Terza Età, si riassume con la missione condotta da un Hobbit, assistito da un mago, da alcuni compagni e da nobili signori, rivolta a salvare quella Terra da un regno maligno e mostruoso. Frodo, campione del minuto, modesto e gioviale popolo degli Hobbit, affiancato da un servo fedele, perviene a distruggere l'Anello del potere gettandolo nel cratere infuocato, posto nell'orribile paese delle tenebre governato dal Nemico. Il nesso tra la sconfitta di questi, tra la disfatta del suo mostruoso esercito e l'eliminazione del magico Anello rimane alquanto misterioso, come difetta anche la spiegazione di altri fenomeni e situazioni, nonostante il solido complesso del lungo racconto suddiviso in tre tomi. Pare che la forza ricevuta dall'Anello posseduto debba risolversi in un suo cattivo uso. E non si comprende perché la sua distruzione annienti il potente perverso che già non detiene lo strumento portentoso.
  Quanto al pregio letterario, l'opera si situa nel genere avventuroso destinato ai ragazzi e agli adulti che prediligono tale narrativa, farcita di immaginario. Mutatis mutandis, cioè sostituendo ai prodigi di razze e poteri extranaturali le invenzioni avveniristiche pseudoscientifiche, Tolkien può paragonarsi a un Giulio Verne. E la sua bravura di scrittore, i suoi pregi stilistici (non senza qualche flessione) non lo elevano certo al di sopra dei molti bravi artisti. Non bastano certi giochi di prestigio metaforici per eccellere ("il sole era tramontato, affondando dietro l'orlo del mondo"; "il cielo era ancora rosso, e una luce incandescente covava sotto le nubi galleggianti"; "gonfie praterie ondulate come un grande mare grigio"; "il fiume largo e stanco fra banchi sabbiosi ed alte terrazze erbose"; "il giorno invecchiato"). D'altra parte è innegabile l'eccesso dei dettagli ("faceva caldo rispetto alla stagione in cui erano"), la prolissità di parecchie descrizioni, il numero stragrande degli esseri straordinari dotati di eccezionali capacità, la superfluità delle vicende che li vedono protagonisti (p.e. circa gli Ent, esseri mezzo umani e mezzo alberi) e in generale la pletora di avvenimenti incalzanti e di sorprese, con episodi che sanno di riempitivo senza particolare significato (p.e. Sire Aragorn per abbreviare il cammino attraversa una regione detta Sentieri dei Morti, dove si verificano spaventose e di regola irresistibili apparizioni di spettri, in seguito arruolati nella guerra contro gli invasori). Se ciò lusinga l'interesse degli appassionati di imprevisti e di casi stupefacenti, contribuisce a togliere l'ampio respiro agli avvenimenti eroici e poetici. L'epopea delle gesta e delle grandi ambientazioni risulta diminuita. L'infinita varietà dei paesaggi incredibili e poco funzionali alla narrazione finisce per essere stucchevole. C'è pure qualche arrivano i nostri che scongiura una sconfitta irreparabile. La trama predispone la molteplicità delle avventure. Eventi contrari scompaginano presto la Compagnia dell'Anello; il viaggio dei suoi elementi si dirama e talvolta si ricongiunge.  
  Né mancano le incongruenze, benché quasi inevitabili in tanta finzione: due a cavallo, veloci come il vento, conversano quasi fossero in un salotto. Che Il Signore degli Anelli fosse sostanzialmente per ragazzi lo dice il fatto che di tanti soggetti perversi e posseduti da brame, non uno di loro manifesta voglie sessuali; inoltre mai di essi compaiono le famiglie. Mal si concilia poi il coraggio e la generosità degli Hobbit con le loro paure e terrori. La scena in cui il servo Sam sta accanto all'adorato padrone Frodo, creduto ucciso dal mostro, è assai debole: scarsa emotività di Sam, dolore poco e male rappresentato, prevalendo la preoccupazione per se stesso e per la missione da portare a termine (cfr. La Due Torri. pag. 377-378). Viceversa il personaggio di Gollum, che contiene in sé Sméagol, è geniale e inedito. Gollum, fisicamente sgraziato e unico esemplare di tal razza, infido e servile dovendo sottomettersi, si rivolge spesso apertamente alla sua seconda personalità, ragiona, discute con essa, e nella sua viltà riesce spassoso. Altrettanto originale e azzeccato troviamo Barbalbero, la sorta di albero semovente animato al pari di un mortale, bonario ma un rullo compressore quando si tratta di fare giustizia. Ma ripeto che la sovrabbondanza di soggetti e di situazioni, insieme agli innumerevoli prodigi e ai luoghi inattesi ad ogni piè sospinto, va a detrimento dell'essenziale, dell'armonia, del punto di vista distaccato necessario al pathos. La vicenda avventurosa e guerresca risente del truce, dell'oscuro, del truculento, del ripugnante, relativi ai luoghi spaventevoli e agli orridi avversari, restringendosi così lo spazio del meraviglioso. La parola tetro predomina e ricorre cento volte.
  Vi sono pure squarci di sereno, per lo più melanconici, come nel finale in cui Frodo si stacca da colui che è il caro amico prima d'essere il servitore, e lascia la patria Contea per imbarcarsi con lo stregone su un vascello. La partenza prefigura l'approdo a un lido alieno dalla Terra di Mezzo, adatto a chi ormai deve trascenderla. Infine la breve Appendice esula dal racconto per la gioventù, riepilogando la storia di Aragorn erede dell'antico Regno, del quale entrerà in possesso, e della sua amata Arwen, che per amore rinuncerà alla sua condizione privilegiata di elfica, accettando di divenire mortale sposando il Re.


Piero Nicola 

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