Indubbiamente la strage che ha falcidiato la redazione del
settimanale «Charlie Ebdo» del 7 gennaio 2015 si è rivelata una inattesa fonte
di pubblicità per il romanzo Sottomissione
di Michel Houellebecq, allora appena edito in Francia (Flammarion, Paris 2015) e
sul momento di essere pubblicato in Italia (Bompiani, Milano 2015).
La vicenda parla di François, disincantato docente
universitario quarantacinquenne, apprezzato studioso di Huysmans che vive di
rendita intellettuale per la sua ponderosa tesi di dottorato e che passa la
maggior parte del tempo (si reca in università un solo giorno alla settimana) a
chiedersi come riempire dal punto di vista sentimentale (eufemismo) la sua
vuota esistenza.
Siamo nel maggio 2022, durante le settimane delle elezioni
presidenziali: i due candidati che accedono al ballottaggio sono Marine Le Pen,
ampiamente prima con il 34% dei voti e Muhammad Ben Abbes, della Fratellanza
Musulmana, che si attesta al 22%, superando di misura il candidato socialista. Contro
il Fronte Nazionale, naturalmente, si compatta lo schieramento di sinistra, in
nome del sempre utile antifascismo. Ad esso aderisce anche il partito di
centro-destra, che con i suoi voti (12%) avrebbe potuto permettere l’elezione
della Le Pen. Le urne portano all’Eliseo il primo presidente musulmano e il
protagonista, che si era allontanato da Parigi per timore di scontri, al
proprio ritorno si ritrova forzatamente pensionato (ma con un mensile
equivalente allo stipendio).
François vivrà per qualche tempo ai margini della società,
fino a che non sarà ripescato per curare una edizione delle opere complete di
Huysmans nella prestigiosissima collana della Pléiade delle edizioni Gallimard;
quindi gli sarà proposto di riprendere l’insegnamento, in cambio dell’adesione all’Islam.
Per François, che ha anche per un momento accarezzato l’idea di seguire il
percorso dell’amato Huysmans, finendo i suoi giorni in un convento di trappisti,
è più facile passare dal proprio agnosticismo alle comodità dell’islam piuttosto
che al rigore del cattolicesimo tradizionale: accetta quindi di diventare
musulmano, attratto soprattutto dalla prospettiva di uno stipendio da favola e
dei piaceri della poligamia. Non a caso, il romanzo si chiude con la domanda
rivolta al nuovo rettore ed eminenza grigia del presidente della repubblica: «Quale
sarà il mio stipendio? A quante donne avrò diritto?»[1], che
sintetizza mirabilmente le vere ragioni della sua decisione di convertirsi. Non
motivazioni spirituali, bensì un calcolo opportunistico basato esclusivamente
sul sesso e sul denaro.
L’immarcescibile fronte antifascista
A fianco di questa non esaltante vicenda di un “fallito di
successo”, simile per impostazione ad altri romanzi di Houellebecq, anch’essi
basati sulla miseria affettiva dell’uomo contemporaneo, vi sono una serie di
riflessioni sulla realtà socio-politica del nostro tempo, sulle quali, prima
che sulle qualità stilistiche dello scrittore, desideriamo soffermarci.
Intanto lo sfondo è tutt’altro che assurdo: l’avanzata del
Fronte Nazionale alle elezioni presidenziali nel 2017 vede coalizzarsi il
vetusto fronte “antifascista” per riportare all’Eliseo uno spento Hollande («La
stampa internazionale, basita, aveva potuto assistere allo spettacolo
vergognoso, ma aritmeticamente ineluttabile, della rielezione di un presidente
di sinistra in un paese sempre più dichiaratamente a destra»[2]); cinque
anni più tardi lo stesso fronte si ricompatta per permettere l’ascesa del
partito islamista, che altrimenti non avrebbe in numeri sufficienti per
governare.
Con grande “coerenza”, nei giorni cruciali che precedono il
ballottaggio i media francesi riservano
poco spazio all’imponente manifestazione del Fronte Nazionale, ma in compenso
si affannano a dipingere il candidato islamico come un “moderato” i cui
principi sono perfettamente in linea con quelli della Francia tradizionale:
«Quanto alla restaurazione della famiglia, della morale tradizionale e,
implicitamente, del patriarcato, davanti a lui [Muhammad Ben Abbes] si apriva un’autostrada che né i rappresentanti
della destra né tantomeno quelli del Fronte nazionale potevano percorrere senza
farsi dare dei conservatori o addirittura dei fascisti dagli ultimi sessantottini,
mummie progressiste moribonde, sociologicamente esangui ma rifugiate nelle
cittadelle mediatiche che continuavano a dar loro la possibilità di inveire
contro i guasti dell’epoca e l’aria mefitica che pervadeva il paese; solo Ben
Abbes era al riparo da qualsiasi pericolo. Paralizzata dal suo antirazzismo
costitutivo, la sinistra era stata sin dall’inizio incapace di combatterlo e
anche solo di menzionarlo»[3].
