Nei primi anni Sessanta l'iniziato torinese
Elemire Zolla (1926-2002), esteta raffinato ed estremo, lanciandosi all'assalto
delle mitologie progressiste e operaiste circolanti nelle cellule e nei
cineforum impegnati, ottenne da ammirati/infatuati baroni cattolici
una cattedra universitaria, che gli consentì di influire nella gestione di due
importanti case editrici, Borla e Rusconi.
Nessuno osava opporsi seriamente al fascino
sottile di uno scrittore autorevole e incensato in alto. Certamente non
il giovane collaboratore della rivista Renovatio, che, nel 1967,
ricevette, dal direttore, il compianto don Gianni Baget Bozzo, l’incarico di
recensire favorevolmente un saggio del
prestigioso Zolla.
Il redattore cominciò a leggere, a prendere
appunti e a cercare espressioni adeguate alla stima cattolica dovuta al
brillante contestatore del materialismo e della martellante/soffocante cultura
progressista.
Per puro caso il recensore fu colpito dalla
sperticata lode zolliana di un severo centro mistico, attivo
nell’antichità cristiana e citato negli “Stromata”
di Clemente Alessandrino.
Il giovane collaboratore di Renovatio
possedeva una rara copia della edizione degli “Stromata” datata 1925. La curiosità fu più forte della pigrizia. Lo
splendore mistico dall'austero professor Zolla fu messo a nudo da una scoperta
casuale: il testo edificante, da lui citato con sottile, beffarda
intenzione, descriveva festini sapienziali
a base di droghe sacramentate, severi colpi di frusta e atti sessuali contro
natura e in diverse posizioni. Pratiche che avevano destato l’orrore e la
condanna, del dotto teologo alessandrino.
Nella pia luce dei festini
gnostici la polemica di Zolla contro la cultura progressista rivelava la sua
segreta intenzione: accelerare il transito delle masse dall’utopia sovietica
alla religiosità porno-nichilistica, ovvero attuare quella mutazione
sporcacciona e thanatofila della
rivoluzione, che era stata programmata dagli alti “mistici” radical chic, francofortesi e californiani, per essere
festeggiata dalle urlanti/sragionanti/travolgenti folle sessantottine.
Purtroppo la rivelazione della fonte spuria
dello Zolla-pensiero fu contestata, sdegnata e tacitata dai baroni cattolici,
che avevano messo in cattedra l'elegante intellettuale.
L'infiltrato/incensato Zolla, che nel 1958
aveva conosciuto Cristina Campo [1], fece
uso delle altolocate amicizie di lei per incrementare la sua attività di
seminatore di testi pseudomistici, eleganti e incantevoli trappoloni, quali,
ad esempio, due opere della scrittrice gnostica Simone Weil, La Grecia e le
intuizioni precristiane [edita da Borla nel 1967 e nel 1972 da Rusconi] e Attesa di Dio, [edita
da Rusconi nel 1972].
Zolla, continuò la sua sottile opera di
attivista confusionario agendo come suggeritore anticattolico [2] fra gli
oppositori cattolici al Novo Ordo Missae di Paolo VI.
Don Francesco Ricossa, autore di un pregevole
ed equanime saggio, Cristina Campo o l'ambiguità della Tradizione, edito
da Sodalitium in Verrua Savoia nel 2005 [3], ha
dimostrato l'influenza negativa esercitata dai laicisti e dagli esoteristi (in
prima fila il guénoniano Zolla) infiltrati nel movimento per la difesa della
liturgia latina, Una Voce.
La presenza di studiosi eterodossi e umbratili
e/o impazienti/incontinenti fra i firmatari del documento in difesa della
liturgia tradizionale, annunciata dal notiziario Una Voce, e le
indiscrezioni sulle bizzarre idee in circolo nell'ambiente, allarmarono i non
leonini cardinali, che si erano dichiarati contrari alla riforma di Paolo VI, e
li indussero a non firmare. Zolla esultava e dichiarava la morte del
Cattolicesimo.
Di conseguenza la robusta opposizione
clericale alla riforma liturgica, minaccia che aveva allarmato la curia
progressista, si ristrinse alle sole firme animose ma sotto schiaffo dei
cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci, e fu privata della sua iniziale e
temuta efficacia.
Ai progressisti in clergyman non fu
difficile convincere i fedeli che la resistenza alla nuova liturgia era dettata
dall'estetica professata dal nucleo non cattolico dei firmatari e dei
sostenitori del Breve esame critico del Novus Ordo Missae.
L'esito scoraggiante dell'azione in difesa
della liturgia, riconosciuta la buona fede dei promotori, rivela la intrinseca
debolezza della qualunque strategia, del qualunque ecumenismo a destra, in
ultima analisi della qualunque tentazione di disobbedire al principio di
identità e non contraddizione, per cercare consensi obliqui e fragili alleanze
nell'area in cui la verità è inquinata da suggestioni non cattoliche.
Non ci si stancherà mai di rammentare
l'insidia in agguato fra le righe della trans-politica, e del qualunque
discorso pronunciato da tradizionalisti a mezzo servizio.
Da
Guénon a Zolla fino agli anti-abortisti in questi giorni ruggenti a corrente a
corrente alternata, la dolorosa storia dei rapporti tra cattolici e infiltrati
rammenta la gravità dei danni, che può procurare l'incauta apertura agli
esoterici amici.
Piero Vassallo
[1]
Cristina
Campo, pseudonimo della poetessa Vittoria Guerrini 1923-1977, "figlia
di musicisti, parente di Ottorino Respighi", apparteneva a una
illustre famiglia bolognese, fedele al movimento fascista. Al riguardo
cfr.: Don Francesco Ricossa, autore di un puntuale profilo biografico della
Guerrini, Cristina Campo o l'ambiguità della Tradizione, Centro
Librario Sodalitium, Verrua Savoia 2005,
pag. 21.
[2] Don Ricossa, nel
testo citato, rammenta che secondo un'opinione, che Zolla ha manifestato dopo
la morte di Vittoria Guerrini, la fede sarebbe "una capacità di autoallucinarsi o di sostanziare in un certo
modo la percezione". Zolla si spinse al punto di affermare che la
condanna del quietismo (un'eresia secondo cui il fedele che aveva raggiunto lo
stato di quiete era esentato dall'obbligo di resistere alle tentazioni), la
Chiesa aveva avviato l'estinzione del misticismo. L'enormità dell'eresia
quietista si deduce dalla biografia di Fénelon, che ha legato il suo prestigio
di vescovo blasonato ma incauto alla boccaccesca vicenda dei “riti” quietistici officiati
dall’intrepida/rovente visionaria Jeanne Marie de la Mothe-Guyon.
[3] Don Riscossa sospende il giudizio sulla fede di
Cristina Campo e contesta l'ipotesi sulla sua adesione alla tesi zolliana sulla
fine del Cattolicesimo: "la Campo parla di una possibile fine del
Cattolicesimo in seguito alla riforma liturgica. Ma fa di tutto per
evitarla. La sconfitta (così crede) in questa battaglia non viene da lei
inquadrata, guénonianamente, in una necessaria distruzione dell'ordine per
giungere al caos: Cristina della scomparsa della liturgia muore letteralmente e
mai abbandona - almeno visibilmente - la Chiesa"
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