Dogma
e liturgia
Giuseppe
Siri, attualità di un inattuale
Il
card. Giuseppe Siri è vissuto negli anni tormentati, durante i quali
i teologi modernizzanti,
addetti alla preparazione del collasso cattolico post-conciliare,
irridevano i tradizionalisti ponendo una domanda tanto stupida quanto
velenosa: "Credi davvero di essere un redivivo Atanasio?"
In
realtà Siri si adoperò generosamente e non senza incontrare
difficoltà affinché i testi del Vaticano II fossero interpretati
alla luce della tradizione indeclinabile.
Nella
prefazione all'antologia (edita dalla Casa editrice Leonardo da
Vinci, Roma 2014) dei testi scritti da Siri per dimostrare la
continuità della Tradizione nei documenti del Vaticano II, mons.
Antonio Livi, dotto curatore dei testi, sostiene opportunamente che i
pensieri dell'arcivescovo di Genova "sono gli stessi pensieri
che papa Benedetto XVI, l'autorevole interprete del Concilio nella
linea della riforma nella continuità, ha manifestato nel suo ultimo
discorso pubblico prima di lasciare il ministero petrino".
Siri,
infatti, sosteneva che nella sostanza la liturgia era rimasta quella
di prima: "la costituzione conciliare significa che i fedeli
sono solennemente invitati non solo a partecipare al culto divino ma
a prepararsi con una cultura adeguata, un esercizio metodico, una
perenne preghiera che scaldi l'anima per la fruttuosa partecipazione
ai sacri riti".
Livi
sottolinea che tale è anche il pensiero di Benedetto XVI: "nella
liturgia appare il primato di Dio, il primato dell'adorazione - operi
Dei nihil praeponatur:
questa parola della Regola di San Benedetto appare così come la
suprema regola del Concilio".
Purtroppo
la dottrina del Vaticano II, già in sé stessa incerta, come hanno
dimostrato Romano Amerio, Paolo Pasqualucci e Serafino Lanzetta, è
stata interpretata dalla maggioranza dei vescovi e dei teologi in
base a criteri diversi se non opposti a quello anticipato da Siri e
confermato da Benedetto XVI.
Padre
Serafino M. Lanzetta, ad esempio, svela la causa della baraonda
ermeneutica in atto: "Purtroppo
dal Concilio Vaticano II ad oggi tanti cattolici pensano di essere
adulti perché ormai hanno capito cosa significhi l'espressione
conciliare legittima
autonomia delle realtà terrene.
Si va al di là del testo se si pensa che essa sia una nuova capacità
della ragione umana, la quale, in nome dell'autonomia-libertà
donataci dalla fede, sarebbe ormai autorizzata a trovare altre vie
percorribili per spiegare le realtà temporali della fede".
L'opinione
di padre Lanzetta è condivisa e rafforzata da padre Giovanni
Cavalcoli, il quale ha scritto: "Dopo
cinquant'anni di tentativi ad experimentum, insuccessi, stasi,
retrocessioni, sconfitte e fallimenti ormai noti a tutti ... bisogna
che ci decidiamo una buona volta a reintrodurre nell'opera
evangelizzatrice quegli elementi che ormai da più di cinquant'anni
sono stati imprudentemente accantonati e la cui assenza concorre in
modo determinante a causare le carenze dell'attuale situazione,
mentre quando erano presenti sono serviti a produrre il successo e la
solidità dell'opera missionaria e della diffusione della Chiesa nel
mondo".
Nel
saggio "Unam Sanctam", edito da Solfanelli nel 2013, Paolo
Pasqualucci afferma, senza temere smentite, che "il
vero Concilio era quello preparato dalla Curia sotto la guida del
cardinale Alfredo Ottaviani e di padre Cornelio Tromp. ... Un
eccellente e validissimo lavoro, al quale avevano preso parte i
migliori teologi ortodossi, fu buttato a mare nella convulsa e
anomala fase iniziale del Concilio [Vaticano
II],
grazie a una serie di colpi di mano procedurali dei progressisti, che
riuscirono a conquistare la prevalenza nelle dieci Commissioni
conciliari incaricate di gli schemi dei testi da sottoporre
all'assemblea".
