Insidiosa
e mutilante novità, surrettiziamente introdotta nella cultura cattolica
dallo spirito del Concilio, l'oblio del pensiero di San Tommaso d'Aquino
attiva un sentimentalismo, che trasforma i fedeli in frequentatori di cerimonie
socializzanti, e i preti in delicati
conversatori, cuochi sociali e fervidi perdonisti.
L'oblio
del tomismo indebolisce anche le difese immunitarie degli studiosi cattolici e
li rende incapaci di comprendere e fronteggiare
l'insidia costituita dal rovesciamento del pensiero moderno nelle antiche
suggestioni dello gnosticismo.
In
ambiente cattolico, peraltro, circola indisturbata e talora approvata da
esponenti del clero, la gioconda convinzione che il Concilio abbia elevato
l'amore puro e spensante al di sopra dei princìpi conosciuti dalla
ragione e definiti dai dogmi.
Inutilmente
Romano Amerio ha confutato l'illusoria opinione: "No, non c'è l'amore,
perché sopra l'amore c'è un pensiero che afferma Sopra tutto c'è l'amore e
che esclude con la sua affermazione che sopra tutto ci sia un sentimento
impensato".
Il
primato del pensiero sul sentimento, lo sostiene anche un discepolo di Amerio,
Enrico Maria Radaelli, è stabilito dal magistero affinché "il moto più
santo e deiforme, l'amore, non si muti in mera materialità incosciente: se non
è pensato neanche l'amore può esistere".
Nella Chiesa
cattolica, società che ha radice e fondamento nella rivelazione del
Logos increato, rammentare l'ovvia tesi sul primato del pensiero, sarebbe
superfluo e quasi imbarazzante, se non fosse continua la gridata esternazione
di teorie sentimentali da parte di fedeli e sacerdoti emozionati e confusi,
ultimamente inclini a festeggiare l'avvenuto transito della carità verso la
tolleranza o addirittura la gaudiosa condivisione dell'errore.
La
sagace scrittrice Maria Guarini al proposito afferma: "Il problema è
che il cristianesimo ha abbandonato la philosophia perennis anche per
un'inedita via: quella dei movimenti. E si è persa la consapevolezza che, in
mancanza di un serio impianto teoretico-dottrinale si cade in un
sentimentalismo e devozionismo che non portano da nessuna parte perché mettono
in secondo piano sia la ragione, massificata da slogan e atteggiamenti e
comportamenti indotti, che la volontà, scaduta in volontarismo sostenuto da
metodi accattivanti e coinvolgenti l'emozione".
Alterata
dal movimentismo, l'amicizia cattolica si rovescia nella smanceria e nel suono
sgradevole delle chitarre ecclesiali, che accompagnano insulse rime. Di
qui la caduta delle difese immunitarie dall'antropocentrismo, che, infatti,
diluvia dai pulpiti della teologia modernizzante ed erompe nelle liturgie canterine,
messe in scena per procurare deliziose vertigini agli ecumenisti senza rete.
Per
contrastare la diffusione della teologia debole e della sciatta liturgia, Maria Guarini ha pubblicato, nella
collana delle Diffusioni Editoriali Umbilicus Italiae, "La Chiesa e
la sua continuità Ermeneutica e istanza dopo il Vaticano II", un volume
che raccoglie suoi scritti insieme con puntuali interventi di autorevoli
pensatori quali Brunero Gherardini, Antonio Livi, Francesco Colafemmina, Enrico
Maria Radaelli, Gianni Battistini e Curzio Nitoglia.
I testi
scritti o proposti da Guarini costituiscono un puntuale commento alle parole
dettate dalla caritatevole intransigenza al cardinale Giacomo Biffi: "La
prima misericordia di cui abbiamo bisogno è la luce impietosa della
verità".
Il sequestro della
verità negli ambulacri del buonismo vieta purtroppo di cogliere il profondo
significato dell'ermeneutica della continuità predicata da Benedetto
XVI.
Causa
dell'incomprensione diffusa è l'oblio o il rifiuto del principio secondo cui
"non è il dogma che muta o si evolve, ma la capacità della Chiesa e in
essa del singolo credente di approfondirlo, estrarne come lo Scriba del Regno
le inesauribili ricchezza: nova et vetera".
Ora è un fatto
incontestabile il baluginio, cenni fra le righe, nei documenti
redatti dai padri del Vaticano II, di pensieri aperti a una teologia
inquinata dallo hegelismo.
Il
ricorso all'espressione cenni fra le righe poiché, è suggerito dalle
indicazioni di Romano Amerio e di Antonio Livi, autori la presenza dei quali,
dimostra che il tentativo degli eversori teologici, grazie a Dio, non è
riuscito.
