Da Il
Giornale del corrente 22 settembre, apprendiamo che monsignor Nunzio Galantino,
segretario generale della Cei, è intervenuto a una tavola rotonda organizzata
dalla giornalista presidentessa della Rai Monica Maggioni, in concomitanza con
le cerimonie del Prix Italia (da notare il Prix:
grazioso omaggio reso al francese, tanto per cambiare...)
Il tema non lasciava dubbi sul concetto etico,
oltre che sul retoricume della domanda: "Il fenomeno migratorio: coesione
o divisione? Il ruolo dei media al servizio del pubblico".
Il prelato si è esposto, balzando al di là
delle giustificazioni della sua opinione sottintesa, dandola evidentemente per
fondata e incrollabile, condivisa dal clero fino al suo vertice. Egli ha
dichiarato: "Il ruolo del servizio pubblico è dare qualche pugno nello
stomaco in più, perché quello è l'inizio della consapevolezza dell'opinione
pubblica", a proposito della fotografia del bambino Aylan, profugo siriano
naufrago, gettato morto dal mare sulla spiaggia.
Ci si potrebbe sentire a disagio davanti a
una figura retorica di certo poco conveniente, applicata alle spoglie d'un
bimbo che ha reso l'anima. Già ci sono stati - non proprio incompresi - coloro
i quali hanno deplorato lo scandalo dell'uso di un caso pietoso, alle cui
immagini giornali e notiziari hanno fatto fare il giro del mondo a pro della
causa dell'accoglienza, che sarebbe dovuta ai migranti imbarcati in traversate
arrischiate, molto pericolose.
L'incisivo Galantino sembra non darsi la pena
del sacro riguardo verso i defunti, della spregiudicatezza del mezzo
giornalistico da lui approvato, né della strumentalizzazione biasimata da...
duri di cuore.
Ma ciò che conta maggiormente è l'implicito
giudizio morale sull'immigrazione di tal genere, avendo egli le spalle ben
protette da analogo e parlante atteggiamento tenuto da Bergoglio e sodali suoi,
per avventura graditi, a tale riguardo, dai signori della terra.
Anzitutto va notato, oltre alla qualità del mezzo ("il pugno dello stomaco"),
il genere del fine prossimo: un urto emotivo che desti la retta informazione e
la retta coscienza.
Non è molto ragionevole supporre che un'immagine,
la quale induce al compianto o al pianto o ad altra reazione suscitata da una
realtà pietosa e funebre, sia "inizio della consapevolezza", cioè
apprendimento d'un fenomeno umano di vasta portata, ossia il viaggio di genti
che con esso mettono la vita a repentaglio. Il fenomeno comporta un esame delle
responsabilità, e per compierlo occorre ben altra conoscenza, anzitutto una
conoscenza scevra del fattore emotivo. Stando così le cose, chi si compiace del
"pugno dello stomaco" e dà per scontato il giusto effetto prodotto è forse
ancora in regola con il criterio morale?
Il
pubblico che riceve la dura scossa atta ad orientarlo, come perviene a una
risoluzione o convinzione confortata dalle debite cognizioni e dalle
conseguenze da trarre, non trascurabili? Esso non è in grado di sapere quali e
quanti emigranti siano perseguitati e profughi, quali e quanti, non essendolo,
siano sospinti da fame e miseria insostenibile, quali e quanti siano ingannati e
costretti all'emigrazione, quali e quanti siano mossi dal semplice desiderio di
miglior vita, approfittando dei vantaggi offerti dai paesi in cui entrano,
quali e quanti siano temerari e colpevoli nel rischio della pelle, quali e
quanti siano disertori delle guerre o
fuggano alla giustizia della loro patria, quali e quanti abbiano il viaggio
pagato e altre sovvenzioni non dichiarate. Nessuno di questi casi è
improbabile, e mancano al riguardo le statistiche e le loro pubblicazioni.
Nunzio Galantino avendo in tasca la soluzione,
fa a meno di statistiche, di ponderate
valutazioni e di stima delle conseguenze. Nella sua illuminata saggezza, sa che
la misericordia da attuare risponde alla soluzione, sa che il loro grande
potere attrattivo necessita soltanto di una spinta robusta per condurre il
vasto pubblico all'umano convincimento.
Nella logica del presupposto galantiniano,
trattandosi della carità, entrerebbe la grazia, la sua divina ispirazione. Egli
non si sogna di considerarla, perché ormai è noto che tutti gli uomini, essendo
stati riscattati, beneficiano ugualmente del favore divino, e la dottrina della
grazia è stata archiviata come si conviene; il popolo cova una pletora di
uomini di buona volontà
Andiamo invece al giudizio ultimo sul bene o
sul male del comportamento di stati e di cittadini, cattolici o altri, verso
l'immigrazione. A sentire il Galantino, il nostro atteggiamento sarebbe tardo,
superfluo, sospetto di connivenza con i cattivi insensati. Difatti egli
piamente ha aggiunto: "Quanto siamo ridicoli quando ci impelaghiamo in
polemiche di bassa lega, l'immigrazione non è Galantino contro Salvini, non c'è
niente di più triste che personalizzare un dramma come questo. Il ruolo
dell'informazione è mettere davanti agli occhi le storie e quando non lo fa è
solo un riempire il tempo". Poi conclude: "L'accoglienza va preparata
ed è il ruolo più faticoso: Ogni storia è un bullone e ogni bullone al posto
giusto può far camminare la nave dell'umanità".