Infine
si rammenta che una puntuale critica alla Gaudium
et Spes,
fu formulata l'undici
ottobre 2012 da Benedetto XVI, il quale, rivolgendosi al Sinodo dei
vescovi affermò: "Dietro
l'espressione vaga mondo
di oggi
vi è la questione del rapporto con l'età moderna. Questo non è
riuscito nello schema XIII [del
Vaticano II].
Sebbene la costituzione pastorale esprima molte cose importanti per
la comprensione del mondo e dia rilevanti contributi sulla questione
dell'etica cristiana, su questo punto non è riuscita a offrire un
chiarimento sostanziale".
I
frutti della confusione teologica e dell'omissione filosofica sono
purtroppo evidenti. In molte chiese il fastidioso rumore delle
chitarre accompagni versi che accarezzano la frivolezza assoluta,
mentre nelle prediche si ode la desolante eco di una teologia che
rovescia il primato dell'essere nel pensiero indirizzato all'azione
nel
sociale.
Nel
dicembre del 1972, Siri, pur impegnandosi assiduamente nel tentativo
di tener dritta la barra del timone post-conciliare, denunciò - oggi
possiamo dire profeticamente - il pericolo rappresentato dal
crescente furore dei teologi d'assalto:
“Il Concilio ha rivelato che si va delineando una conduzione vaga
della Chiesa ... - che ci sono rabbie contro la ragione, la teologia
e il diritto. Si vede il fine del kerigmatismo, che è spesso quello
di eliminare la Tradizione. ... -che in moltissimi prevale la
letteratura sulla teologia”
1.
Alla lettura oggi urlante dai pulpiti si può associare l'aggettivo
"sgangherata".
Purtroppo
Siri aveva descritto la realtà che stava affermandosi. E' di ieri il
discorso (ma sarebbe meglio dire il delirio) contro la filosofia
dell'essere tenuto da una suora, docente in una università cattolica
e incaricata di correggere le suore francescane dell'Immacolata,
colpevoli di vivere secondo lo spirito del loro ordine.
Associata
alla fede di Siri, con la tonalità del rimprovero e quasi del
disprezzo declinata dai novatori, la fede irriducibile di
Sant'Atanasio rammenta che la solitudine dei credenti non è una
novità nella storia ecclesiastica e che la Chiesa cattolica, oltre
che alle persecuzioni cruente, sopravvive ai tradimenti intitolati al
conformismo, al mondanismo e alla festante stupidità del clero.
Nella
raccolta di testi liturgici di Siri, compiuta con rara perizia e
fedeltà all'ortodossia da Livi, si trova una perla di saggezza
tradizionale, una riflessione sulla Carità, che getta la purificante
luce del Vangelo sulle chiacchiere fumose del social-buonismo e della
demagogia pauperista, ciance a una dimensione, ultimamente lanciate
all'autorevole galoppo suggerito dalla svolta antropologica di Karl
Rahner e dalla tesi del Vaticano II sulla Incarnazione di Cristo in
ogni uomo.
Il
silenziato Siri aveva confutato in anticipo la teoria che indirizza
la carità sull'uomo in
qualche modo divinizzato
dalla nuova teologia:
"La
carità ha due oggetti: Dio e il nostro prossimo. Una sola virtù
unisce questi due oggetti tanto diversi. Il motivo di questa carità
è identico: si ama Dio per se stesso e il prossimo per amore di Dio.
In questi due precetti, che si fondono in uno, Gesù ha detto che si
compendia tutta la Legge e i Profeti. E' chiaro come il motivo il
motivo solo dell'amore del prossimo possa salvare la carità. Motivo
è - ripetiamo - l'amore di Dio. L'amore di Dio copre tutti i nostri
simili e per questo sono tutti amabili, per quanto la natura nostra
possa recalcitrare. ...Potrebbe esser facile amare Dio, ma è
difficile amarlo attraverso creature, le quali, umanamente parlando,
non sarebbero affatto amabili: così aumenta il merito nostro e si
garantisce la carità".
Alla
svolta antropologica, agente fra le incerte e oscillanti righe del
Vaticano II, Siri rispose rammentando che la carità verso i poveri
discende dal primato dell'amore e dalla fedeltà alla parola di Dio.
La
fragilità dell'amore che esalta i poveri con nobili parole mentre
giudica con implacabile rigore i fedeli refrattari al buonismo è
sotto i nostri occhi, per dimostrare l'attualità della teologia
difesa con passione eroica da Siri.
Piero Vassallo
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