mercoledì 28 gennaio 2015

TI DO DEL TU ANCHE SENZA PREAVVISO (di Piero Nicola)

Un bimbetto si rivolge a me come a seconda persona singolare, mi dice “tu”. Che cosa ne può, se l’hanno educato così?
  Una ragazzetta del vicinato che mia moglie ha preso a benvolere e sotto la sua ala (essendo dimezzata l’ala familiare sopra la giovincella) vorrebbe agire con me allo stesso modo, e sembra delusa e quasi offesa, quando metto le mani avanti avvertendola che non mi ci trovo con la confidenza. La compagna della mia vita ci resta male, rimugina un rimprovero diretto a me. Sarei io scortese e scriteriato. Spiacente: si sta al proprio posto oppure no. Non è data una terza situazione.
  I romani davano del tu al divino imperatore. Che altro potevano fare, se non disponevano del voi o del lei? Poi, qualcuno li inventò e si godette questa opportunità. Tuttavia i romani esprimevano la loro deferenza diversamente, rispettavano gerarchie e convenienze sociali.
  Noi possiamo trattare le persone secondo il genere di relazione che abbiamo con loro, preliminarmente con il lei, con il voi, con il tu. Trascurare questo uso e privarsene è insensato. Tolta la base consuetudinaria del debito rispetto, sgorga automaticamente una familiarità inopportuna, si scende a una maniera di stare da pari a pari che contraddice le differenze, e imbarazza chi non sia l’amoroso drudo della democrazia. Se al tu è permesso di invadere l’uso delle debite distanze, allora si abbia il coraggio di abolire il lei.
  Oggi la dea Uguaglianza opera il prodigio di annullare le distanze con reciproca soddisfazione. Su questo punto, i due d’impari condizione s’intendono alla svelta. Il maggiore previene il minore dandogli del tu, anche senza preamboli. Non si atteggia a uomo di larghe vedute. E’ ormai senz’altro un bene stare in dimestichezza. Se ne ha la convenienza, perché si parla come a casa propria, con la veste da camera lisa e le pantofole, magari pronti a emettere un peto, ma, nel contempo, il democratico che ha il coltello dalla parte del manico non ci rimette. Chi sta sopra, grazie alla familiarità, può disporre dell’altro senza complimenti. La confidenza toglie la riverenza? Che fa? Se la riverenza è morta e tuttavia si dispone della minaccia.
  L’altro, il minore, quando gli garbi rompe gli indugi accennando al tu, e arriva ad imporlo come si impone di convenire che siamo antirazzisti e antinazisti. Egli ne approfitta per prendersi delle libertà. Anche lui potrà fare a meno di controllarsi, di frenare i consueti impeti sconvenienti e volgari, di badare alle detestate formalità. Egli è tardo a comprendere che, distrutto il rispetto formale, va a rotoli il rispetto sostanziale, e che, abbassandolo, verrà meno anche il riguardo verso sé stesso. Il restringersi al tu trascina davvero con sé la confidenza che toglie la riverenza.
  Se prendiamo un romanzo francese anteguerra, troviamo i fidanzati che si trattano col voi, in una Francia avvezza ad essere licenziosa. E com’è bello questo riguardo verso l’oggetto di un sentimento così importante qual è l’amore o anche la semplice promessa di matrimonio! Come è giusta la soggezione a un caso cruciale per la vita intera!
  Riassumendo, al solito, chi ha più filo fa più tela. Permane l’ansia di trarre il proprio guadagno, debito o indebito, dalle umane relazioni. Ma il concedersi certe libertà contribuisce a che rimanga incolta la garbata generosità, a che inselvatichisca il compito doveroso e obbiettivo di tenere le cose al loro posto. La qual cosa si addice al selvaggio abbattimento delle regole più sante. 

Piero Nicola

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