Cadute le ideologie novecentesche, piovuto il discredito sulla politica e
sulla classe dirigente, precipitate filosofia e religione nel nichilismo e nel solve ecumenico, lavoro e produzione in
funzione della prosperità economica e del carpe
diem edonistico, sembrano esaurire le aspettative popolari. Soltanto
qualche popolo europeo, provocato dalla minaccia dell'immigrazione abusiva,
ritrova la Patria e un poco Nostro Signore. In Cina, la Patria è quella
colorata di mitologia comunista e provvida di efficienza economica. Se ieri
cercarono di far attecchire laggiù la democrazia, stante la desolazione del
maoismo, oggi il regime che funziona è diventato intangibile. Domani, a
scadenza imprecisata, anch'esso andrà incontro alla sua decadenza. Ma in futuro
potrebbe intervenire una guerra a ridare le carte ai contendenti, o a condurre
all'ultima spiaggia.
Per ora la Cina è il paese esemplare, essendo del tutto idoneo a
svilupparsi materialmente. E la competizione mondiale si gioca affatto su
questo piano materialistico.
In un articolo pubblicato su Il
Giornale il 29 ottobre, lo
studioso Riccardo Ruggieri spiega il motivo dell'eccellenza cinese: la
dittatura. Ciò non è per niente scandaloso, anzi risulta ragionevole. Poiché, a
questo punto, lo Stato deve provvedere a soddisfare la mentalità e i desideri
prevalenti dei cittadini, bisogna che esso agisca alla stregua di un'azienda. E
l'azienda per sua natura è organizzata gerarchicamente, quasi come l'esercito:
aliena dalla democrazia. Per dare frutto, l'impresa riposa su un solido
organico e su un vertice avente pieni poteri; né sarà imbarazzata da scioperi e
contestazioni dei dipendenti. Quando il vertice fallisce, la sostituzione
diventa inevitabile, ma fintanto che regge, quasi nessuno trova da ridire.
L'autore dell'articolo descrive lo stato-imprenditore e regolatore della
società, vigente in Cina. Un unico Timoniere (Xi Jiuping), un Comitato
ristretto, un solo partito monolitico, il potere giudiziario sottomesso al
potere esecutivo. In tal guisa tutta l'economia e i bisogni sociali sono sotto
controllo, ogni aggiustamento si attua con prontezza, la potenza militare
(sempre necessaria) viene assicurata, le industrie strategiche sono in regime di
monopolio. E i risultati appaiono evidenti.
S'intende che un sistema politico efficace (giacché di politica sempre si
tratta) non si giustifica con la sua sola efficacia. Anche il nazismo visse d'un
successo cosiffatto, i tedeschi entusiasti o consenzienti. Il male può abitare
nel totalitarismo in auge o in un regno assoluto comunque giustificato, come il
Regno del Vaticano, istituito nientemeno che da Gesù Cristo. La Chiesa è pure
uno Stato sovrano. Resta il fatto che il sistema strettamente gerarchico e
autorevole, privo di contrasti e di
divisioni, assolve la sua funzione meglio di ogni altro. Del resto, le
democrazie non hanno dato prova di sanare lo Stato e i costumi, semmai il
contrario; tanto che oggi la maggioranza non vota alle elezioni o vota
soprattutto per protestare.
Ne
viene che il male si rimedia soltanto con una giusta Costituzione, con leggi
fondamentali e irrevocabili fatte rispettare da una potestà robusta, atta alla
tutela del bene. Naturalmente il male pratico non sarebbe eliminato, data la
debole natura umana. Ma lo Stato non sarebbe iniquo, quando i governanti
dovessero per principio, volenti o nolenti, custodire la Verità (antidoto della
corruzione), permettendo ai giusti di preservarsi e di contagiare gli iniqui, tenuti in soggezione.
Riprendiamo l'esempio della Chiesa. I Pontefici inetti o corrotti (p.e.
Alessandro VI) non poterono fare un danno eccessivo, avendo mantenuto il
Deposito della Fede. Dopo di loro, la Sposa di Cristo ebbe modo di
risollevarsi, maggiormente benefica. Soltanto gli occupanti del Trono di Pietro
che hanno osato violare la Legge eterna, hanno prodotto la necessità d'un
ripristino del Regno da essi usurpato: reso nocivo e inservibile, per quanto
resti in piedi.
Piero Nicola
salve
RispondiEliminasottoscrivo ogni parola, compreso le virgole, dell'articolo
un saluto
Piero e famiglia