Andrea
Giacobazzi, nella puntuale prefazione all'avvincente saggio di Pietro Ferrari
sui fascismi (edito in Milano da Radio Spada), pone una domanda
irriverente/imbarazzante, che svela la sterminata vastità del problema nascosto
dietro il muro della scienza politica al potere: se era fascista il cancelliere
austriaco Engelbert Dolfuss lo erano anche i suoi assassini nazionalsocialisti?
La
pedagogia insegnata nella scuola dell'obbligo fa perno su il singolare
teorema, che affonda, nasconde e occulta la diversità dei fascismi in una notte
tenebrosa, nella quale le molte e divergenti identità ed espressioni del vasto
movimento avviato da Benito Mussolini naufragano in un'eguaglianza statutaria,
che, ad esempio, abbassa, altera e avvilisce il profilo di Dollfuss facendone
l'alter ego dei suoi scellerati
nemici e carnefici.
Ferrari
osserva che l'arbitraria generalizzazione incoraggia e legittima l'uso della
parola fascista come ingiuria, "una parola magica, idonea a
gettare discredito nei confronti del nemico di turno. Da complessa e sfuggente
categoria politologica, a semplice ingiuria".
Motore della
scolastica antifascista è l'incapacità di riflette seriamente
"sull'anomalia di una tale degradazione linguistica: un concetto [fascismo]
che potrebbe evocare assonanze con il compimento del Risorgimento italiano
attraverso la nazionalizzazione delle masse o con la terza via tra capitalismo
e comunismo, viene ridotto ad ingiuria".
Abbassata a strumento
di un alterco, la nozione di fascismo diventa il bersaglio del qualunque
malumore demagogico sostenuto dal falso storico e/o dalla frenesia tuttologica:
ad esempio l'occultamento o addirittura il capovolgimento dialettico del
fatto che il razzismo - aspetto tardivo e marginale dell'ideologia fascista -
"nacque negli ambienti anglosassoni, positivisti, ma anche dalle teorie
darwiniste, ecologiste e femministe".
Per
qualificare la funzione storica del fascismo italiano, Ferrari stabilisce un
confronto con il comunismo sovietico "che non ha creato nessun paradiso
in terra, nessuna società giusta e opulenta ma fame, miserie morali e
materiali". Una seria riflessione sulla contraria vicenda
italiana autorizza invece ad affermare che, ove Mussolini, nel 1922, non avesse
vinto contro i comunisti, "oggi gli Italiani si troverebbero come gli
Albanesi e i Rumeni a lavare i vetri agli angoli delle strade d'Europa".
Di qui una pungente
riflessione sull'immotivata indulgenza di cui gode la storia del comunismo,
clemenza che deriva "essenzialmente dall'esito negativo della Seconda
Guerra Mondiale per il Fascismo e dalle esigenze propagandistiche di alcuni che
si sposavano con quelle carrieristiche di altri nel dopoguerra".
Quale chiave d'accesso
alla confutazione degli opposti/erronei giudizi sul fascismo, Ferrari ricorre a
un testo di Enzo Erra, uno fra i più geniali e appassionanti interpreti della
cultura italiana contemporanea: "Le difficoltà che incontrano marxisti
e liberali nella comprensione del fascismo, risiedono per i primi nel rifiuto
dell'idea che gli interessi del proletariato possano non coincidere con la
lotta di classe e per i secondi nell'idea che il consenso popolare possa fluire
al di fuori dei canali del parlamentarismo".
L'essenza
del fascismo risiede nella refrattarietà alle ideologie scritte dal pensiero
disincarnato e appiattito sul legno di evanescenti, esangui e tisiche
scrivanie.
La sua
natura è scritta nella vicenda personale di Mussolini, pensatore e politico
plebeo, villano che si è impossessato della cultura per piegarla alle
indeclinabili esigenze del popolo in carne e ossa. La plebe quale è incarnata
da Strapaese: "Siamo nati in campagna! Abbiamo bazzicato per le
osterie! Abbiamo amici fra i barrocciai, fra i vetrai, fra i contadini, fra gli
artigiani!".
L'originalità
del Fascismo, la sua natura sanamente plebea, la sua inclinazione alla
conciliazione e alla collaborazione con la Chiesa cattolica, si intravede nella
vaga, non del tutto immaginaria somiglianza sociale dei fascisti con i
dodici facchini, oggetto della signorile invettiva lanciata
dall'aristocrate Arouet de Voltaire contro i primi seguaci di Gesù Cristo.
Ferrari
sostiene che Chiesa e Fascismo "tentarono di usarsi a vicenda per i
fini loro propri" senza riuscirci : la sua mezza negazione non esclude
tuttavia l'esistenza di una latente intesa.
Purtroppo
la fragilità dell'accordo con la Chiesa cattolica facilitò l'infelice e
disgraziata scelta dell'alleanza con Hitler, decisione innaturale dal momento
che, lo riconosce opportunamente Ferrari, collocandosi sulla linea tracciata da
Fabio Andriola nel saggio Mussolini nemico segreto di Hitler, il
Regime Fascista "aveva iniziato a rafforzare le difese ai confini con
l'Austria quando fu ucciso Dollfuss dai nazisti, Dollfuss amico di famiglia di
Mussolini, perché si temeva l'avanzata tedesca fino in Italia".
Di qui,
dalla strenua resistenza fascista alla tenebrosa cultura dei nibelungi,
potrebbe ricominciare l'attività della destra. La vita di un movimento capace
di metabolizzare l'eredità del fascismo e di prendere le necessarie distanze
dalla cultura di Germania e dalla sua testa di ponte magica.
L'ultimo
ostacolo sulla via di una riconquistata cultura italiana, infatti, è
l'esoterismo di Evola, una suggestione che Ferrari esita a liquidare, forse
trattenuto dal timore di allontanare la solidarietà dei militanti in una
irriducibile corrente del neofascismo.
L'opera
di Evola, i cui enormi errori sono stati puntualmente elencati da Roberto Dal
Bosco, rimane nell'orizzonte della destra futura soltanto per l'ossequio che
l'ambiente tributa al mito di una solidarietà, da conservare ad ogni costo, fra
i testimoni di dottrine irriducibili e strutturalmente nemiche.
Di qui quel generoso ma illusorio ecumenismo
che ha avvelenato la storia culturale della destra del secondo dopoguerra,
dividendola in bande ideologiche in implacabile guerra tra di loro, prima di
avviarla al tranquillo rifugio nell'ignoranza pacificatrice,
perfettamente personificata dall'innominabile erede di Luciano Gaucci. Piero Vassallo
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