venerdì 2 ottobre 2015

Simonetta Scotto narra le imprese dei resistenti all'islam

(Per inciso: che palle la democrazia, che palle il pacifismo, che palle la venerata & tutelata culocrazia, che palle l'America, che palle Obama, che palle il porno-progressismo della Clinton!)
Nuotare contro la melassa pacifista, in discesa impetuosa attraverso le autorevoli dentiere dei buonisti di pia estrazione e/o di massonica risma, narrare (senza deplorare e stigmatizzare) storie di guerra giusta (oibò!) è un'impresa squisitamente scorretta, deplorevole e linciabile.
Trattasi di un'indiretta offesa ai banditori del sincretismo caramelloso, in corsa forsennata sulle liquide/scivolose piste battute dalla rispettosa inclinazione e dalle aperture dei debolucci, desiderosi & vogliosi di islamiche attenzioni [1].
Simonetta Scotto, colpevole di aver gettato la democratica mordacchia, rischia la caduta sotto il greve silenzio, che è contemplato e previsto dalla irosa deplorazione dei sinceri ecumenisti e dei devoti lettori, ultimamente eccitati e titillati dai neo-clericali squilli del leopardiano Eugenio Scalfari.
La imperterrita scrittrice genovese propone testi che narrano, con coinvolgente fantasia, bello stile e (sospetta e deplorevole) simpatia, le imprese dei combattenti di un'immaginaria agenzia, in guerra contro le associazioni malavitose a fine di lucro e/o di promozione islamica.
Opportunamente l'autrice rammenta che “l'agenzia di cui parlo qui è puro frutto di fantasia, in quando differisce dalle normali Agenzie di Servizi Segreti”.
Precisazione quanto mai opportuna, dal momento che fra le righe della ragionevole opposizione all'islam, gli ambigui e maldestri liberatori americani (all'inseguimento degli infelici risultati già ottenuti in Iraq e in Libia dagli educatori democratici) fanno correre il culto fanatico (e perdente) del feticcio liberale, che Piero Nicola definisce “giungla organizzata e condotta da una cricca di senza Dio e senza Patria”.
D'altra parte il racconto Il gatto e la volpe, edito in questi giorni a Tricase di Lecce, corre in parallelo con la vicenda dei marò italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, prigionieri della sgangherata e superba giustizia di un paese terzomondiale: “prima di tutto il fatto che fossero due militari in missione a subire insieme questa incredibile ingiustizia; poi l'amicizia che li univa e li unisce nel lavoro e nella vita, nel bene e nel male”.
Nel racconto di Scotto gli avversari dell'islam sono due amici, uomini veri, soldati esenti da languori liberali e indenni da scrupoli ecumenici. Sono i protagonisti di una difficile e rischiosa impresa, liberare due commilitoni imprigionati (e canonicamente torturati) da guerriglieri jihadisti.
Il racconto in quanto mantiene il doveroso equilibrio tra fantasia e verosimiglianza ottiene un significativo risultato: mostrare l'inclinazione della religione islamica a una violenza cieca, che manifesta la refrattarietà a vivere secondo virtù e conoscenza.
La corretta risposta alla sfida della barbarie è l'azione implacabile dei corpi speciali (attivi più nell'immaginario che nell'intenzione degli americani) impegnati nella disperata difesa di un'egemonia fondata sulle sabbie mobili del pensiero debole.
Uno scenario crepuscolare, sul quale incombe un futuro orientato nella direzione dell'alleanza delle nazioni mediorientali – in uscita dal fanatismo islamico - con la tradizione cristiana della Russia di Putin.

Piero Vassallo



[1] Tradotta nel dialetto genovese deboluccio diventa de-buliccio, e infine buliccio sostantivo deplorato, che allude in modo oltraggioso e plebeo agli eletti praticanti dello svago democratico.

Nessun commento:

Posta un commento