lunedì 7 luglio 2014

Giuseppe Siri, attualità di un inattuale

Dogma e liturgia

Giuseppe Siri, attualità di un inattuale

Il card. Giuseppe Siri è vissuto negli anni tormentati, durante i quali i teologi modernizzanti, addetti alla preparazione del collasso cattolico post-conciliare, irridevano i tradizionalisti ponendo una domanda tanto stupida quanto velenosa: "Credi davvero di essere un redivivo Atanasio?"
In realtà Siri si adoperò generosamente e non senza incontrare difficoltà affinché i testi del Vaticano II fossero interpretati alla luce della tradizione indeclinabile.
Nella prefazione all'antologia (edita dalla Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2014) dei testi scritti da Siri per dimostrare la continuità della Tradizione nei documenti del Vaticano II, mons. Antonio Livi, dotto curatore dei testi, sostiene opportunamente che i pensieri dell'arcivescovo di Genova "sono gli stessi pensieri che papa Benedetto XVI, l'autorevole interprete del Concilio nella linea della riforma nella continuità, ha manifestato nel suo ultimo discorso pubblico prima di lasciare il ministero petrino".
Siri, infatti, sosteneva che nella sostanza la liturgia era rimasta quella di prima: "la costituzione conciliare significa che i fedeli sono solennemente invitati non solo a partecipare al culto divino ma a prepararsi con una cultura adeguata, un esercizio metodico, una perenne preghiera che scaldi l'anima per la fruttuosa partecipazione ai sacri riti".
Livi sottolinea che tale è anche il pensiero di Benedetto XVI: "nella liturgia appare il primato di Dio, il primato dell'adorazione - operi Dei nihil praeponatur: questa parola della Regola di San Benedetto appare così come la suprema regola del Concilio".
Purtroppo la dottrina del Vaticano II, già in sé stessa incerta, come hanno dimostrato Romano Amerio, Paolo Pasqualucci e Serafino Lanzetta, è stata interpretata dalla maggioranza dei vescovi e dei teologi in base a criteri diversi se non opposti a quello anticipato da Siri e confermato da Benedetto XVI.
Padre Serafino M. Lanzetta, ad esempio, svela la causa della baraonda ermeneutica in atto: "Purtroppo dal Concilio Vaticano II ad oggi tanti cattolici pensano di essere adulti perché ormai hanno capito cosa significhi l'espressione conciliare legittima autonomia delle realtà terrene. Si va al di là del testo se si pensa che essa sia una nuova capacità della ragione umana, la quale, in nome dell'autonomia-libertà donataci dalla fede, sarebbe ormai autorizzata a trovare altre vie percorribili per spiegare le realtà temporali della fede".
L'opinione di padre Lanzetta è condivisa e rafforzata da padre Giovanni Cavalcoli, il quale ha scritto: "Dopo cinquant'anni di tentativi ad experimentum, insuccessi, stasi, retrocessioni, sconfitte e fallimenti ormai noti a tutti ... bisogna che ci decidiamo una buona volta a reintrodurre nell'opera evangelizzatrice quegli elementi che ormai da più di cinquant'anni sono stati imprudentemente accantonati e la cui assenza concorre in modo determinante a causare le carenze dell'attuale situazione, mentre quando erano presenti sono serviti a produrre il successo e la solidità dell'opera missionaria e della diffusione della Chiesa nel mondo".
Nel saggio "Unam Sanctam", edito da Solfanelli nel 2013, Paolo Pasqualucci afferma, senza temere smentite, che "il vero Concilio era quello preparato dalla Curia sotto la guida del cardinale Alfredo Ottaviani e di padre Cornelio Tromp. ... Un eccellente e validissimo lavoro, al quale avevano preso parte i migliori teologi ortodossi, fu buttato a mare nella convulsa e anomala fase iniziale del Concilio [Vaticano II], grazie a una serie di colpi di mano procedurali dei progressisti, che riuscirono a conquistare la prevalenza nelle dieci Commissioni conciliari incaricate di gli schemi dei testi da sottoporre all'assemblea".