Un credibile panorama politico
Per giungere ad un’alleanza elettorale, la sinistra ha un solo
punto di frizione con gli islamici: la gestione del ministero dell’istruzione,
da sempre roccaforte socialista: «Per loro [la
Fratellanza Musulmana] l’essenziale è la demografia, e l’istruzione; il
sottogruppo demografico che dispone del miglior tasso riproduttivo, e che
riesce a trasmettere i propri valori, trionfa; per loro è tutto qua, l’economia
e la stessa geopolitica non sono che fumo negli occhi: chi controlla i bambini
controlla il futuro, stop. Perciò l’unico punto cruciale, l’unico punto sul quale
vogliono assolutamente soddisfazione, è l’istruzione dei bambini»[4].
Invece, paradossalmente, il centro-destra non considera
questo punto un reale motivo di scontro: «ciò che divide l’UMP [“Union pour un mouvement populaire”,
coalizione di partiti moderati di ispirazione gollista fondata da Sarkozy] dalla
Fratellanza musulmana è persino meno di ciò che la separa dal Partito
socialista. […] La cosa sarà meno difficile per l’UMP, che è ancor più vicino
alla disintegrazione, e che non ha mai dato la minima importanza
all’istruzione, concetto che gli è pressoché estraneo»[5].
Houellebecq non risparmia strali ai politici, di centro-destra
e di sinistra: per il presidente uscente Hollande si parla apertamente di «due
quinquennati catastrofici»[6], mentre
per il cattolico progressista François Bayrou si afferma che «la cosa
straordinaria di Bayrou, quella che lo rende insostituibile […] è che è
perfettamente stupido, il suo progetto politico si è sempre limitato al
personale desiderio di accedere con qualsiasi mezzo alla cosiddetta “carica
suprema”; non ha mai avuto, e nemmeno finto di avere, la minima idea personale
– cosa molto rara di questi tempi. Questo lo rende l’uomo politico ideale per
incarnare la nozione di umanesimo, tanto più che si crede Enrico IV[7] e si
spaccia per grande pacificatore del dialogo interreligioso; tra l’altro gode di
una certa popolarità nell’elettorato cattolico, che si sente rassicurato dalla
sua idiozia. È esattamente quello di cui ha bisogno Ben Abbes, che innanzitutto
desidera incarnare un nuovo umanesimo, presentare l’islam come forma compiuta
di un umanesimo inedito, unificatore, e che d’altronde è perfettamente sincero
quando proclama il suo rispetto per le tre religioni del Libro»[8].
Ma anche il centro-destra viene bastonato: molto grave è
l’affermazione sulla sua sudditanza politica all’Europa: «Il vero programma
dell’UMP, così come quello del Partito socialista, è la scomparsa della
Francia, la sua integrazione in un insieme federale europeo. I suoi elettori,
chiaramente, non approvano questo obiettivo; ma da anni i dirigenti riescono a
evitare di parlarne apertamente»[9].
La congiura del silenzio contro il Fronte Nazionale
E che dire del Fronte Nazionale? Nonostante l’ampio seguito
è messo in disparte dai media e ghettizzato nella provincia (tra parentesi: la
provincialità della cultura francese – e la spocchia di quella parigina in
particolare – è evidenziata da una frase del protagonista: «Conoscevo poco la
Francia, in generale. Dopo un’infanzia e un’adolescenza trascorse a Maisons-Laffitte,
periferia borghese per eccellenza, mi ero trasferito a Parigi, e non me n’ero
più andato; non avevo mai realmente visitato quel paese del quale ero, in
maniera un po’ teorica, cittadino»[10]) nella
letteratura come nella realtà: colpisce ancora il rifiuto opposto dai “democratici”
alla leader Marine Le Pen di sfilare nella manifestazione parigina dell’11
gennaio. Per la “cultura” che conta, quella dei salotti mediatici e delle
stanze del potere, un Francese su quattro (uno su tre nel 2022) semplicemente
non esiste.
