Un bimbetto si
rivolge a me come a seconda persona singolare, mi dice “tu”. Che cosa ne può,
se l’hanno educato così?
Una ragazzetta del vicinato che mia moglie ha
preso a benvolere e sotto la sua ala (essendo dimezzata l’ala familiare sopra la
giovincella) vorrebbe agire con me allo stesso modo, e sembra delusa e quasi
offesa, quando metto le mani avanti avvertendola che non mi ci trovo con la
confidenza. La compagna della mia vita ci resta male, rimugina un rimprovero
diretto a me. Sarei io scortese e scriteriato. Spiacente: si sta al proprio
posto oppure no. Non è data una terza situazione.
I romani davano del tu al divino imperatore. Che altro potevano
fare, se non disponevano del voi o
del lei? Poi, qualcuno li inventò e si godette questa opportunità. Tuttavia
i romani esprimevano la loro deferenza diversamente, rispettavano gerarchie e
convenienze sociali.
Noi possiamo trattare le persone secondo il
genere di relazione che abbiamo con loro, preliminarmente con il lei, con il voi, con il tu.
Trascurare questo uso e privarsene è insensato. Tolta la base consuetudinaria
del debito rispetto, sgorga automaticamente una familiarità inopportuna, si
scende a una maniera di stare da pari a pari che contraddice le differenze, e
imbarazza chi non sia l’amoroso drudo
della democrazia. Se al tu è permesso
di invadere l’uso delle debite
distanze, allora si abbia il coraggio di abolire il lei.
Oggi la dea Uguaglianza opera il prodigio di
annullare le distanze con reciproca soddisfazione. Su questo punto, i due
d’impari condizione s’intendono alla svelta. Il maggiore previene il minore
dandogli del tu, anche senza
preamboli. Non si atteggia a uomo di larghe vedute. E’ ormai senz’altro un bene
stare in dimestichezza. Se ne ha la convenienza, perché si parla come a casa
propria, con la veste da camera lisa e le pantofole, magari pronti a emettere
un peto, ma, nel contempo, il democratico
che ha il coltello dalla parte del manico non ci rimette. Chi sta sopra, grazie
alla familiarità, può disporre dell’altro senza complimenti. La confidenza
toglie la riverenza? Che fa? Se la riverenza è morta e tuttavia si dispone
della minaccia.
L’altro, il minore, quando gli garbi rompe
gli indugi accennando al tu, e arriva
ad imporlo come si impone di convenire che siamo antirazzisti e antinazisti. Egli
ne approfitta per prendersi delle libertà. Anche lui potrà fare a meno di
controllarsi, di frenare i consueti impeti sconvenienti e volgari, di badare
alle detestate formalità. Egli è tardo a comprendere che, distrutto il rispetto
formale, va a rotoli il rispetto sostanziale, e che, abbassandolo, verrà meno
anche il riguardo verso sé stesso. Il restringersi al tu trascina davvero con sé la confidenza che toglie la riverenza.
Se prendiamo un romanzo francese anteguerra,
troviamo i fidanzati che si trattano col voi,
in una Francia avvezza ad essere licenziosa. E com’è bello questo riguardo
verso l’oggetto di un sentimento così importante qual è l’amore o anche la
semplice promessa di matrimonio! Come è giusta la soggezione a un caso cruciale
per la vita intera!
Riassumendo, al solito, chi ha più filo fa
più tela. Permane l’ansia di trarre il proprio guadagno, debito o indebito,
dalle umane relazioni. Ma il concedersi certe libertà contribuisce a che
rimanga incolta la garbata generosità, a che inselvatichisca il compito
doveroso e obbiettivo di tenere le cose al loro posto. La qual cosa si addice
al selvaggio abbattimento delle regole più sante.
Piero Nicola
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