Infine si rammenta che una puntuale critica alla Gaudium et Spes, fu formulata l'undici ottobre 2012 da Benedetto XVI, il quale, rivolgendosi al Sinodo dei vescovi affermò: "Dietro l'espressione vaga mondo di oggi vi è la questione del rapporto con l'età moderna. Questo non è riuscito nello schema XIII [del Vaticano II]. Sebbene la costituzione pastorale esprima molte cose importanti per la comprensione del mondo e dia rilevanti contributi sulla questione dell'etica cristiana, su questo punto non è riuscita a offrire un chiarimento sostanziale".
I frutti della confusione teologica e dell'omissione filosofica sono purtroppo evidenti. In molte chiese il fastidioso rumore delle chitarre accompagni versi che accarezzano la frivolezza assoluta, mentre nelle prediche si ode la desolante eco di una teologia che rovescia il primato dell'essere nel pensiero indirizzato all'azione nel sociale.
Nel dicembre del 1972, Siri, pur impegnandosi assiduamente nel tentativo di tener dritta la barra del timone post-conciliare, denunciò - oggi possiamo dire profeticamente - il pericolo rappresentato dal crescente furore dei teologi d'assalto: “Il Concilio ha rivelato che si va delineando una conduzione vaga della Chiesa ... - che ci sono rabbie contro la ragione, la teologia e il diritto. Si vede il fine del kerigmatismo, che è spesso quello di eliminare la Tradizione. ... -che in moltissimi prevale la letteratura sulla teologia” 1. Alla lettura oggi urlante dai pulpiti si può associare l'aggettivo "sgangherata".
Purtroppo Siri aveva descritto la realtà che stava affermandosi. E' di ieri il discorso (ma sarebbe meglio dire il delirio) contro la filosofia dell'essere tenuto da una suora, docente in una università cattolica e incaricata di correggere le suore francescane dell'Immacolata, colpevoli di vivere secondo lo spirito del loro ordine.
Associata alla fede di Siri, con la tonalità del rimprovero e quasi del disprezzo declinata dai novatori, la fede irriducibile di Sant'Atanasio rammenta che la solitudine dei credenti non è una novità nella storia ecclesiastica e che la Chiesa cattolica, oltre che alle persecuzioni cruente, sopravvive ai tradimenti intitolati al conformismo, al mondanismo e alla festante stupidità del clero.
Nella raccolta di testi liturgici di Siri, compiuta con rara perizia e fedeltà all'ortodossia da Livi, si trova una perla di saggezza tradizionale, una riflessione sulla Carità, che getta la purificante luce del Vangelo sulle chiacchiere fumose del social-buonismo e della demagogia pauperista, ciance a una dimensione, ultimamente lanciate all'autorevole galoppo suggerito dalla svolta antropologica di Karl Rahner e dalla tesi del Vaticano II sulla Incarnazione di Cristo in ogni uomo.
Il silenziato Siri aveva confutato in anticipo la teoria che indirizza la carità sull'uomo in qualche modo divinizzato dalla nuova teologia: "La carità ha due oggetti: Dio e il nostro prossimo. Una sola virtù unisce questi due oggetti tanto diversi. Il motivo di questa carità è identico: si ama Dio per se stesso e il prossimo per amore di Dio. In questi due precetti, che si fondono in uno, Gesù ha detto che si compendia tutta la Legge e i Profeti. E' chiaro come il motivo il motivo solo dell'amore del prossimo possa salvare la carità. Motivo è - ripetiamo - l'amore di Dio. L'amore di Dio copre tutti i nostri simili e per questo sono tutti amabili, per quanto la natura nostra possa recalcitrare. ...Potrebbe esser facile amare Dio, ma è difficile amarlo attraverso creature, le quali, umanamente parlando, non sarebbero affatto amabili: così aumenta il merito nostro e si garantisce la carità".
Alla svolta antropologica, agente fra le incerte e oscillanti righe del Vaticano II, Siri rispose rammentando che la carità verso i poveri discende dal primato dell'amore e dalla fedeltà alla parola di Dio.
La fragilità dell'amore che esalta i poveri con nobili parole mentre giudica con implacabile rigore i fedeli refrattari al buonismo è sotto i nostri occhi, per dimostrare l'attualità della teologia difesa con passione eroica da Siri.

Piero Vassallo




1 Cfr. Benny Lai, “Il Papa non eletto”, op. cit., pag. 383.

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