lunedì 12 gennaio 2015

Fascismi. Analisi, storie, visioni

 Andrea Giacobazzi, nella puntuale prefazione all'avvincente saggio di Pietro Ferrari sui fascismi (edito in Milano da Radio Spada), pone una domanda irriverente/imbarazzante, che svela la sterminata vastità del problema nascosto dietro il muro della scienza politica al potere: se era fascista il cancelliere austriaco Engelbert Dolfuss lo erano anche i suoi assassini nazionalsocialisti?
 La pedagogia insegnata nella scuola dell'obbligo fa perno su il singolare teorema, che affonda, nasconde e occulta la diversità dei fascismi in una notte tenebrosa, nella quale le molte e divergenti identità ed espressioni del vasto movimento avviato da Benito Mussolini naufragano in un'eguaglianza statutaria, che, ad esempio, abbassa, altera e avvilisce il profilo di Dollfuss facendone l'alter ego dei suoi scellerati  nemici e carnefici. 
 Ferrari osserva che l'arbitraria generalizzazione incoraggia e legittima l'uso della parola fascista come ingiuria, "una parola magica, idonea a gettare discredito nei confronti del nemico di turno. Da complessa e sfuggente categoria politologica, a semplice ingiuria".
 Motore della scolastica antifascista è l'incapacità di riflette seriamente "sull'anomalia di una tale degradazione linguistica: un concetto [fascismo] che potrebbe evocare assonanze con il compimento del Risorgimento italiano attraverso la nazionalizzazione delle masse o con la terza via tra capitalismo e comunismo, viene ridotto ad ingiuria".  
 Abbassata a strumento di un alterco, la nozione di fascismo diventa il bersaglio del qualunque malumore demagogico sostenuto dal falso storico e/o dalla frenesia tuttologica: ad esempio l'occultamento o addirittura il capovolgimento dialettico del fatto che il razzismo - aspetto tardivo e marginale dell'ideologia fascista - "nacque negli ambienti anglosassoni, positivisti, ma anche dalle teorie darwiniste, ecologiste e femministe".
 Per qualificare la funzione storica del fascismo italiano, Ferrari stabilisce un confronto con il comunismo sovietico "che non ha creato nessun paradiso in terra, nessuna società giusta e opulenta ma fame, miserie morali e materiali". Una seria riflessione sulla contraria vicenda italiana autorizza invece ad affermare che, ove Mussolini, nel 1922, non avesse vinto contro i comunisti, "oggi gli Italiani si troverebbero come gli Albanesi e i Rumeni a lavare i vetri agli angoli delle strade d'Europa".
 Di qui una pungente riflessione sull'immotivata indulgenza di cui gode la storia del comunismo, clemenza che deriva "essenzialmente dall'esito negativo della Seconda Guerra Mondiale per il Fascismo e dalle esigenze propagandistiche di alcuni che si sposavano con quelle carrieristiche di altri nel dopoguerra".
 Quale chiave d'accesso alla confutazione degli opposti/erronei giudizi sul fascismo, Ferrari ricorre a un testo di Enzo Erra, uno fra i più geniali e appassionanti interpreti della cultura italiana contemporanea: "Le difficoltà che incontrano marxisti e liberali nella comprensione del fascismo, risiedono per i primi nel rifiuto dell'idea che gli interessi del proletariato possano non coincidere con la lotta di classe e per i secondi nell'idea che il consenso popolare possa fluire al di fuori dei canali del parlamentarismo".
 L'essenza del fascismo risiede nella refrattarietà alle ideologie scritte dal pensiero disincarnato e appiattito sul legno di evanescenti, esangui e tisiche scrivanie.
 La sua natura è scritta nella vicenda personale di Mussolini, pensatore e politico plebeo, villano che si è impossessato della cultura per piegarla alle indeclinabili esigenze del popolo in carne e ossa. La plebe quale è incarnata da Strapaese: "Siamo nati in campagna! Abbiamo bazzicato per le osterie! Abbiamo amici fra i barrocciai, fra i vetrai, fra i contadini, fra gli artigiani!". 
 L'originalità del Fascismo, la sua natura sanamente plebea, la sua inclinazione alla conciliazione e alla collaborazione con la Chiesa cattolica, si intravede nella vaga, non del tutto immaginaria somiglianza sociale dei fascisti con i dodici facchini, oggetto della signorile invettiva lanciata dall'aristocrate Arouet de Voltaire contro i primi seguaci di Gesù Cristo.
 Ferrari sostiene che Chiesa e Fascismo "tentarono di usarsi a vicenda per i fini loro propri" senza riuscirci : la sua mezza negazione non esclude tuttavia l'esistenza di una latente intesa.
 Purtroppo la fragilità dell'accordo con la Chiesa cattolica facilitò l'infelice e disgraziata scelta dell'alleanza con Hitler, decisione innaturale dal momento che, lo riconosce opportunamente Ferrari, collocandosi sulla linea tracciata da Fabio Andriola nel saggio Mussolini nemico segreto di Hitler, il Regime Fascista "aveva iniziato a rafforzare le difese ai confini con l'Austria quando fu ucciso Dollfuss dai nazisti, Dollfuss amico di famiglia di Mussolini, perché si temeva l'avanzata tedesca fino in Italia"
 Di qui, dalla strenua resistenza fascista alla tenebrosa cultura dei nibelungi, potrebbe ricominciare l'attività della destra. La vita di un movimento capace di metabolizzare l'eredità del fascismo e di prendere le necessarie distanze dalla cultura di Germania e dalla sua testa di ponte magica.
 L'ultimo ostacolo sulla via di una riconquistata cultura italiana, infatti, è l'esoterismo di Evola, una suggestione che Ferrari esita a liquidare, forse trattenuto dal timore di allontanare la solidarietà dei militanti in una irriducibile corrente del neofascismo.
 L'opera di Evola, i cui enormi errori sono stati puntualmente elencati da Roberto Dal Bosco, rimane nell'orizzonte della destra futura soltanto per l'ossequio che l'ambiente tributa al mito di una solidarietà, da conservare ad ogni costo, fra i testimoni di dottrine irriducibili e strutturalmente nemiche. 
 Di qui quel generoso ma illusorio ecumenismo che ha avvelenato la storia culturale della destra del secondo dopoguerra, dividendola in bande ideologiche in implacabile guerra tra di loro, prima di avviarla al tranquillo rifugio nell'ignoranza pacificatrice, perfettamente personificata dall'innominabile erede di Luciano Gaucci. 

Piero Vassallo

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