Non si
può negare tuttavia che la presenza in alcuni testi conciliari di formule
imprecise o confuse genera legittime perplessità e giustifica richieste di
autorevoli chiarimenti sulle definizioni oscillanti.
Valga
ad esempio Gaudiun et spes 24. Il testo latino afferma che l'uomo "in
terris sola creatura est quam Deus propter seipsam
voluerit". Se non che la traduzione ufficiale recita: "l'uomo è stato voluto da Dio per Se
stesso".
In quale fra le due
contrarie definizioni deve credere il fedele? Chi è nell'errore, l'estensore
del testo antropocentrico scritto in latino o il traduttore teocentrico? In
quale corno del dilemma risiede la rivendicata infallibilità del Concilio
Vaticano II?
Chiedere
il chiarimento, pertanto, non è un atto irriguardoso, tantomeno un attentato
all'autorità che incoraggia e benedice
l'escursione di Scalfari nei pii anfratti del relativismo.
Si
chiede il chiarimento perché si desidera la chiusura della parentesi confusa
aperta dalla nuova teologia, quella che Pio XII ha severamente condannato
nell'Enciclica Humani generis e che Paolo VI ha definito "fumo di
satana".
Solamente
una rumorosa fazione di novatori irriducibili nega l'urgenza del chiarimento.
L'irritata e superciliosa reazione dei teologi progressisti alle osservazioni
critiche dei difensori della tradizione, e severamente contrastata da Antonio
Livi, che scrive: "Si potrebbe osservare sconsolatamente che la critica
da sinistra, ossia da parte dei progressisti, è recepita come lecita e sempre
utile al progresso della comunione ecclesiale, mentre la critica da destra,
ossia da parte dei conservatori è recepita come illecita e sempre dannosa per
l'unità della Chiesa".
r
Nessuno
ha mai pensato seriamente di denunciare l'esistenza di eresie nei testi del Vaticano
II. Da parte dei tradizionisti (opportunamente Maria Guarini
propone l'uso di questo termine, che esclude la discendenza da un termine
abusato e inquinato - dai seguaci di De Maistre - quale tradizionalismo)
è avanzata la legittima proposta di chiarimento sui testi nei quali è evidente
una certa ambiguità o anfibologia, derivata dall'influsso dei teologi neo
modernisti, costituiti in fazione rumorosa nei corridoi del Concilio Vaticano
II e intesi a sovvertire la tradizione.
Antonio
Livi scrive: "La posizione di Amerio non è un rifiuto degli
insegnamenti del Concilio, anzi corrisponde sostanzialmente a quello che
Benedetto XVI avrebbe poi denominato ermeneutica della continuità; infatti la
denuncia del presunto tentativo di rottura e di discontinuità che sembra
risultare dalla lettura di alcuni testi del Vaticano II va unito alla certezza
che tale tentativo è di per sé irrealizzabile e che quindi il sensus fidei
della comunità cristiana può sempre interpretare le novità dottrinali alla luce
di ciò che è sempre stata, nella sua essenza, la fede della Chiesa".
Nella
dichiarazione di monsignor Livi è impossibile cogliere l'intenzione di
giustificare la rivolta all'autorità del Concilio, specialmente quando si
considerano le ammissioni di un onesto progressista quale è padre Giovanni
Cavalcoli o. p. sugli errori riscontrati nelle istruzioni pastorali contenute
nei documenti del Vaticano II.
Per
ristabilire la pace intorno alle verità cattolica, sarà quindi necessario
(giusta l'osservazione formulata da Roberto De Mattei in una nota pubblicata
nel sito Corrispondenza Romana) intraprendere un difficile e spinoso cammino
indirizzato a stabilire quali sono i testi dogmatici del Vaticano II (e se
esistono, dal momento che il Vaticano II è stato ufficialmente definito
concilio pastorale).
La
cultura cattolica pertanto deve essere finalizzata alla chiusura di una
stagione infelice e tormentata, ossia al pacifico riconoscimento che i testi
del Concilio pastorale Vaticano II non
alterano il depositum fidei e. ad ogni modo, non esigono il consenso dei
fedeli.
Sembra
che si possa sostenere in conclusione l'utilità del lavoro amorevolmente
compiuto da Maria Guarini in ideale continuità con le opere di Romano Amerio,
di Antonio Livi, di Paolo Pasqualucci e di Roberto De Mattei.
E'
dunque condivisibile il giudizio dell'autorevole Brunero Gherardini, che
definisce l'autrice "apis argumentosa, che lancia ai quattro venti, con
la costanza dei forti, i frutti della sua intelligenza, del suo studio, del suo
impegno per la sana dottrina e la Santa Madre Chiesa".
Piero Vassallo
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