Chi ricorda questo scrittore potente, roccioso e umano, poeta nella sua
prosa ricca e incisiva, in una narrativa che ci fa partecipi degli ambienti
come delle vicende con efficacia immediata e sincera, compiendo affreschi di
vita autentica? Chi rende omaggio ai contenuti ideali dei suoi romanzi, pregni
di sapienza esistenziale e sociale? Chi apprezza ancora i loro protagonisti
positivi, con i quali si risolve al meglio l'avventura terrena, attraverso il
personale travaglio, con i quali si distruggono, sulla condizione umana, sia il
pessimismo che l'illusione ottimista, la condanna alla miseria morale e la
falsità?
Ultimamente, nella sua terra d'origine, da lui amata e illustrata,
qualcuno ha tentato un suo dissotterramento, una riabilitazione, a prezzo di
qualche bugia; poiché egli non solo esaltò concezioni appartenenti al fascismo
(mai abiurate), ma non negò ad esso il suo consenso. Il riconoscimento prestato
al concittadino resta comunque tardo e parziale, disperso nella vasta dimenticanza,
negato dalla denigrazione degli addetti ai lavori di critica letteraria, nei
repertori specifici da cui non è stato possibile eliminarlo.
Lo stile del Cozzani, pur essenziale, presenta una menda; ciò va
riconosciuto. È un neo dovuto al temperamento, piuttosto che un punto di vista
melodrammatico, tanto meno è un'infatuazione e imitazione del dannunzianesimo.
Quasi con rammarico si riscontrano certe accentuazioni evitabili, che i
detrattori tacciano, a torto, di enfasi ottocentesca, e vi si appigliano per
inficiare tutta un'opera grande. Il sentimento di tale grandezza, d'una
costruzione robusta, compiuta, persuasiva, obbliga ad accettare il lavoro, a
rigettarne una bocciatura, a ringraziare di averne potuto godere, di non averlo
perduto.
Prima di presentare a sufficienza autore e opere, devo porre un'altra
avvertenza. Essendo un estimatore di Giovanni Pascoli, in particolare, dell'interpretazione
pascoliana di Dante politico e teologo, Cozzani, pur rispettoso della nostra
Religione, omette l'eterodossia del Poeta romagnolo, cui si contrappone
l'ortodossia dantesca (confermata da Benedetto XV con l'Enciclica In Praeclara Summorm).
Cito alcune note circa il pensiero di Pascoli, contenute nel IV volume
della monografia (1937) a lui dedicata dal suo antico alunno all'Università di
Pisa.
"Noi attraversiamo un periodo in cui, non ostante la superba
eruzione di potenze storiche che drammatizza la vita, la letteratura è
minacciata dal più grave dei pericoli, quello di diventare formalismo, tecnicismo,
sensualismo, esteriorità. L'idea pascoliana disperde questo pericolo, perché
riafferma la necessità - per l'opera d'arte, d'essere unità e totalità di
spirito e di forme - e per l'artista, di vivere e trasfigurare in bellezza la
fede, il pensiero, la volontà dei suoi tempi, della sua terra, della sua razza,
chiamando i millenni a testimonianza della missione del proprio popolo, e
schiudendo ad esso la visione del suo avvenire sull'orizzonte del destino
universale.
"Noi
ci accorgiamo che tutto intorno a noi e in noi stessi si prepara ed è già in
atto una vera palingenesi umana, nella quale lo scetticismo, la materialità, la
prepotenza delle nude leggi fisiche, dei valori economici, delle abilità ed
esperienze organizzative, tentano di violentare le forze morali, imponendosi
come sola potenza creatrice, organizzatrice e dominatrice del cosmo umano.
"L'interpretazione pascoliana della Commedia insorge; illuminando
in tutte le coscienze la più alta delle verità: che la vita tende a sublimarsi
nell'ideale, liberando alla lotta tutte le forze spirituali; e la civiltà, per
quanto aspra e sanguinosa e scoraggiante d'arresti e di cadute sia la strada,
tende a diventare nella giustizia e nella pace, ordinata, feconda e lieta.
"Ed è forse destino che questa nuova apparizione di Dante ci si
chiarisca proprio mentre l'Italia, animata da un impeto di fede messianica, e
tutta intenta a rimettere sul loro piano gerarchico le forze spirituali, in
piena armonia con le forze materiali, attua la sua rivoluzione; e lavora a creare
le moderne leggi della convivenza umana basate su tutte le più audaci conquiste
della giustizia sociale e civile, che son l'avvenire, e sul concetto d'una
universalità cattolica e imperiale che è il passato ancor vivo e vitale".
"Nel 'buon Barbarossa' Dante non vede il nemico dell'indipendenza
italica, ma il rappresentante dell'Impero, a quindi in Milano non la
antesignana della libertà nazionale, ma la ribelle a Roma e alla missione di
Roma".