E, tornando al romanzo, poiché il Fronte Nazionale viene
cancellato dai media, dopo la vittoria l’opposizione è appannaggio, più che della
sinistra, degli estremisti salafiti, che pretendono l’introduzione della sharia[11]. Dal
canto suo, il governo musulmano riconosce la bontà del distributivismo
cattolico, paradossalmente riprendendo le teorie di due oppositori del
colloquio tra le religioni come Chesterton e Belloc[12].
E Houllebecq, che en
passant ha messo in bocca al suo protagonista un rimpianto per l’epoca in
cui il divorzio non esisteva («Adesso Bruno e Annelise avevano sicuramente
divorziato, ormai era così che andavano le cose; un secolo prima, all’epoca di
Huysmans, sarebbero rimasti insieme, e forse non sarebbero stati così infelici,
tutto sommato»[13])
riconosce il valore fondamentale della famiglia: «l’individualismo liberale era
tanto destinato a trionfare finché si limitava a dissolvere quelle strutture
intermedie che erano le patrie, le corporazioni e le caste, quanto, aggredendo
quella struttura ultima che era la famiglia, e quindi la demografia, firmava il
suo fallimento finale; a quel punto, logicamente, arrivava il momento
dell’islam»[14].
Possibile che non esista una forte opposizione nazionalista?
Esiste, ma è divisa. Impietoso il giudizio dell’autore – messo in bocca ad un docente
che ne ha fatto parte: «in realtà il Blocco identitario era tutto fuorché un
blocco, era diviso in varie fazioni che si capivano male e s’intendevano
peggio: cattolici, solidaristi collegati con “Terza via”, realisti, neopagani,
laici duri e puri venuti dall’estrema sinistra… Ma tutto è cambiato con la
nascita degli Indigeni europei. […] Per riassumere la loro tesi, la
trascendenza è un vantaggio selettivo: le coppie che si riconoscono in una
delle tre religioni monoteistiche, che hanno preservato i valori patriarcali,
hanno più figli rispetto alle coppie atee o agnostiche; le donne sono meno
istruite, l’edonismo e l’individualismo meno pregnanti. Tra l’altro la
trascendenza è, in grande misura, un carattere geneticamente trasmissibile: le
conversioni, o il rifiuto dei valori familiari, hanno una rilevanza molto
marginale; nella stragrande maggioranza dei casi, le persone restano fedeli al
sistema metafisico nel quale sono state educate. Pertanto l’umanismo ateo, sul
quale poggia il “vivere insieme” laico, non resisterà a lungo, la percentuale
della popolazione monoteista è destinata ad aumentare rapidamente, specie nel
caso della popolazione musulmana – e questo senza tener conto
dell’immigrazione, che accentuerà ulteriormente il fenomeno. Per gli identitari
europei è assodato in partenza che tra i musulmani e il resto della popolazione
debba necessariamente, presto o tardi, scoppiare una guerra civile. La loro
conclusione è che, se vogliono avere una speranza di vincerla, gli conviene che
questa guerra scoppi il più presto possibile – in ogni caso prima del 2050,
preferibilmente molto prima»[15].
Il riconoscimento (postumo) alla Chiesa: l’applicazione del principio di sussidiarietà
Oltre all’introduzione del distributivismo, il nuovo regime
si distingue per la lotta alla criminalità (non si spiega bene come: è lecito
immaginare una tensione in precedenza rinfocolata ad arte nelle banlieues? Oppure alla debolezza dei
giudici paurosi di punire i colpevoli ed al conseguente timore reverenziale
delle forze di polizia nei confronti dei criminali?) e alla disoccupazione,
quest’ultima vinta grazie all’uscita delle donne dal mercato del lavoro e dalla
«notevole rivalutazione dei sussidi familiari»[16];
abbassato l’obbligo scolastico alle medie inferiori, incoraggiato l’artigianato
e lasciato l’insegnamento superiore ai privati secondo il principio di
sussidiarietà[17]
(citando direttamente il testo dell’enciclica Quadragesimo anno di Pio XI), l’autore immagina una Francia molto
meno lontana dall’ideale cattolico di quanto si sarebbe temuto: «Tutte queste
riforme miravano a “restituire il suo posto e la sua dignità alla famiglia,
cellula di base della nostra società”»[18].
