Alla vigilia della rivoluzione francese, la
cultura tradizionale era frastornata dalla scolastica decadente e avvelenata
dal cogito cartesiano increscioso esito di una scolastica in allontanamento
dalla dottrina di San Tommaso.
L'irrealismo
cartesiano era stato adottate da Pierre-Daniel Huet (1630-1721), debolmente
discusso da Nicolas Malebranche, il Platone dei sonnambuli (1638-1715),
e incautamente/inconsapevolmente recepite dal tradizionalista Abel De Bonald
(1754-1840).
Bonald
formulò la tesi, che ha segnato il futuro del tradizionalismo spurio: posto che
il pensiero e il linguaggio nascono simultaneamente, conviene ammettere che
sono stati entrambi creati da un’entità superiore all’uomo [1].
Secondo
la dottrina elaborata da Bonald e interpretata nel xx secolo dall'italiano
Attilio Mordini in Verità del linguaggio, la scienza umana, dopo la
cacciata dall'Eden, si sarebbe sviluppata attraverso la faticosa risalita alla
scienza infusa in Adamo e occultamente trasmessa dal linguaggio.
Per
risalire alla fonte dell'errore tradizionalista, occorre rammentare il giudizio
di San Tommaso d'Aquino sulla condizione umana nel Paradiso terrestre: avendo
Adamo dato un nome a tutti gli animali e dovendoci esserci corrispondenza tra i
nomi e le cose - “nomina autem debent rerum congruere” - è evidente che Adamo, in statu perfecto, ebbe la scienza per
infusione: “Adam scivit naturas omnium
animalium et pari ratione habuit omnium aliorum scientiam” [2].
Sennonché,
in conseguenza del peccato originale, Adamo fu privato del potere conferito
alla sua mente dal Creatore e costretto alla fatica del conoscere attraverso la
riflessione sugli oggetti che si manifestano ai sensi.
San
Tommaso ha preventivamente sbarrato la via battuta dai
tradizionalisti/controrivoluzionari
precisando che la ragione umana, dopo il peccato di Adamo, non può
procedere senza l'iniziale percezione delle
immagini che si offrono ai sensi: nihil in intellectu quin prius fuerit in
sensu.
Commessa
la colpa, la mente di Adamo e quella dei suoi discendenti furono
definitivamente privati della facoltà di conoscere e classificare le cose prima
di farne esperienza [3].
Dante
Alighieri, che nel De vulgari eloquentia,
I, VI, 4-7, aveva condiviso la illusoria teoria sulla conservazione della
lingua adamitica fino all'età della torre di Babele, nel XXVI canto del Paradiso rettifica il suo
pensiero: aderisce alla dottrina di San Tommaso e riconosce che la lingua
adamitica era già tutta spenta quando
fu costruita la torre di Babele.
Infatti
egli fa dire ad Adamo “La lingua ch’io
parlai fu tutta spenta / innanzi che all’ovra inconsummabile / fosse la gente
di Nembròt attenta: / ché nullo effetto mai razionabile, / per lo piacere uman
che rinnovella / seguendo il cielo, sempre fu durabile”.
Nel saggio Europa degli eroi Europa dei
mercanti, edito dal Settimo Sigillo, il filosofo Claudio Bonvecchio,
autorevole esponente dell'avanguardia iniziatica/massonica, attiva nel deserto
della destra italiana dopo Fini, ripropone, attraverso un originale e
innovativo percorso, la teoria che afferma l'esistenza nel linguaggio di una profonda
e originale verità.
Il
primo passo in direzione della mitologia intorno al linguaggio oltre Bonald e
Mordini, Bonvecchio lo compie citando un testo di Thomas Mann, uno dei
capiscuola del movimento neognostico, attivo nella prima prima metà del xx
secolo: "Il mistero del linguaggio è grande: la responsabilità per esso
e per la sua purezza è di carattere simbolico e spirituale, non ha soltanto un
significato artistico, ma morale e generale, e la responsabilità in se stessa è
nient'altro che la responsabilità umana, la responsabilità anche per il proprio
popolo, affinché il suo volto si mantenga puro al sospetto dell'umanità".