Purtroppo Galantino non si accorge di tante storie che rendono l'accoglienza un
misfatto. Scampato alle complicazioni di ambienti e studi, egli gode di
un'idillica semplicità. Nella sua benevolenza sconfinata, vede in ogni
straniero diretto ai nostri confini un disgraziato, pertanto verso di lui è
doveroso essere buoni Samaritani e basta così. Nel suo immenso buon volere egli
non comprende che la soccorrevole carità individuale, dovuta al sofferente, si
conserva con la carità restante: contro il male che egli possa recare a se
stesso e agli altri, né considera che il soccorso dovuto dallo Stato a
naufraghi o ai privi di cibo e di ricovero, non può essere disgiunto da provvedimenti
che impediscano "il dramma", e dai successivi provvedimenti assunti
nei confronti delle persone assistite.
Il punto di partenza resta il bene o il male
complessivi e preponderanti che vengono dall'immigrazione.
Essa
risulta essere cattiva per questi motivi.
1) Immette nella nazione ospite genti aventi
tradizioni, lingua e costumi differenti, tanto più dannosi in quanto recano una
religione incompatibile con il cattolicesimo, e che di certo ostano alla
conversione, anzi costituiscono un elemento perturbatore mediante infedeltà o
eresia trasmesse, mentre impediscono - o almeno rendono assai problematico -
che i nuovi venuti si integrino nella società civile e ne diventino autentici
componenti.
2) Introduce manodopera che accresce la
disoccupazione.
3) Ad essa si deve il notevole aumento dei
delitti e dei danni, non ultimi quelli delle illecite esportazioni di denaro.
A queste ragioni preponderanti, si oppongono
argomenti zoppi e insufficienti. I principali sono: i vantaggi derivanti da un
miscuglio di etnie e di presunte civiltà (in definitiva, sarebbe come dire che
mettere acqua nel vino migliora il vino); il lavoro svolto dagli immigrati che
supplisce alle nostre deficienze nel soddisfare le richieste dei mestieri umili
(se da noi ci sono disoccupati che rifiutano un lavoro, bisogna metterli nelle
condizioni o nella necessità di accettarlo); l'apporto demografico (molti figli
degli immigrati - Francia e Gran Bretagna lo insegnano - non si integrano,
diventano pericolosi; il difetto della denatalità può e deve essere rimediato
dallo Stato).
Monsignor Galantino sdegna il confronto delle
idee, ritiene inutile fatica fare il bilancio. Buon per lui? Preghiamo per
l'anima sua.
Stabilito il male dell'invasione di stranieri
(ed invasione è quando una massa eterogenea pretende di stabilirsi all'estero,
cioè a casa nostra, ed anche dove si sta meglio, come generalmente accade)
occorre provvedere ad eliminarlo, eliminando nel contempo le disgrazie. Se le
frontiere nazionali sono chiuse e difese, nessuno verrà. Gli aiuti agli
sventurati possono essere forniti altrove, con spese e perdite di gran lunga
inferiori a quelli dell'accoglienza.
Tutto ciò è semplice, onesto, caritatevole.
Ma per chi ha saltato il fosso e, sistemato sulla sponda conformista, non si
scomoda a ragionare, non c'è evidenza che tenga.
Rese zerbino della soglia la patria, la
civiltà romano-cattolica, la carità composta di amore soprannaturale e di
giustizia, spregiata la peste dell'errore religioso e filosofico, dopo aver
sommerso questo tesoro con i sofismi teologico-umanitari postconciliari, vi si
sbandiera sopra una misericordia falsa, sentimentale, immoralista, ricattatrice
di coscienze deboli e viziate.
La
Repubblica dello stesso giorno, ci informa che Galantino, rivolgendosi al
clero diocesano torinese, lo ha ammonito dicendo che l'appello del loro
arcivescovo per l'accoglienza ai profughi è stato recepito "subito dal
basso, generando una risposta di carità contagiosa". A suo avviso, la
crisi generale del Paese è antropologica e culturale prima che economica. Bravo!
Peccato che la sua ricetta sia il contrario di quella risanatrice. Per lui ci
vuole un cambiamento di stile e consuetudini, una conversione pastorale, un
rinnovamento (ancora un altro?), una testimonianza cristiana. Appunto quella
mostrata "dal basso"!
Piero
Nicola
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