Riconoscimento – va aggiunto – in un certo senso “postumo” perché l’adozione
della dottrina sociale della Chiesa non era assolutamente dovuta alla necessità
di accattivarsi l’elettorato di matrice cattolica[19].
Certo, con un siffatto finale che descrive una apprezzabile
“pax islamica” Houellebecq ha evitato
di farsi bollare come anti-islamico e può continuare a girare tranquillo per
Parigi. Quello che descrive è una sorta di “catto-islamismo” o meglio di
islamismo “ecumenico”, giustificato dal guenonismo imposto da Rediger,
l’eminenza grigia del presidente (Rediger è anche un ex nicciano e vale la pena
riportare a tal proposito un aforisma di Houellebecq: «Invecchiando, anch’io mi
riavvicinavo a Nietzsche, com’è senz’altro inevitabile quando si hanno problemi
di idraulica»[20]).
Il nuovo Islam tra Nietzsche e Guénon
Quella dello scrittore francese può essere considerata una
provocazione, una provocazione intelligente, peraltro, soprattutto se depurata
delle eccessive descrizioni delle avventure “galanti” (altro eufemismo) del
protagonista. All’avanzata dell’islamismo non riesce ad opporre resistenza né
il mondo della sinistra, né quello della destra, troppo diviso e senza chiari
punti di riferimento; l’ex (ma non poi tanto) nicciano passato all’Islam sostiene
che il solo fascismo, senza l’apporto cattolico, non può sorreggere il
nazionalismo: «Ho sempre considerato i fascismi come un tentativo spettrale, da
incubo e fallace di ridar vita a nazioni morte; senza la cristianità, le
nazioni europee non erano più che corpi senza anima – zombie»[21], ma si
fa musulmano quando si rende conto del suicidio dell’Europa («se la Francia e
la Germania, le due nazioni più avanzate, le più civili del mondo, potevano
abbandonarsi a quella carneficina insensata, significava che l’Europa era
morta»[22], dice a
proposito della prima guerra mondiale), suicidio inverato per lui nella
chiusura del bar dell’hotel Métropole di Bruxelles «il massimo dell’arredamento
Art Nouveau»[23].
D’altro canto, anche il protagonista, pur non essendo un
esteta come il rettore Robert Rediger o come Huysmans, percepisce il decadimento,
tra l’altro, nell’avanzare della nuova architettura sacra: «La chiesa moderna,
costruita nella cinta del monastero, era di sobria bruttezza – richiamava un
po’, per l’architettura, il centro commerciale Super-Passy di Rue de
l’Annonciation – e le sue vetrate, semplici chiazze astratte e colorate, non
meritavano alcuna attenzione; ma tutto ciò non aveva molta importanza ai miei
occhi: non ero un esteta, infinitamente meno di Huysmans, e l’uniforme
bruttezza dell’arte religiosa contemporanea mi lasciava pressoché indifferente»[24].
François, leggendo alcuni scritti di Rediger, gli perdona il
passato nicciano, dato che, in fondo, «nel XX secolo tanti intellettuali
avevano sostenuto Stalin, Mao o Pol Pot senza che questo venisse mai loro
realmente rimproverato; in Francia l’intellettuale non era tenuto a essere
responsabile, non era nella sua natura»[25], ma
nota come il suo articolo sia «un plateale ammiccamento ai suoi ex camerati
tradizionalisti e identitari. Era tragico, sosteneva con fervore, che un’irragionevole
ostilità nei confronti dell’islam impedisse loro di riconoscere un fatto
evidente: sulle cose essenziali erano in perfetto accordo con i musulmani. Sul
rifiuto dell’ateismo e dell’umanesimo, sulla necessaria sottomissione della
donna, sul ritorno al patriarcato: la loro battaglia, da tutti i punti di
vista, era esattamente la stessa. Tale battaglia, necessaria per
l’instaurazione di una nuova fase organica di civiltà, ormai non poteva più
essere condotta in nome del cristianesimo; era l’islam, religione sorella, più
recente, più semplice e più vera (perché, infatti, Guénon si era convertito
all’islam? Guénon era innanzitutto una mente scientifica, e aveva scelto
l’islam da scienziato, per economia di concetti; e altresì per evitare certe
marginali credenze irrazionali, come la presenza reale nell’eucaristia), era
dunque l’islam, oggi, ad aver preso il testimone. A furia di moine, smancerie e vergognosi strofinamenti dei
progressisti, la chiesa cattolica era diventata incapace di opporsi alla decadenza
dei costumi. Di rifiutare decisamente
ed energicamente il matrimonio omosessuale, il diritto all’aborto e il lavoro
delle donne. Bisognava arrendersi all’evidenza: giunta a un livello di
decomposizione ripugnante, l’Europa occidentale non era più in grado di salvare
se stessa – non più di quanto lo fosse stata la Roma del V secolo della nostra
era. Il massiccio arrivo di popolazioni immigrate fedeli a una cultura
tradizionale ancora modellata sulle gerarchie naturali, sulla sottomissione
della donna e sul rispetto dovuto agli anziani, costituiva un’occasione storica
per il riarmo morale e familiare dell’Europa, creava la possibilità di una
nuova età dell’oro per il Vecchio Continente. Quelle popolazioni erano in certi
casi cristiane; ma più spesso, bisognava riconoscerlo, erano musulmane. Era
lui, Rediger, il primo a riconoscere che la cristianità medievale era stata una
grande civiltà, i cui risultati artistici sarebbero rimasti eternamente vivi
nella memoria degli uomini; ma a poco a poco aveva perso terreno, aveva dovuto
venire a patti con il razionalismo, rinunciare ad annettersi il potere
temporale, finendo per condannarsi all’insignificanza, e questo perché? In
fondo, era un mistero: Dio aveva deciso così»[26].