"Dante, di fronte al disordine delle vita comunale [...] lancia un
allarme: 'Se non ci sarà ordine, nella pace, e per mezzo della giustizia,
ordine che non può essere ricondotto in terra che dall'Impero, la vita
tempestosa, riempiendo ed eccitando di mali impulsi l'anima, le impedirà di
meditare e di contemplare: e l'anima disorientata, stordita, snervata, non avrà
possibilità di pensare alla sua salvazione e di salvarsi: ossia per essa la
Redenzione sarà come non fosse stata'.
"Soltanto che, secondo l'interpretazione del Pascoli, Dante queste
verità le ha espresse in una maniera oscura e potente, profonda e scottante,
misteriosa e abbagliante, perché le anime inadeguate a resistere non se ne
spaventassero, e le anime preparate e forti ne fossero scosse come da un
cataclisma interiore: che è il modo dei libri biblici e di tutte le profezie;
delle apocalissi e delle catarsi: il modo con cui egli ridifendeva ancora la
sua idea politica centrale, della necessità dell'Impero, e riaccendeva la sua
speranza dell'avvento dell'Imperatore, del Veltro".
Segnalo un'ultima cautela da assumere a proposito di Mazzini, da Cozzani
considerato maestro, così che nel 1917 fondò l'Associazione Nazionale La Giovane Italia, e fece dell'Apostolo
del Risorgimento l'ispiratore dello statuario che anima un suo romanzo. Ebbene,
il pensatore e patriota sovversivo genovese non fu cattolico. Perciò se ne potevano
trarre alcune affermazioni di valori, evitando di prenderlo come figura
esemplare.
Ettore
Cozzani (La Spezia 1884 - Milano 1971) nel 1911 pubblicò L'Eroica, rivista di arti figurative e letteratura, con l'intento
dichiarato di "annunciare, propagare, esaltare la poesia, comunque e
dovunque nobilmente essa si manifesti in ciascuna arte e nella vita".
Tenne fede all'impegno preso, procurando una veste tipografica pregevole e la
collaborazione di notevoli artefici nel campo delle previste creazioni.
Continuando la sua professione di insegnante, trasferì la Casa editrice a
Milano, con la quale curò la pubblicazione di libri, anche propri. Per la Giovane Italia, da lui diretta durante
un quinquennio, redasse L'Orazione ai
giovani. I titoli principali della sua produzione sono inoltre: Le strade nascoste e Le sette lampade accese (novelle del
1920); Il regno perduto (1927),
romanzo premiato, riedito corretto nel 1941; Il poema del mare (1928); Leggende
della Lunigiana (1931); Isabella e altre creature (racconti drammatici
del 1933); Un uomo (1936); Come visse e morì Vittorio Locchi (1937),
in ricordo dell'autore di La Sagra di
Santa Gorizia; Ceriù (1938), romanzo
per i giovani; Vita di Guglielmo Massaia (1943),
citato dalla Enciclopedia Cattolica nella bibliografia in calce alla voce
dedicata al celebre missionario divenuto cardinale; Destini (1944).
Nei
corposi volumi Un uomo e Destini i protagonisti dei romanzi sono,
il primo: un figlio delle Apuane, che intende risolvere la crisi dell'industria
marmifera con soluzioni ardite e lungimiranti, non recepite dagli imprenditori,
è costretto, a causa di pregiudizi e complicazioni dei rapporti sentimentali, a
rinunciare alla direzione della cava affidatagli per darsi a un'eroica impresa
agricola e d'allevamento sugli alti colli carraresi; il secondo: uno scultore
genovese, sistemato nel sudato studio costruito tra il porto e un cantiere di
demolizione, e presso qualche bicocca di pescatori sospesa tra la spiaggia
scogliosa e la muraglia della circonvallazione cittadina, vuole raffigurare esseri
umani ispiratori di nobiltà, ma resta incompreso. Poi plasma i lavoratori duramente
provati, di terra e di mare, affinché le loro degne espressioni suscitino il
loro riscatto, edificando bensì chiunque quei bronzi abbia apprezzato; e torna
a scontrarsi con la critica disonesta e con gli interessi politico-economici della
borghesia del primo dopoguerra. Quindi accetterebbe come committente un
capopopolo, sorta di asceta rivoluzionario. Ma di fronte al conflitto di classe
che sta dilaniando la società e rovinando la nazione, lo scultore perde la
fiducia e ritira la sua opera. Allora trova lo sbocco ideale in un ritratto di
Mazzini. Delibera di dedicarsi a un gruppo scultoreo che fa capo a lui. Nel gruppo prevale il concerto dei vari
soggetti, il senso del dovere, del sacrificio, senza che nessuno sia svilito e si
snaturi.
Le due trame sono ben articolate; ospitando svariati personaggi, vengono
alimentate da visioni del mondo conformi alle differenti indoli e menti, e presentano
intrecci amorosi, che, nel primo libro, si dipanano e culminano nell'unione
attesa; nel secondo, alla fine, l'amata muore in un incidente, avendo dato vita
al dramma della donna mal sposata e madre, onesta, e che un amore generoso
avrebbe destinato ad essere la valida compagna dell'artista.
Piero Nicola
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