Solamente un cuore poietico può sfidare il
potere che produce e governa il giro vizioso dell'umana fragilità intorno alla
giostra degli sfinimenti e delle frustrazioni. Solamente una personalità
poietica, passata indenne, quasi per miracolo, attraverso la rumorosa e
vergognosa catastrofe della destra politicante, può compromettere la propria
collaudata intelligenza associandola all'ardua avventura, che è ostinatamente
suggerita dal pensiero forte.
Tommaso
Romano, autore dell'avvincente raccolta di saggi Il sismografo e la cometa, pubblicata
in Palermo dall'Isspe, vive con felice ardimento il divorzio della speranza
dall'estenuato, esangue e purtroppo imperante parolaio politichese, concerto di
eccitazioni effimere e di umilianti manfrine, contro le quali è doveroso
affermare il primato del bene comune sul bene della fazione plaudente.
Il
pensiero di Romano accende un'ipoteca sul futuro perché interpreta la cultura
della speranza albeggiante oltre il
desolato presente. Una cultura politica che guarda oltre l'inautentico
territorio della destra schizoide, comiziante, trafficante e perdente.
La
qualità del ragionamento e della cultura abilita Romano a interpretare
autorevolmente l'esigenza di una profonda riflessione critica sul liberalismo,
l'ideologia che ha contagiato, avvelenato e disintegrato la classe dirigente
della destra italiana prima di trascinarla al ripudio chic della sua
ragion d'essere.
Il
primo movimento nella direzione della rinascita nazionale è l'aperta sfida ai
feticci venerati nel tempio dell'ateismo postmoderno. Romano si chiede: "E'
possibile ancora rifiutare, in nome di un inconcludente relativismo, ogni
metafisica come umana speranza di altezze non effimere, ogni educazione fondata
su assunti certi e autorevoli, ogni autorità non in preda alle follie cangianti
del demos?"
Nascosta dal fumo
delle chiacchiere, trasmesse dalla gang mediatica, la possibilità di un
domani migliore appare condizionata "dal ribaltamento delle tendenze
perverse che si sono imposte nel tempo
come autentiche egemonie, senza invocare come salvifiche le prediche, ma
operando di conseguenza, alieni da paure per l'andare controcorrente e per
suscitare un ritorno al reale".
L'auspicio
di Romano è la costituzione di una destra sociale, fedele ai suoi indeclinabili
princìpi, che sono strutturalmente irriducibili alla mitologia liberalista.
La
descrizione dell'ideologia professata dagli avversari del bene comune è
implacabile: "Dopo l'ubriacatura perversa dell'industrialismo non
poteva che dominare la concentrazione in poche mani della ricchezza e lo
strapotere (voluto dal nostro sistema statuale, asservito a questa Europa)
del potere bancario intrinsecamente usuraio e senza patria e cioè senza legami
e radicamenti collegati con gli interessi dei popoli".
Bruxelles
è un tetro paese dei balocchi, allestito per attuare la metamorfosi
masochistica e thanatofila dell'aspirazione al bene comune. Di qui l'urgenza di
rinegoziare, ossia "riprendere la sovranità nazionale, anche e sopra
tutto monetaria, strappata vilmente ma con il consapevole ascarismo delle
nostre classi di governo".
La verità, nascosta
dietro la cortina di menzogne alzate dai megafoni del potere iniziatico,
manifesta l'impoverimento causato dalla globalizzazione, "che favorisce
solo alcuni plutocrati e politici e poche nazioni, le solite peraltro".
Di qui
la strenua opposizione all'utopia globalista, una sciagura cavalcata dai nemici
della tranquillità nell'ordine, i quali hanno attuato "l'apertura delle
frontiere senza contrappesi, senza programmati ed efficaci limiti
all'immigrazione, che si espande senza prospettive, senza regole e senza
controlli, favorendo l'ingresso di integralisti e terroristi. Bisogna anche in
questo caso coraggiosamente invertire la rotta".
Per uscire dal vicolo
cieco in cui ci ha sospinti l'europeismo - infelice e stantia elucubrazione
dell'utopista anti-italiano Altero Spinelli - occorrono riforme coraggiose
"e tuttavia, ci rammenta Romano, la prima vera riforma non può
essere che quella morale, interiore di ognuno".
La
politica della destra che (forse) sarà dopo l'obbligata pausa di riflessione in
atto, deve anzi tutto fare i conti con il criminoso, ripugnante delirio
abortista, "odio per la vita intesa come il generare la continuità della
specie, che inesorabilmente si istilla, è l'odio per ciò che significa fedeltà
agli Avi, al passato, alla Tradizione".
La prima pagine della
carta d'identità, che qualifica la politica della destra, è la difesa della
vita attuata senza compromessi e senza i cedimenti, de quali si sono dimostrati
capaci gli esponenti delle frange deboli (ma applaudite) del cattolicesimo
castrato.
Al
proposito Romano sfoggia la sua sana intransigenza e scrive: "Il
novismo, falsamente misericordioso, il presumere che le piazze piene e il
consenso mondano riconducano alla Verità, ad un cosmico Cristo, è una falsa e
terribile illusione, intesa al sincretismo. ... Vale il Decalogo, valgono i
precetti o tutto si dissolve in un Amore che sa tanto di marmellata New Age".
La politica combattere
lo sterminio avviato dagli abortisti in nome di sinistre elucubrazioni
malthusiane. E combatte senza paura dell'accusa che riduce gli avversari
dell'aborto a improvvisati giudici, poiché la condanna dell'omicidio sta nel
Decalogo e non nell'opinione mutevole degli uomini.
Poste
le solide basi del pensiero politico "bisogna auspicare e lavorare per
far sorgere nuove élites dirigenti di servizio, per una aristocrazia aperta e
che si rinnova, non mummificata in titoli altisonanti e però vuoti di valore,
spirito di carità e di intrapresa al servizio del prossimo".
Il movimento
post-babelico, di cui si avverte la impellente necessità, non può costituirsi
senza una preliminare formazione della sua classe dirigente.
Ora in
alcune città d'Italia, Roma, Palermo, Firenze, Napoli, Padova, Milano, Genova
ecc., sono attivi ma non coordinati alcuni qualificati centri di formazione
culturale. Importante è altresì il contributo prestato dalle case editrici
d'area, dai torchi delle quali escono in continuazione testi utili al
rinnovamento della cultura della destra.
Su
queste centrali incombe tuttavia il rischio, incombente dal basso soffitto dei
mezzi economici oltre che dalle legittime gelosie, della riduzione dei centri
vitali ad arcipelago di nobili nicchie non comunicanti a causa dell'assenza di
finestre.
Ci si
augura pertanto che alcune personalità, dotate dell'autorità di Tommaso Romano
(e di Roberto De Mattei, di Pucci Cipriani, di Roberto Dal Bosco, di Maria
Guarini, di Elisabetta Frezza, di Alessandro Gnocchi, di Paolo Deotto ecc.),
assumano un'iniziativa finalizzata al coordinamento delle attività
propedeutiche alla fondazione di un movimento politico capace di uscire -
finalmente - dalle lugubri e appiccicose ceneri della defunta destra.
In
questa prospettiva i saggi politologici di Romano sono da stimare quali
preziosi, poietici incentivi al passo avanti che i centri della
nuova cultura dovranno decidere in vista della rifondazione della politica.
Piero Vassallo
Nessun commento:
Posta un commento