La
politica per la globalizzazione promossa dall'Onu e dai poteri forti
obbedisce a quella “legge di umana
solidarietà e carità, che viene dettata e imposta sia dalla comunanza di origine
e dalla eguaglianza della natura razionale in tutti gli uomini, a qualsiasi
popolo appartengano, sia dal sacrificio di redenzione offerto da Gesù Cristo
sull’ara della Croce” [1],
o applica principi diversi se non contrari?
La dottrina cattolica “ci fa contemplare il genere umano nell’unità di una comune origine in
Dio”, e perciò approva i progetti seriamente intesi a promuovere lo
sviluppo di tutti i popoli della terra, a incrementare gli onesti scambi
commerciali e a stabilire la libertà di cercare un’occupazione dignitosa, nei
paesi che manifestano un’effettiva necessità di mano d’opera.
Ove si prefiggessero un tale disegno, i
promotori della globalizzazione sarebbero in armonia con il principio
cristiano, che afferma l’universale destinazione dei beni creati,
l’interdipendenza delle economie e il conseguente dovere di promuovere la
solidarietà internazionale.
Tuttavia Massimo Cacciari, autore di Arcipelago,
dall’ideologia globalista trae la giustificazione della deriva anti-identitaria
/ cosmopolita, che si attua nel villaggio
globale, una Babele compatibile con i princìpi della religione cattolica progredita.
Nelle pieghe del pensiero cacciariano,
infatti, agisce l'intenzione (di stampo francofortese) di eliminare il cardine
del pensiero occidentale, il principio d’identità e non contraddizione e di
indebolire la dottrina che contempla la persona umana unica e irrepetibile.
L’unità del genere umano è attuabile
unicamente attraverso il filtro del senso comune, che riconosce la gerarchia
delle forme civili e sconsiglia
l'avventuroso tentativo di assimilare soggetti, che professano credenze
inclini alla trasgressione oppure all'instaurazione violenta di una tirannia
pseudomistica.
L’inflessibile rifiuto della cattolica integrazione
educatrice, d'altra parte, va incontro, forse
involontariamente/inavvertitamente, al principio cardinale del razzismo, “il concetto di doverosità della separazione
delle varie razze umane, che vede la sua base teorica in primo luogo in un
fondamento metafisico consistente nel riconoscimento dell’irriducibilità ad un
modello comune dei diversi Sistemi di Valori, che esse hanno espresso e da cui
sono state a loro volta conformate” [2].
Ad uno sguardo realistico è evidente che è
doverosa la solidarietà fra i popoli, universalismo nutrito dall'apprezzamento
delle oneste tradizioni, che hanno origine dalla verità: “la Chiesa non può pensare né pensa d’intaccare o
disistimare le caratteristiche particolari, che ciascuno popolo con gelosa
pietà e comprensibile fierezza custodisce e considera qual prezioso patrimonio” [3].
La Chiesa inoltre insegna “che nell’esercizio della carità esiste un
ordine stabilito da Dio, secondo il quale bisogna amare più intensamente e
beneficare di preferenza coloro che sono a noi uniti con vincoli speciali”.
Purtroppo i banditori della globalizzazione
negano tali princìpi, e per promuovere il villaggio del futuro, postulano
l’alterazione e l'appiattimento delle identità nazionali.
In tal modo la vocazione universalista
deraglia in un integrazionismo finalizzato a impoverire l'identità delle
nazioni ospitanti e ad attizzare la rivalità degli ospitati.
Nel villaggio globale, infatti, la nazione è
concepita quale comunità di comunità,
ossia quale meccanica ammucchiata di gruppi culturali eterogenei, livellati
dall'irrealismo della legge ma non integrati e perciò reciprocamente estranei
(e potenzialmente ostili e conflittuali).
Privo di una cultura unificante, le nazioni
associate al villaggio globale si avvicinano alla figura di un serraglio senza
sbarre, in cui circolano pericolosamente animali feroci, dei quali si conosce
la diversità e la reciproca avversione.
Simile è la scena allestita nei paesi europei
incautamente aperti a un'ideologia incapace di indicare i mezzi necessari a
fronteggiare il potenziale invasore travestito da umile immigrante.
I politici e gli intellettuali europei,
scoprirebbe le ragioni della cautela da usare nei confronti dell'ideologia
globalizzante se rammentasse la storia della Persia, pacificamente invasa da
immigrati che, diventati maggioranza, costrinsero i nativi a convertirsi a una
religione non loro,.
L'esemplare storia dell'invasione islamica
della Persia conferma la fragilità dell’argine costituito dal buonismo e
dall'arrendevolezza.
Il razzismo, che i banditori del villaggio
globale proclamano di voler cacciare dalla porta della realtà quotidiana,
rientra dalla pia finestra che contempla la mezza luna.
L’esame realistico dell’ideologia globale svela un'intrinseca debolezza
cioè un'apertura alla trasformazione dell'immigrazione in colonizzazione
selvaggia.
Tale metamorfosi è facilitata dalla categorica
esclusione di valori razionalmente identificabili e indeclinabili, e perciò
atti ad integrare gli immigrati oppure a respingere la loro ingiusta pretesa
missionaria / egemonica.
La paradossale conseguenza di tale
autolesionistico disconoscimento è la dichiarazione razzista secondo cui “esistono solo gruppi indifferenti o nemici” [4].
Questo risultato appare evidente quando si
rammenta che, nella prospettiva razzista, l’unica convivenza possibile tra
etnie diverse comporta o lo sterminio o lo sviluppo separato vale a dire una “cordiale
ghettizzazione” sperimentata dai cristiani residenti nei paesi islamici.
Non per niente i razzisti - atei o religiosi -
disprezzano e odiano implacabilmente la tendenza cattolica ad
assimilare/convertire l'errante. Il razzismo dei sedicenti anti-razzisti
consiste a sua volta nel riconoscere, “rispettare” e costringere alla
convivenza la reciproca irriducibilità dei popoli a differente religione e/o
cultura.
Il mito di fondazione della società razzista
è il poligenismo. Per gli intellettuali che ne rivendicano sia pure
inconsapevolmente l’eredità, l’essenza dell’ideologia razzista si trova infatti
nell’avversione radicale al monoteismo
biblico, avversione che si rovescia
inevitabilmente in un “antiuniversalismo
radicale”.
Al politeismo è soggiacente un poligenismo babelico, che esclude, per partito preso, lo sforzo
d’integrazione dei popoli e condanna il qualunque pacifico impegno missionario.
Per combattere il razzismo, che può immigrare
nascosto nelle pieghe di un fanatismo missionario, è dunque conveniente
dissipare le suggestioni mondialiste, che, a mal grado delle dichiarazioni
d’intenti, sono compatibili con la provocatoria idea degli sviluppi separati
(nei ghetti, che pullulano nella Grande Mela democratica e nelle capitali
dell'Europa sociale) o, peggio, con i minacciosi progetti di
colonizzazione islamica.
Piero Vassallo
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