Islam: comunismo del XXI secolo o cristianesimo del nuovo millennio?
C’è chi ha proposto di invertire il detto «il comunismo è
l’Islam del XX secolo»[27]
aggiornandolo a «l’Islam è il comunismo del XXI secolo»[28], per la
sua valenza ideologica (ma c’è anche chi propone il paragone a causa dei
milioni di morti provocati nei secoli da questa religione che ci si continua
ostinatamente a considerare “essenzialmente pacifica”[29]).
L’Islam, a dispetto di ogni considerazione sul suo passato,
viene proposto quindi come nuovo cristianesimo o, meglio, come nuovo propulsore
di una futura società come quella cristiana che aveva reso grande l’Europa nel
Medioevo? Se Houellebecq può permettersi di non dare una risposta diretta – il
suo è un romanzo, non un saggio – sicuramente è palese la mancanza di una presa
di posizione netta sui punti fondamentali del diritto naturale, almeno da parte
di molti esponenti dell’attuale Chiesa cattolica post-conciliare, troppo
preoccupati a “rincorrere il mondo” e a “piacere a tutti” per farsi baluardo
dei principi tradizionali.
E, mentre – tornando al romanzo – il Belgio è la seconda
nazione ad islamizzarsi («mentre i partiti nazionalisti fiammingo e vallone, di
gran lunga le prime formazioni politiche nelle rispettive regioni, non erano
mai riusciti a intendersi e nemmeno a instaurare un vero dialogo, i partiti
musulmani fiammingo e vallone, sulla base di una religione comune, avevano
facilmente raggiunto un accordo di governo»[30]) e si
profila l’Eurabia profetizzata da Bat Ye’or[31], conviene
concludere ricordando l’esergo dell’ultimo capitolo, certo inserito non a caso:
«Se l’islam non è politico, non è niente»[32].
Firmato: Ayatollah Khomeyni.
Perché è vero che esiste un Islam moderato, con il quale è
possibile dialogare, come è stato più volte ricordato[33], ma è
anche vero che, sia a livello percentuale, sia come forza economico-politica,
conta assai poco, succubo com’è dell’estremismo islamista.
Gianandrea de Antonellis
[1] Michel Houellebecq, Sottomissione, Bompiani, Milano 2015, p. 247.
[2] Ivi, p. 46.
[3] Ivi, p.
132.
[4] Ivi, p.
73.
[5] Ivi, p.126.
[6] Ivi, p.101.
[7]
L’allusione risulta ancor più sferzante se si pensa che François Bayrou ha
scritto una biografia del Re per cui Parigi valeva bene una messa (Henri IV : Le roi libre, Flammarion,
Paris 1994).
[8] M. Houellebecq, op. cit., p. 131.
[9] Ivi, p.
125-126.
[10] Ivi, p.
109-110.
[11] Cfr. ivi,
p. 172
[12] Cfr.
ivi, p. 173.
[13] Ivi, p.
83.
[14] Ivi, p.
229.
[15] Ivi, p.
61-63.
[16] Ivi, p.
171.
