Passeggiando sul lungomare, ho incontrato un
vecchio compagno di scuola che non vedevo da anni. Ha lavorato quasi sempre in
Africa e in Persia nelle installazioni petrolifere. Di lui non do altri
particolari che potrebbero farlo identificare.
L’ho accompagnato nella direzione in cui stava
andando, all’incirca a testa bassa. Dopo esserci scambiati ragguagli sulle
nostre situazioni familiari e sulle nostre attività di pensionati, la
conversazione si rarefaceva e gli vedevo un’ombra sugli occhi.
“Sai” mi ha detto di punto in bianco,
allungando il passo, “sono omofobo”.
Conoscendolo abbastanza, ho voluto farglielo
ripetere e me l’ha confermato.
“Devo riconoscere che lo sono”.
“E te ne preoccupi?”
“Capisci” ha risposto, “si tratta della libertà
di parola e… di coscienza, se non posso dire come la penso”.
Avrebbe potuto fare a meno di chiarire che
altro lo impensieriva più della sua personale costrizione.
Vedendo il mia fonte corrugata su
un’espressione un po’ ironica, ha soggiunto:
“Lo so, a te delle libertà non importa… Non
sei democratico”.
“Non è esatto” ho preso a spiegargli.
“Accetterei una diversa democrazia, che ti darebbe la libertà di confessarti
omofobo”.
In un misto di sorpresa e di sfida mi ha
chiesto quale genere di democrazia m’immaginavo. E gli ho detto che, se nella Costituzione
fosse scritto che tutti i cittadini devono rispettare la legge naturale, e se
vi fossero elencati i suoi principi, la faccenda sarebbe risolta”.
“La legge naturale?” domanda perplesso. “Ma
quale?... E poi Croce, il filosofo, quando hanno fatto la Costituzione, trovò a
ridire che era già troppo piena di norme e di vincoli…”
“Certo, per lui liberale, nella società
svincolata sarebbe spontaneamente emersa la miglior giustizia”.
“Ma la giustizia non si trova già nella
coscienza?” si ricorda, o trova, dove sta la chiave.
“Però, come vedi, il tuo foro interiore
contrasta con la legge democratica”.
“Bisogna darle tempo…”
Si ferma, come se il movimento corporeo
disturbasse l’elaborazione cerebrale.
“E dalla libera dialettica verrà fuori il
meglio, non è vero?” osservo. “Ma non è così”.
Ho argomentato che la ragione umana non arriva
a discernere il bene e il male iscritti nel nostro cuore, che l’uomo è debole,
una creatura decaduta, che nella lotta del bene e del male, la malizia prende
il sopravvento, quando non interviene la divina Autorità, quando essa non viene
rispettata.
“Sei pessimista”.
“Non sei cattolico?” gli ho obiettato.
“Non mi sembra che la Chiesa parli come te. La
morale cattolica…”
“Questa finta morale cattolica è laicista”.
Mi sono accorto che intendevo sfondare un muro
troppo spesso, troppo sordo. Perciò gli ho chiesto come era arrivato a un
sentimento omofobo.
“Non credere che sia un sentimento” ha risposto
quasi di malavoglia. Riprendendosi, comincia a ripercorrere il suo procedimento
di verifica esatta, da ingegnere, in capo alla quale ha raggiunto la
convinzione del cui peso si è liberato con me.
La definizione di omofobia implicava ormai la
condanna di qualsiasi manifesto rifiuto dell’omosessualità, di qualsiasi
obiezione negativa intorno ad essa: una condanna assoluta e anche insultante
perché suggeriva la menomazione. Invece egli non era colpevole, né prevenuto e
neppure malato. Egli ragionava. All’omosessuale
spettano tutti i medesimi diritti di ogni altro individuo, dunque l’omosessualità
ha gli stessi diritti della sessualità che procrea: diritto al matrimonio, ad adottare
e allevare figli. Il genere sessuale non è determinato dalla natura con gli organi
genitali e con la psiche che vi corrisponde, ma è dato dalla libera scelta.
Erano due affermazioni che non potevano stare in piedi. Il sesso, creato per
essere fecondo, per perpetuare la specie, poteva essere destituito della sua
funzione come niente fosse? La coppia formata da due uomini o da due donne
poteva costituire la stessa famiglia della coppia eterosessuale? Era un
assurdità. Egli non aveva nulla contro sodomiti e lesbiche, ma questo era un
altro paio di maniche.
Torno a dirgli che il legislatore resta un
essere mortale, fallibile e, nel caso specifico, preso a calci dai millenni che
lo sconfessano per le sue inedite trovate.
L’amico sembra non badarci, persevera con la
sua logica. Se fosse stata accolta come normale l’anomalia, se, per di più, l’ingiusto
considerare uguali i disuguali induceva i normali poco stabili a farsi
anormali, la disonestà subentrava all’onestà e dove si andava a finire? Essendo
ritenuto degno dell’uomo qualsiasi impulso che abusasse della formazione
maschile o femminile ricevuta dalla natura, anche nei diversi campi del
comportamento le prevaricazioni sarebbero divenute lecite secondo ogni voglia. Nessun
istinto o inclinazione comportava una colpa, tutto era permesso. Cosa grave: persino
la scienza, i suoi famosi esponenti, i luminari della medicina, sostenevano la
teoria della giusta istanza delle tendenze, della loro sana realizzazione. - Il
suo pensiero è qui parafrasato, ma il succo era questo.
Ho assentito. Ho ricordato Freud e la terapia
che libera dalle censure morali. Sin dalla fine degli anni sessanta la
rivoluzione dei costumi – ordita per atterrare il vecchio ordine, compiacendo
ogni appetito – era diretta all’annullamento del peccato, e si dovette sudare
per preservare l’ordine pubblico, le leggi e le costituzioni. Ma, essendo
l’alfa un erroneo riconoscimento dell’innocenza, una discolpa della
trasgressione, l’omega sarebbe stata l’anarchia.
“Uhm!” ha ripreso a camminare.
Ci siamo accorti che si era fatto tardi. Ci
siamo salutati.
Lì per lì, ero desolato d’avere accresciuto il
suo rovello. Poi, ho considerato che era difficile prevedere che cosa in
seguito ne sarebbe sortito.
Piero Nicola
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