“Il santo
è irremovibilmente fermo nei princìpi poiché ha la Fede, mentre è misericordioso
nella pratica poiché ha la Carità infusa.
Invece il liberale è molto largo nei princìpi e pronto al compromesso o
all'accomodamento dottrinale poiché non ha lo spirito di Fede mentre è rigido e
acido nella pratica poiché non ha la
vera Carità soprannaturale”.
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange o. p.
Giravolte mentali e fughe nei dubbi suscitati
dal Vaticano II hanno ispirato compromessi liberali
con gli eretici e suggerito caramellosi baci sui testi delle religioni
elucubrate nelle officine dell'errore e della bestialità.
L'assenza di difese immunitarie e l'oblio
dell'avvertimento lanciato a tempo debito dal cardinale Louis Pie - “non esiste peggior settario e intollerante
di un liberale” - sono le vere cause della
crisi liberale in atto nella teologia e nella prassi del Vaticano.
L'alterazione della dottrina e il volo della
catechesi in un cielo sentimentale, popolato da pensieri filanti come strisce
di carta colorata, hanno ispirato le incaute e veneranti escursioni dei teologi
e dei vescovi buonisti nelle biblioteche della modernità e dell'esotismo.
Tali viaggi
hanno alterato il pensiero cattolico, che ora è umiliato e tormentato da una
generazione di teologi avventizi, impegnati a difendere con irosa superbia opinioni
giornalistiche e squillanti banalità.
Di qui l'obbligo di riflettere sulle virtù –
sapienza e misericordia - che hanno nobilitato la vita e l'opera di San Tommaso
d'Aquino. Lo rammenta don Curzio Nitoglia, autore di una pregevole Breve vita di San Tommaso d'Aquino,
edita da Effedieffe in questi giorni.
Il Dottore comune ha corretto “qualche autorità cristiana (specialmente
qualche teoria non pienamente sistematizzata dai Padri ecclesiastici) e lo ha
fatto interpretando reverenter le
loro opinioni o dissentendo educatamente o facendo dire correttamente
(specialmente a S., Agostino) ciò che non avevano detto in maniera corretta”.
Sant'Alberto Magno aveva insegnato
all'Angelico il metodo necessario alla soluzione delle dispute, che dovevano
essere affrontate e risolte “senza
sprecar parole, evitando le ripetizioni, le ampollosità retoriche, le
esclamazioni eccessive e gli aggettivi esuberanti”.
Di qui la tesi sull'umiltà cui è obbligato lo
studioso cattolico: “lo studio è anche
una penitenza e una disciplina di purificazione, perché preserva la mente dai
pensieri inutili e nocivi e castiga il corpo con la fatica che comporta”.
Ai revisori zuccherosi e agli storditi
frenatori dell'opera tomasiana, don Nitoglia rammenta che l'Aquinate, fedele
alla tradizione domenicana, fu anche un polemista seriamente impegnato a
confutare musulmanesimo e giudaismo, errori ultimamente coperti del timoroso
silenzio della gerarchia post-conciliare.
Al proposito l'autore rammenta che Santo delle
Crociate, Luigi di Francia amava molto
San Tommaso e lo aveva come consigliere spirituale ed anche come guida per
meglio governare”.
Puntuale è la valutazione dell'opera di San
Tommaso, il quale “non solo studiò e
commentò Aristotele, ma lo perfezionò, lo sublimò e, in un certo senso, lo
trasfigurò senza alterarlo e deformarlo. Si dice comunemente che Aristotele,
studiato come è in sé è simile ad un magnifico quadro visto al lume di una
torcia, mentre studiato alla luce di San Tommaso è visto alla luce del giorno
pieno”.
Il genio
dell'Aquinate rettificò e integrò l'opera geniale di Aristotele dimostrando,
con inconfutabili argomenti di ragione, che la Causa prima, da Aristotele contemplata nell'eternità increata, era il perfettissimo Creatore rivelato
ai credenti.
Di qui il
giudizio che conclude felicemente il saggio di don Nitoglia: “l'unico vero antidoto al veleno
(intellettuale, morale e spirituale) idealistico/moderno e
nichilistico/postmoderno è l'Angelico nella sua vita da imitare e nella sua
dottrina da conoscere e da spiegare agli altri”.
Lo studio della filosofia tomista è il primo
passo sulla via d'uscita dal fumoso delirio, che spinge i teologi modernizzanti
(e al proposito non è possibile tacere il nome del defunto cardinale Carlo
Maria Martini) a inseguire i filosofi dopo
Cartesio nelle fosse scavate dalla miscredenza e dalle ritornanti
superstizioni.
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