[17] Cfr. ivi,
p. 180: «Secondo tale principio, nessuna entità (sociale, economica o politica)
doveva farsi carico di funzioni affidabili a entità più piccole. Papa Pio XI,
nella sua enciclica Quadragesimo anno,
dava una definizione di detto principio: “Come è illecito togliere
all’individuo e affidare alla comunità ciò che l’impresa privata e l’industria
sono in grado di realizzare, così è una grossa ingiustizia, un grave danno e
uno sconvolgimento del retto ordine che una maggiore e più alta società si
arroghi le funzioni che possono essere svolte con efficacia da comunità minori
e inferiori”. Nella fattispecie, Ben Abbes si era appena accorto che la nuova
funzione di cui l’attribuzione a un livello troppo alto “sconvolgeva il retto
ordine” non era altro che la solidarietà sociale. Cosa c’è di più bello, si era
commosso Ben Abbes nel suo ultimo discorso, della solidarietà esercitata nell’ambito
caloroso della cellula familiare?… In quella fase, l’“ambito caloroso della
cellula familiare” era ancora ampiamente un programma;
ma, più in concreto, il nuovo progetto del bilancio statale prevedeva nel
triennio una diminuzione dell’85 per cento della spesa sociale del paese».
[18] Ivi, p.
171, il virgolettato è una frase di Ben Abbas.
[19] «In Francia i cattolici erano praticamente
scomparsi», ivi, p. 132.
[20] Ivi, p.
231.
[21] Ivi, p.
216.
[22] Ivi, p.
218.
[23] Ivi p.
217.
[24] Ivi, p.
186.
[25] Ivi, p.
229.
[26] Ivi, p.
233-234. Corsivo nostro.
[27] La frase
deriva dal titolo di un saggio postumo di Jules Monnerot (1908-1995): L’Islam du xxe
siècle (2004), primo volume dell’imponente Sociologie du communisme (prima edizione: Gallimard, Paris 1949).
[28] «Se il
comunismo è stato definito l’Islam del XX secolo, per il suo totalitarismo
secolarista, l’Islam può essere definito a sua volta il comunismo del XXI
secolo per il suo totalitarismo religioso, che unisce Chiesa e Stato, fede e
politica». Roberto de Mattei, Chiesa
e Stato: divisione o armonia dei ruoli e delle responsabilità?, in «Radici
Cristiane», novembre 2009. Tra gli altri studiosi che hanno più o meno
esplicitamente affermato questo concetto vanno ricordati Bat Ye’or, Eurabia. Come l’Europa è diventata anticristiana, antioccidentale,
antiamericana, antisemita, Lindau, Torino 2007; Alexandre del Valle, Verdi,
rossi, neri. L’alleanza fra l'islamismo radicale e gli opposti estremismi,
Lindau, Torino 2009; Robert Spencer,
Guida (politicamente scorretta) all'Islam
e alle crociate, Lindau, Torino 2008; nonché Ilich Ramirez Sanchez [alias
Carlos “lo Sciacallo”], L’Islam révolutionnaire, a cura di Jean-Michel
Vernochet, Editions du Rocher, Monaco 2003.
[29] «Sommando tutte queste cifre si giunge alla
conclusione che dal settimo secolo a oggi approssimativamente 270 milioni di
“infedeli” sono morti per la gloria politica dell’islam: un numero di vittime
che probabilmente supera quelle del comunismo, e che fa dell’islam la più
grande macchina di oppressione e di sterminio della storia». Guglielmo Piombini, L’islam, una micidiale macchina di oppressione, postfazione a Marco Casetta, Il grande tradimento. Come intellettuali e politici illiberali
favoriscono la conquista islamica dell'Europa, Leonardo Facco Editore,
Treviglio (Bergamo) 2009 (ebook).
[30] M. Houellebecq, op. cit., p. 236.
[31] La
saggista è espressamente citata a p. 136.
[32] Ivi, p.
189.
[33] Per
tutti cfr. Alfredo Mantovano, Come affrontare l'emergenza dopo Parigi,
in La Nuova Bussola Quotidiana, 10
gennaio 2015: «Va messo da parte il buonismo di chi pensa che nel confronto con
i fedeli dell’islam il problema siamo noi e non loro, ma anche il radicalismo
di chi afferma che tutti i musulmani sono terroristi. È un’illusione immaginare
di sconfiggere il terrorismo senza un collegamento organico con le comunità
islamiche presenti in Italia non connotate da tendenze ultrafondamentaliste» [url
consultato il 24.01.2015].
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