Di qui
l'attribuzione alla lingua latina dell'universalismo vivente nella vecchia
Europa: "Il carattere precipuo ed il veicolo prioritario del comune
universalismo e del radicato umanesimo erano dati dalla lingua latina:
la lingua dell'Europa e della sua tradizione".
Bonvecchio
afferma pertanto che "sfugge ai più che, con la pressoché totale
estinzione della lingua latina, è venuto meno non tanto una lingua dotta o una
letteratura colta e raffinata, ma il collante della stessa civiltà
europea".
La crisi, lo scollamento
della civiltà europea, non sarebbe stata causata dal tradimento della vera
religione attuato dalle eresie e dalle umanistiche bizzarrie, che hanno
tormentato e frantumato l'unità cattolica, ma dalla consumazione del bene
nascosto/occultato nella lingua latina.
Ora il
tentativo di avvicinare e quasi ridurre la storia del pensiero alla storia
della filologia va incontro a una forte obiezione. E' certo, infatti, che la
qualunque religione e la qualunque filosofia tendono a forgiare una
terminologia adatta ad esprimere il loro pensiero e in ultima analisi ad
attribuire significati inediti a termini già usati in altri contesti.
San
Tommaso d'Aquino, ad esempio, ha attribuito ai concetti di potenza ed atto un
significato nuovo e diverso da quello aristotelico. E' il pensiero che plasma
le parole e non viceversa. Bonvecchio, pur procedendo con la cautela che
conviene a uno studioso serio quale egli è, insinua l'opinione secondo cui il
concetto rimanda alla lingua, in special modo alla lingua latina. In tal modo
avvalora le tesi dei pensatori tradizionalisti che hanno ridotto la filosofia a
filologia.
Purtroppo
la crisi europea ha origine proprio dalla metamorfosi filologica della
filosofia: la civiltà europea è stata sepolta da un impetuoso fiume di parole
rumorose e squillanti contro la philosophia perennis, prima di
rovesciarsi nel pensiero mercantile e bancario, che è veicolato da una lingua,
l'inglese, appartenente al più classicista e latinizzante dei popoli europei.
Il popolo generato alla modernità dal dottissimo latinista Enrico VIII.
L'analisi storica proposta da Bonvecchio,
separata dalla variante filologica, uno dei tradizionali vicoli ciechi della
destra, non è del tutto priva di utilità ai fini dell'uscita della destra residuale
dal circolo del bla-bla post-finiano, para-almirantiano e sub-evoliano.
Lo
schema proposto da Bonvecchio, esoterico non accecato dall'esoterismo
totalizzante, contempla, infatti, una decadenza europea causata dal
cosmopolitismo "che ha preso l'avvio con la lenta ascesa borghese e con
la sua pretesa di piegare ogni valore all'interesse commerciale e al benessere
economico di pochi, Ha avuto un'accelerazione con la caduta della Respublica
Christiana che ha aperto la strada all'individualismo
etico e alla rivoluzione industriale".
Allontanata
dall'avventuroso, esoterico orizzonte della filologia di stampo iniziatico,
l'analisi della crisi europea e del suo oligarchico, desolante esito può
entrare, a pieno titolo, nel futuro dibattito di una destra in uscita
dall'attuale, inutile frastuono comiziale.
Piero Vassallo
[1] Al seguito di Bonald, il padre teatino Gioacchino
Ventura di Raulica (Palermo 1792 –
Versailles 1861) sostenne che, prima di
cominciare a pensare, l’uomo deve ricevere
il linguaggio. Secondo Ventura, in origine il linguaggio è rivelato da
Dio insieme con i concetti fondamentali della metafisica. Intorno al 1830
assunse una posizione moderata e tentò di conciliare il tradizionalismo con la
scolastica. Al riguardo cfr. la introduzione di Paolo Pastori a “Gli scritti del 1820” , Vetus ordo novus, Firenze 2005.
[2] Summa Theol., I, q. 91,
a 3.
[3] Nell’articolo sopra citato San Tommaso precisa che,
anche se fosse rimasto nello stato d’innocenza, Adamo avrebbe conosciuto per esperienza le nozioni che già possedeva
grazie al dono di Dio.
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