domenica 18 gennaio 2015

IL SOSTRATO DEL NOSTRO POPOLO (di Piero Nicola)

  A onor del vero, il popolo italiano è migliore di quel che sembri. Meno suggestionabile, meno credulo, meno disordinato, meno ingeneroso. Resta alta la sua debolezza, che lo mena sino all’apatia e alla diserzione. Ma le genti più compatte sbandano e si fanno trasportare. Molti italiani che si lasciano condurre nelle vie del quartiere proibito, sono intimamente trattenuti dallo scetticismo, che corrisponde alla sacra e tradizionale disistima verso il mondo perennemente incorreggibile. Un antidoto al quale sono impermeabili gli americani entusiasti e dinamici, che vanno a sbattere cavalcando i razzi dell’illusione.
  Donde sorge questo carattere nazionale passato ai raggi x? Per capirlo buttiamo un’occhiata sulla storia. Gli italiani amarono poco i sovrani legittimi e le loro corti. Forse presentivano il declino dei stabili istituti. Forse avevano una memoria del grande Impero Romano disgregato. Non fu per intolleranza verso le pecche dei monarchi, per spirito rivoluzionario e simpatia verso i novatori. L’italica simpatia andò ai condottieri, agli audaci che, prendendo le redini dello Stato, se ne assumevano l’onere intero, e parlavano alla moltitudine senza intermediari. Se essi restavano ammirevoli, bene. In caso contrario: esilio o morte. Il fondo di disincanto era compensato da una tensione rivolta alle virtù trascendenti una realtà tutto sommato inaffidabile.
  Insospettato romanticismo dei nostri compatrioti? Direi piuttosto loro bisogno di cielo.
  Nel tempo recente, Berlusconi era soltanto un imprenditore, ma uno che aveva rischiato in proprio, e soprattutto continuava a rischiare di persona, in un teatro di lotte ben più periglioso del mercato: dove il magnate, correndo l’alea dell’impresa mercantile, rischia soltanto il fallimento e la mortificazione dell’amor proprio.
  Comunque sia, la piazza non offriva di meglio, ed egli vinceva le elezioni. Potendosi sospettare che avesse cominciato come gli altri prestandosi agli intrallazzi, ciò interessava poco al tornaconto borghese o al gusto rionale e campagnolo, essendo la medio-bassa classe urbana e rurale consapevole di non essere essa stessa pulita, e che in alto o in basso si evade, si porge la mancia o la bustarella, mentre l’ardimento, se non arriva a purificare, ad ogni modo merita il rispetto.
  Vero è che Berlusconi si batté, essendo attaccato da nemici dichiarati e da presunti amici, facilmente individuabili, innumerevoli, disparati, potenti. No, l’italiano non pensa: Molti nemici, molto onore. Esso diffida di simili motti. Però simpatizza con i campioni, anche con le vittime del tradimento, però alle condizioni che vedremo.
  Dimenticavo una caratteristica diffusa sullo Stivale, che chiamare debolezza sarebbe troppo semplice: il sentimentalismo. Esso appartiene assai a un generoso vedere di buon occhio.
  La maggioranza degli italiani vide bene il Silvio nazionale, lo votò e lo rivotò, anche eleggendo i suoi candidati; e molti, intimamente, sperarono che si rivelasse migliore di quello che era: l’isolato occupato a battersi in mezzo a gente di mestiere, mentre lui non era rotto a quel mestiere. Lo circondavano - per motivi di ufficio, per fargli le scarpe, per abbatterlo - politici consumati, giornalisti di lungo corso, burocrati incalliti arruolati sotto ogni bandiera e togati padroni, nei loro uffici impuni e redditizi. Una congerie di uomini e donne fu pronta a fare corteo al vincitore. Nonostante tutto, desta meraviglia come un capitano d’industria, che dovette creare quadri dirigenziali, in politica non abbia saputo scegliersi uomini capaci e fidati. A meno che il campo della res publica sia davvero troppo degradato e degradante, troppo ingrato per un cavaliere mercantile, e si debba dare ragione a Montanelli, che previde il disarcionamento.
  Gli italiani non credettero che egli fosse calato a Roma per impinguare le sue sostanze. Tutt’al più difendeva il molto da prima in suo possesso.
  Il popolo, tranne i diversamente interessati e i rimasugli delle teste calde o cocciute, intuiva che i vari incaricati di prendersi cura di lui, curano prima di tutto i loro interessi e pensano a farsi belli. La schiatta nostra capisce, o per lo meno fiuta, quanto sia balordo il sistema, e compatisce i furbastri i quali non si accorgono di dare un impulso allo straripamento che dalla fogna monta lentamente,  non si rendono conto di stare già coi piedi a bagno, nonostante i loro quattrini e i loro benefici, e che potrebbero essere i primi a soccombere. Gli abitanti del Bel Paese sanno di stare nella melma, ma sanno anche che tutti vi sguazzano, inclusi gli illusi di risiedere sui poggi.
  La nostra stirpe è scarsamente eroica, a mala pena è conscia dei suoi affetti profondi e della sua assennatezza. Al di sopra, affaccia piuttosto le sue viltà, gli esiti del suo accettare i dolci cibi avvelenati. Quel tale che la volle composta di eroi, santi e navigatori è stato preso alla lettera ironicamente, ma egli si riferiva al fiore della pianta.
  Ciò non toglie che gli italiani siano attratti dall’idea che uno di loro emerga intrepido dal limo con le proprie forze, e non li tratti da imbecilli.
  Dicevo del tradito e tartassato che avrebbe potuto promettere bene. Ed ecco la prova che la stoffa della gente italica non è disprezzabile. Nelle ultime elezioni politiche essa ha tolto gran parte del credito a colui che pure aveva denunciato le pugnalate e le vessazioni venutegli da destra, da manca e da lontano. Ora poi, riceverebbe il consenso di un’irrilevante quantità di elettori. Che cosa è venuto meno? Il valore. Esso soprattutto gli otteneva il voto. Quale valore, in chi soggiace all’umiliazione mostrando di transigere, invece di scegliere il sacrificio (espiazione della condanna); in chi accetta le uscite politiche d’un’amante ragazzina; in chi è disposto a trattare con colui che lo ha abbandonato e tratta poco chiaramente con il nemico tradizionale? Che pregio sussiste in chi stracciò un patto concluso in amicizia, abbandonando il patrio interesse e il Capo di stato contraente, per unirsi all’ira omicida dei suoi nemici?
  D’altra parte, alle elezioni di camera e senato circa un quindicesimo della popolazione adulta (il 25% dei voti validi) accordò il proprio favore a un attore capopopolo di dubbie qualità. Ma anche questo conato è destinato a rientrare, e non per l’insuccesso nei risultati pratici. Aver mancato in tale conquista sarebbe insufficiente a suscitare il disamore nei riguardi del mattatore, se egli brillasse in virtù.   
  Quanto ai tifosi di Renzi, credo che molti di loro vollero prendere l’abbaglio sempre per lo stesso motivo: volendo sperare in uno che alzasse la testa al di sopra del sistema, contro il sistema.

  Tornano in mente altre speranze. I nostri comunisti degli anni Quaranta e Cinquanta fecero un mito di Baffone, più ancora che dell’idea egualitaria e proletaria. Infatti, si raffreddarono dopo la sua scomparsa. Da rivoluzionari divennero - inaspriti o moderati - soldatini di Peppone. Il benessere li addormentò? Il fare studiare i propri figli? Piuttosto Kruscev, quando brandì la scarpa. Egli era la negazione del condottiero; che non si farà mai trovare a sbattere una scarpa sul tavolo!

Piero Nicola

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