Dovendo
affrontare il problema della buona costituzione e del retto governo, noi
cattolici doc abbiamo in tasca lo scioglimento del nodo. Non si sbaglia:
occorre instaurare la legge delle leggi, quella iscritta nel cuore umano,
verificata dalla norma morale contenuta nella Rivelazione e definita con
sufficienti risvolti dalla Chiesa, sino a Giovanni XXIII escluso.
Nel suo millenario magistero la Sposa di
Cristo, Madre e Maestra, ha adattato l’etica immutabile alle circostanze
storiche, lasciando una lezione valevole adesso e forse per ogni tempo
avvenire. Poterono esservi cattive deduzioni
ed abusi, tuttavia dalla sacra fonte se ne ricavano gli emendamenti. Soprattutto
dobbiamo badare al dovuto impiego della tolleranza, annoverato dalla morale
cattolica.
S’impone che la carta dello Stato osservi
tutti i principi irrinunciabili, piuttosto agevoli da fissare. Difficile è
concepire il modo della realizzazione nelle circostanze sociali.
Va considerato che la condizione del mondo (a questo proposito, dobbiamo
vedercela proprio con esso) non è mai stata favorevole, né mai lo sarà, stante la
lunghezza della corda concessa al diavolo. Nelle nazioni dalle maggioranze di
battezzati cattolici, almeno un poco eredi dei figli della Chiesa, l’apostasia
e l’eresia materiale hanno fatto strage di rettitudine; la cultura dei diritti
iniqui ed empi ha accecato la complice moltitudine. Sicché, uscendo dalla pregevole
teoria, la sua realizzazione sembrerebbe disperata.
IL restauro prevede due momenti: quello degli
iniziatori (movimento, partito) e quello popolare. È anzitutto questione di
uomini. I primi, dotati per essere capi e per recepire la dottrina necessaria,
sono una razza rara. I pensatori esistono già, il braccio della loro mente (per
intenderci non un braccio alla Berlusconi, alla Grillo o alla Renzi, cui il
carisma non è servito) potrebbe essere già nato. A tutta prima, diremmo che
dovrebbe essere un uomo molto forte, o un gruppo di governanti quanto mai
vigorosi. Sarà forse così per le difficoltà sollevate dall’estero. All’interno,
il popolo è più malleabile di quanto si creda, persino nel fargli accettare i
sacrifici. La Storia ce ne rassicura; anche oggi, con un po’ di propaganda,
bene o male la gente manda giù la pillola.
A questo punto, si presenta fatalmente
l’intrinseco aspetto delicato. I diritti e i doveri, l’equità comandata dalla
ragione devono essere sempre rispettati? Sì, in linea di massima. Ma la Chiesa
più volte applicò la tolleranza al potere temporale, transigendo ponderatamente
e senza infingimenti.
Data la certa mole di ostacoli che si pongono
sulla strada maestra della politica, sarà lecito prevedere qualche eccezione,
per dichiarata tolleranza.
Una forma di autoritarismo, limitando alcune
legittime libertà individuali e comunitarie, appare malefica. Ma se essa fosse
l’unico mezzo per un rimanente buon
governo, sarebbe giusto rinunciarvi? Attenzione: non mi riferisco alla
repressione e alla censura che colpiscono la licenza di parola e d’altri mezzi,
con cui si diffondono idee ingannatrici, immagini adescatrici. Leone XIII, in
particolare nell’enciclica Libertas,
Pio XII nella sua Miranda prorsus pronunciarono
l’ultima parola di condanna su questo soggetto. Mi riferisco a qualcosa che non
prevarica, che sta nel debito e che, a determinate condizioni, conviene
accettare.
Recenti vicende di popoli mostrano l’autoritarismo
accettato dai cittadini per come era in effetti. E al termine di alcuni di quei
regimi - sostituiti da ordinamenti civili garantisti, cosiddetti stati di
diritto – si è visto succedere una decadenza vergognosa.
In modo analogo, gli esperti di costituzioni
stabiliscono che il migliore corpo dello Stato si compone di organi
(legislativo, esecutivo, giudiziario, presidenziale) distinti, a garanzia di
sano funzionamento, e si dirama in autonomie, in organi locali per la supposta
sussidiarietà.
Nella pratica, il frazionamento del potere
civile e il sistema partitico generano impedimenti a governare, specie nei
paesi, di loro natura, meno disciplinati. Se c’è un solo capo in gamba (come
spesso accade) sarebbe controproducente un triumvirato o un altro simile
consesso di reggitori. Il disprezzato accentramento ha dato sovente miglior
prova della distribuzione territoriale delle competenze. Dal resto, è utopico
contare sulla scomparsa dei corrotti. Mentre una direzione centrale può sconfiggere
meglio la mafia e i traffici criminali.
Insomma, nell’ostica materia di questo mondo,
sovente bisogna abbandonare la regola e valersi della lecita eccezione.
Sono osservazioni che svelano le insofferenze
dei democratici, degli allergici alla palese rinuncia richiesta da un regime
forte, per forza di cose in armi contro i nemici sostenuti dai paroloni, ma,
per il rimanente, assai osservante della giustizia (vedi, nel secolo scorso, il
regime portoghese di Salazar). I più onesti di costoro, scandalizzati dal
rigore giudicato oppressivo, si comportano da isterici perfezionisti, anche
quando preferiscono il liberalismo o il liberalsocialismo, iniquo senza
rimedio, viziato sin nei suoi falsi corollari, e che non chiede venia, anzi non
si fa scrupolo di sprofondare i suoi soggetti nei godimenti materialistici,
affossa in loro il coraggio e oscura la nobiltà.
Solzenicyn, perseguitato in patria, esule
Premio Nobel 1970, insignito di titoli accademici in America, nel 1978,
mettendo in gioco il suo destino, ardì esporre ciò che aveva visto bene venendo
da fuori: la miseria spirituale dell’Occidente, attribuendola nondimeno al suo
stato di diritto, che alleva ignavi consumatori di corruzioni. Da allora, la
sua diagnosi di decadenza occidentale ha ricevuto ampia conferma.
I perfezionisti, speranzosi evoluzionisti,
continuano ad essere troppo preoccupati della loro lesa maestà di sovrani
popolari. Pur d’avere l’impressione che essa sia conservata e riverita, gli
ipersensibili pieni d’orgoglio si lasciano gabbare dal primo capopopolo
insediato, del tutto simile al vecchio imbonitore da fiera, il quale almeno
agiva di per sé, ubbidendo all’interesse e non a qualche padrone.
Piero Nicola
Nessun commento:
Posta un commento