La più recente cessione di servizio pubblico
al mercato azionario è stata quella delle Poste. Come per altre vendite o
svendite di beni dello Stato, cioè dei cittadini, ministero e mezzi
d'informazione pervicaci sostenitori del governo, hanno inneggiato alla
benefica privatizzazione. La politica delle privatizzazioni è un raggiro ai
danni del popolo, che viene abbindolato con la presunta efficienza, per
generale utilità, delle società anonime nel condurre industrie e servizi di
preminente interesse sociale, dei quali la comunità era proprietaria o che
sarebbe giusto lo fosse.
Quanto alle privatizzazioni di branche
economiche prima gestite dall'amministrazione comunale o regionale, è evidente
che l'utile ricavato dalle imprese acquirenti o appaltatrici aumenta la spesa,
rispetto a una corretta e diretta gestione dell'ente pubblico. La
specializzazione e l'attrezzatura di quelle ditte solo in certi casi giustifica
il ricorso ad esse.
D'altronde, se esiste una sorta di legge
antimonopolio e una parvenza di sua applicazione, le grandi Spa sono in mano alla
finanza internazionale, da cui dipendono anche gli amministratori delegati, che
hanno facoltà pressappoco illimitate.
Oltre la perdita della moneta nazionale, con
tutte le sciagure che ne conseguono, abbiamo il depauperamento del patrimonio
della cittadinanza e occasioni ulteriori di corruttela con le attività date in
appalto dagli Enti Pubblici; abbiamo la licenza di sfruttamento operato dal
capitalismo apolide, il fallimento
(anche strumentalizzato) di industrie che potrebbero essere salvate dallo Stato,
salvando bensì l'occupazione. Infatti l'IRI ha quasi smesso il suo ufficio di
provvidenza nazionale, dagli anglosassoni chiamata welfare, del quale l'Italia
fu la migliore attuatrice, anche con l'INPS e con gli altri Enti previdenziali
e assicurativi esenti da scopo di lucro.
Se non bastasse l'alienazione delle funzioni
della Res Publica e dei suoi averi, si tende a trasferire a società
assicurative le provvidenze da essa garantite ai lavoratori. Si ripete, in
questo campo, il regresso sopra denunciato. Si trasmette a Spa la facoltà di
lucrare sul lavoro e sulla salute dei dipendenti. Le Casse pensione o
infortunio e malattia dei dipendenti pubblici o privati, costituite nei
rispettivi ambiti delle col vincolo dei contributi obbligatori e del controllo
statale, vengono sminuite a vantaggio di compagnie assicurative, che offrono
minori garanzie e fanno i propri interessi.
Tutto questo in nome di un liberalismo immorale,
già definito col termine ingannevolmente elogiativo di deregulation, che introduce un abominevole mercato del lavoro,
ossia l'eliminazione del posto fisso e del contratto a tempo indefinito.
La precarietà del lavoro (caratteristica
della società americana, anche priva di una generale assistenza pubblica
sanitaria) è presentata come una conquista del progresso economico e civile.
Questa impostura vanta qualcosa che è causa primaria d'insicurezza, di
disoccupazione, di trasferimenti e sradicamenti, d'impedimento alla formazione
delle famiglie e di forte diminuzione delle nascite. Il vantaggio d'avere a
disposizione lavoratori più diligenti ed efficienti, grazie a una più agevole
licenziabilità, potrebbe ottenersi con una giusta disciplina, che regoli legalmente
i rapporti tra imprenditoria e prestazione d'opera, con una magistratura del
lavoro che dirima le controversie, con una legge che potrebbe altresì rendere
illeciti sia lo sciopero sia la serrata.
Se i costumi sono corrotti, lo saranno tanto
per la tolleranza dei fannulloni quanto per lo sfruttamento dei bravi dipendenti,
sia che le nuove leggi lo favoriscano, sia in barba alle leggi eque.
Ma questa dei costumi è un'altra faccenda.
Piero
Nicola
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