La quasi totalità degli Stati del mondo ha due Camere
legislative che formano il Parlamento: una Assemblea dei Deputati e un
Congresso di Senatori; sono, infatti, poche le Nazioni con una sola Camera
preposta a legiferare e spesso si tratta di Paesi di piccole dimensioni. Due
Camere perché, pur nella differenza dei ruoli, esse sono preposte al controllo
dell’’iter’ delle leggi
Ora, è giusto che un ramo parlamentare
verifichi ciò che fa l’altro corpo legislativo, ma, visto che da alcuni anni
esistono nel nostro ordinamento Province, Regioni ed altri enti locali, è
altrettanto doveroso che, nella fattispecie al Senato, siano ascritti compiti
diversi, ma importantissimi.
Adesso, alcune forze
politiche – col pretesto che il Senato è un doppione della Camera – vorrebbero
cancellare questa nobile istituzione le cui radici affondano nei millenni,
fermo restando, altresì, che il solo Senato della Repubblica sarebbe più che
sufficiente a legiferare in una Nazione media come l’Italia, visto, altresì,
che i Parlamenti hanno vita più breve essendo nati, esattamente, in Italia durante
la civiltà comunale. L’attuale Camera dei Deputati – composta da quasi mille
membri – è solo un impaccio solo se si consideri la patologica durata della
discussione e della formazione degli ordinamenti giuridici.
Vediamo, adesso, un po’
la storia di primi organi legislativi ad iniziare dalla Grecia dato che già in
epoca omerica esisteva un Consiglio degli anziani, compresa Sparta ed altre
città ellenizzate. Solo a Roma, però – è doveroso riconoscerlo – il Senato
diventò una delle istituzioni basilari dello Stato con responsabilità sia nella
politica interna , sia nella politica estera. Nato, ‘ab initio’, come consiglio
del Re, la sua composizione era basata sull’età e sulla dignità del cittadino
proveniente dalla magistratura.
Nei primi tempi, i componenti
del Senato erano scelti soltanto tra i patrizi, da cui il nome ‘patres’ attribuito ai
senatori; in seguito, anche tale
Assemblea, in età repubblicana, operò delle aperture nei riguardi dei plebei
sebbene nel Senato restasse in atto la distinzione fra senatori patrizi,
appunto, ‘patres’, e senatori plebei, detti ‘conscripti’, cioè aggiunti. Il
Senato di allora poteva riunirsi solo dietro iniziativa del magistrato il quale
lo presiedeva.
La presenza
nell’Assemblea era obbligatoria e le sedute non erano pubbliche, mentre, dal
loro canto, i tribuni della plebe potevano assistervi restando fuori dell’aula
parlamentare. Per quanto riguarda le funzioni del Senato, alcune erano di
esclusiva spettanza patrizia, come la nomina dei supplenti. Com’è noto, gli
atti del Senato erano i ‘senatoconsulti’ diretti ai magistrati che li
richiedevano sebbene non fossero vincolanti. I senatoconsulti acquistarono,
invece, rilievo durante il periodo imperiale assumendo valore di legge.
Per quanto riguarda il
numero dei senatori, Romolo ne stabilì 100 diventati, poi, 300 anche se la
cifra oscillò sempre fra 300 e 600 componenti, mentre Cesare portò il numero a
900 unità; per quel che concerne i senatori plebei, essi dapprima ebbero solo
il diritto di voto ma, poco dopo, anche
quello di parola. Nel IV sec. a. C., Appio Claudio Cieco fece entrare in
Assemblea i figli dei libertini onde applicare la prescrizione del plebiscito.
Il seggio senatoriale
era vitalizio e i componenti di tale Congresso portavano come segno distintivo
sulla porpora una fibbia d’avorio e, dal II sec. a. C., un anello d’oro;
abbiamo detto che le sedute in Senato erano obbligatorie e il magistato
convocante poteva infliggere agli assenti una multa o la ’pignoris capio’. Dopo Silla, il Senato poteva vietare la
convocazione dei comizi pena la non
validità del senatoconsulto.
In politica estera, il
Senato ebbe una funzione di primo piano perché riceveva le ambascerie e
ratificava i trattati internazionali emanando anche le leggi da estendere ai territori
acquistati o occupati; esso, inoltre, presiedeva alla vita religiosa, vigilava
sui comizi, dirimeva le vertenze e sorvegliava tutte le forme di vita sociale.
E ‘Senatus Populusque
Romanus’ rimase ognora sinonimo di garanzia giuridica, nel mondo latino. Dopo le
guerre civili e con l’Impero, il Senato, pur conservando, la propria autorità,
dovette subire limitazioni a causa della forza del Principe che disponeva di un
potere praticamente assoluto.
Ora, come tutti sanno,
si sta discutendo nelle nostre due Camere la legge sull’abolizione del Senato
elettivo da sostituire con un’Assemblea nella quale i consiglieri regionali
diventerebbero senatori con competenze non legislative, bensì relative ai
problemi degli enti locali. Un pasticcio, a nostro giudizio, che se passasse
svilirebbe, ‘in toto’, il prestigio di un organo deliberativo e consultivo risalente, come abbiamo accennato all’inizio, al
primo Re di Roma e cioè Romolo.
Anzi, sempre come
abbiamo indicato poc’anzi, ad una Nazione delle dimensioni dell’Italia
basterebbe solo il Senato come organo legislativo considerato, inoltre,
l’autorità di cui ha goduto fino ad oggi e, si spera, più avanti. E se qualcuno
persevera nel vedere il Senato come un doppione svilito di ogni prestigio,
sappia, invece, che sarebbe da eliminare, proprio la Camera dei deputati non
solo perché di formazione recente, ma soprattutto per il numero esorbitante dei
suoi componenti: quasi mille!
Ma, a nostro giudizio,
una soluzione ci sarebbe, volendo mantenere in funzione sia la Camera che il
Senato ed essa consiste, da una parte, nella drastica diminuzione degli
onorevoli – 300 per la Camera bassa e 150 per la Camera alta sarebbero più che
sufficienti – e dall’altra, proprio per snellire le procedure, attribuire ad
una sola Assemblea il compito di concedere la fiducia al governo.
Personalmente, siamo
per il Senato della Repubblica, ma se si dovesse giungere ad assegnare alla
Camera dei deputati la responsabilità di accordare la fiducia al governo,
‘nulla quaestio’. In tale maniera, ci sarebbe un vero snellimento dei vari
‘itinera’ formalistici e un non meno efficiente snellimento della macchina
burocratica.
Parafrasando il famoso
detto latino, si potrebbe concludere, al riguardo, affermando: “Caveant
senatores ne quid res publica detrimenti capiat”.
Lino Di Stefano
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