Monaci
e pellegrini nell'Europa medievale
Riflessioni
non buoniste sulla nobiltà della fuga dal mondo
Voci
ultimamente alzate dal delirio, gridato da teologi posseduti dal
furore pragmatico,
annunciano la fine della filosofia dell'essere e la conseguente
liquidazione dell'ascetismo, cuore di una religione, il
Cattolicesimo, indirizzata alla fuga dall'universo mondano e dalle
sue vane agitazioni.
Se
non che il fruscio della pura azione sociale
è
attenuato dalla presenza (sgradita ma invincibile) di religiosi
fedeli alla tradizione (i francescani dell'Immacolata, ad esempio) e
contrastato dalla splendida memoria (consegnata alle pagine di un
volume edito in Firenze da Polistampa) dei cristiani che vissero
nella contemplazione durante il Medioevo.
Nel
corso degli anni ottanta, peraltro, i fedeli genovesi non appiattiti
sulle tesi ecumeniche
di Karl Rahner, assistendo alla Santa Messa nella Chiesa dei
carmelitani di Sant'Anna, godevano talora del privilegio di ascoltare
le omelie di padre Domenico, monaco esemplare la cui misericordia era
passata indenne attraverso le suggestioni del buonismo.
Asceta
di altri tempi
(così lo classifica la vulgata dei modernizzatori) padre Domenico,
finché le sue forze non declinarono, era solito percorrere a piedi
la distanza dal convento di Genova ai conventi della Liguria, dove
era di volta in volta destinato dal capitolo del suo ordine.
Per
recarsi al convento di Arenzano, ad esempio, padre Domenico partiva
da Genova alle quattro del mattino, percorreva un lungo tratto della
via Aurelia occidentale per giungere a destinazione nella tarda sera.
Portava con sé soltanto un tozzo di pane raffermo e la borraccia
dell'acqua.
La
sua fatica cercava il diletto ineffabile, che compete ai fedeli che
si allontanano dalle vane ombre del
mondo: "peregrinus
pertransiit viam et vitam istam, quantum minus potuit de mundi rebus
accipiens, utpote sciens quia non erat de hoc mundo".
Alcuni
anziani rammentano il potere emanato delle parole di conforto, che
padre Domenico rivolgeva ai peccatori pentiti e alle vittime
dell'ingiustizia. E le rammentano come parole impastate
di celeste grazia.
Purtroppo
i suoi confratelli, forse rapiti dalle sirene cantanti
nell'incessante coro del Vaticano II, non coltivano la sua santa
memoria, alla quale antepongono la stima del card. Anastasio
Balestrero, il teologo che, ingannato da sentenze scaturite da
esperimenti maldestri e forse truffaldini, negò l'origine miracolosa
della Sacra Sindone.
Il
saggio sui monaci medievali, edito da Polistampa a cura di Francesco
Silvestrini, svela, invece, le profonde ragioni dell'ascetismo, che
sopravvive nella splendida refrattarietà ai progetti dei modernisti
al lavoro nel vuoto generato dalla religione orizzontale.
Opportunamente
Francesco Vermigli, forse il più acuto fra gli autori del citato
volume su monaci e pellegrini, rammenta che "Agli
occhi di San Bernardo e agli occhi del monachesimo di cui Bernardo si
fa erede, la vita del chiostro è vita che non rivolge il proprio
sguardo alle cose di questo mondo, ma vive e pensa se stessa come se
questo mondo non esistesse, perché altro, totalmente altro da questo
mondo e ciò che davvero conta".
Il
mondo non è l'oggetto di una illusoria/precaria riforma sociale, ma
il luogo da cui ci si allontana, sperando di separarsene "una
volta che si sia presa coscienza della parzialità delle cose di
quaggiù": il
monachesimo esprime "la
tensione di tutta l'anima, di tutte le forze e di tutta la mente
nella meta-storia".
Quando
si riflette sull'insegnamento di San Bernardo si può capire
l'illusorietà degli alibi
buonisti, consigliati da una fede contaminata dalle suggestioni della
filosofia immanentistica e della sociologia immaginifica.
Va
da sé che i monaci non sono esentati dall'obbligo di compiere opere
di misericordia spirituale e corporale. Ma le opere di misericordia
testimoniano il primato della contemplazione non l'attenuazione
(tipicamente modernistica) della volontà consacrata
all'allontanamento dal mondo.
Allo
sguardo del cristiano, il mondo è un luogo in cui si pellegrina: "da
questo luogo si anela separarsi, una volta che si sia presa coscienza
della parzialità delle cose di quaggiù".
Nel
monastero si deve pellegrinare spiritualmente, "perché
se non si pellegrina si testimonia di aderire inordinatamente a
questo mondo: ardua et angusta est via, et non hic sed in domo Patris
mansiones sunt multae. Mansio indica la stabilità, tanto più se in
contrapposizione con via. Mansio dice la sicurezza, la pace, il
riposo, mansio si applica a un Altrove, non a questo luogo".
La
sapienza monastica, tuttavia, si può e si deve riversare in qualche
modo nell'animo di quanti lavorano o combattono per il bene comune.
Il
significato del Liber de laude novae militiae "è
di esortare ad un nuovo genere di milizia cristiana, che vesta i
panni del soldato - e sotto di essi serva alla difesa dei Luoghi
Santi - ma abbia comportamenti mutuati dal chiostro. ... ai templari
viene richiesto progressivamente di affinare la loro conoscenza del
divino, progressivamente abbandonare quella che si nutre delle
immagini sensibili, in favore della conoscenza che pensa solo le cose
che sono nell'alto".
La
fede armata è lontana dalla proposta dei pannicelli caldi applicati
ai poveri all'ascolto della teologia intesa a liberare la Cristianità
dalla Cresima, sacramento che, prima del Concilio ecumenico Vaticano
II promuoveva i giovani alla dignità di soldati di Cristo.
Il
mistico rumore delle armi impugnate dai cristiani in allontanamento
dal conformismo è tuttavia un balsamo per le anime turbate dal
fracasso dei nuovi teologi dei pastori di pecore matte.
Piero Vassallo
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