Un'ostinata, patriottica leggenda attribuisce
al garibaldino Goffredo Mameli (1827-1849), genovese di origine sarda l'onore e il merito di aver scritto (a
vent'anni) le parole dell'inno nazionale.
In realtà il testo dell'inno nazionale fu
scritto dal padre scolopio Atanasio Canata,
elegante scrittore e dotto insegnante nelle scuole pie di Carcare
(Savona) frequentate dal mediocre studente Mameli.
I versi dell'inno nazionale, lo dimostra don
Ennio Innocenti, “non soltanto risultano sproporzionati per cultura, per una
certa quale complessità e per tecnica prosodica, da un diciannovenne Goffredo,
per di più ignorantello e alquanto rozzo”.
La mediocrità e la rozzezza del poeta
Mameli, risulta, peraltro dai goffi componimenti anticlericali, composti per
essere cantati nelle osterie frequentate da mazziniani s garibaldini.
L'attribuzione dell'inno nazionale a Mameli si
deve a un banale equivoco e a una debolezza del giovanissimo Goffredo, che non
seppe rifiutare la fama ottenuta quale autore (presunto) dell'inno patriottico.
Il padre calasanziano Canata non denunciò il
plagio compiuto dal giovane allievo, caduto a Villa Spada, dopo essere stato
ferito dalla baionetta di un maldestro commilitone. Ma nel 1889 pubblicò un componimento poetico, in cui accennava, in
forma non troppo enigmatica, alla imbarazzante vicenda dell'appropriazione
dell'inno da parte di Mameli:
A destar
quell'alme imbelli
meditò
robusto un canto
ma venali
menestrelli
si rapian
dell'arpe il vanto:
sulla
sorte dei fratelli
non
profuse allor che pianto
e,
aspettando nel suo cuore
si
rinchiuse il pio cantore,
L'erronea attribuzione dell'inno nazionale a
Mameli è opportunamente rammentato da don Ennio Innocenti, in un puntuale capitolo
della nuova edizione di Inimica vis, uscito dai torchi in questi giorni
e distribuita dalla Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, un testo
sul quale torneremo a ragionare prossimamente.
Scrive don Innocenti: “Nel settembre del
1847 il canto fu presentato da Ulisse Bronzino al compositore genovese Michele
Novaro in una riunione di patrioti tenuta a Torino nella casa di Lorenzo
Valerio con le precise parole Questo
te lo manda Mameli e non è di Mameli”.
Ora la questione del testo dell'inno nazionale
non può essere ridotto a questione puramente letteraria in quanto la dimostrata
attribuzione a Don Canata conferma la perenne esistenza di un forte e diffuso
sentimento unitario dei cattolici.
L'amor di Patria e l'aspirazione all'unità
infiammò il cuore dei grandi protagonisti della storia cattolica, da San
Gregorio VII (primo autore della sconfessione dell'impero di nazione
germanica), a Dante Alighieri, a Francesco Petrarca, a Giambattista Vico, al
Beato Pio IX, ad Antonio Rosmini, ad Alessandro Manzoni a Pio XII. Memorabili
sono altresì le eroiche insorgenze popolari dei Viva Maria!i contro gli
invasori giacobini e napoleonici.
L'unità d'Italia deve essere amata e difesa
dai credenti malgrado l'infiltrazione in essa della sciagura massonica e del
veleno liberale, perché l'unità nazionale non sarebbe stata ottenuta senza la
decisiva partecipazione dei cattolici. Il nodo, il cappio che i cattolici
italiani devono scogliere la è la truffaldina storiografia massonica, nella
quale si specchiano degnamente figure dello stampo del boia Enrico
Cialdini, dell'ammiraglio Carlo Persano, del generale Fiorenzo Bava Beccaris e del maresciallo
Pietro Badoglio.
In ultima analisi si tratta di separare
l'acerba passione garibaldina di Goffredo Mameli dal patriottismo dell'inno di
Anastasio Canata, le ragioni cattoliche dell'unità d'Italia dalla surrettizia
eversione liberale, la tradizione italiana dalla canaglia liberale, che si mise
al traino del patriottismo.
L'amor di patria deve essere separato dal
disprezzo meritato dagli eversori liberali, che cavalcarono l'aspirazione
all'unità in vista di un paese umiliato dalla canaglia (ladrona) laicista e
massonica. I padri delle festanti pantegane, che in questi giorni escono
squittendo dalle fogne pederaastiche, scavate dalla trivella radical chic.
Piero Vassallo
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