Un dotto e cortese lettore mi suggerisce di
proporre ai visitatori del presente sito una breve riflessione sulla lettera
"Testem benevolentiae", indirizzata da Leone XIII al cardinale
arcivescovo di Baltimora, James Gibbons il 22 gennaio 1899.
La
lettera di Leone XIII, infatti, fu scritta e pubblicata per confutare e
contrastare l'americanismo , una dottrina avventizia, superficiale e
confusionaria, che era stata elucubrata dalla faciloneria di un irrequieto
sacerdote di origine tedesca, Isacco Thoma Hecker (1819-1888). La finalità
proposta dall'americanismo era l'aggiornamento e la trasformazione della
dottrina cattolica in un cibo adatto al refrattario/esigente palato
delle folle attratte e conquistate dallo stile di vita americano.
Hecker
proponeva infatti la presentazione del Vangelo "sotto una luce più
simpatica", ossia una teologia conforme all'imperativo keep smile,
in ultima analisi "aderente alle attuali aspirazioni dell'anima in
maniera da farla quadrare meglio con la comprensione umana".
L'attenzione
prestata alle esigenze dell'uomo moderno, negli scritti di Hecker si traduceva
purtroppo nella avventurosa proposta di riformare la morale cattolica per
adeguarla/abbassarla al desiderio dei miscredenti.
Con
temerità gli americanisti sostenevano che "le virtù naturali devono
preferirsi a quelle soprannaturali e le attive alle passive. Queste ultime,
come l'obbedienza, l'umiltà ecc., erano buone ed erano necessarie in passato
quando le contingenze obbligavano la Chiesa a riunire tutte le sue energie in
una perfetta coesione delle intelligenze e delle volontà individuali in vista
di un trionfo più completo sugli scismi e sulle eresie. Ma ora che le
condizioni si sono totalmente cambiate, le virtù passive riescono più di
ostacolo che di aiuto a conseguire la perfezione e concorrono a formare delle
anime deboli e vili anziché forti e virili. Ne consegue il disprezzo e la
disistima per i voti religiosi, poco convenienti allo spirito moderno".
L'incapacità
di valutare l'intrinseca debolezza della filosofia storicista e di vedere nelle
pagine di Hegel la illogica presenza di essere e nulla nell'assoluto,
trascinava il pensiero degli americanisti nel gorgo imperioso/fumoso dell'obbedienza al giornalismo.
E'
verosimile, inoltre, che non sia in vittima di un malinteso il lettore che, nel
brano citato, contempla, da un lato, l'anticipazione della pia illusione di
Giovanni XXIII, che rappresentava un mondo moderno in fase di prossima
autocorrezione, e dal lato opposto la causa lontana della persecuzione
recentemente scatenata dalla gerarchia buonista contro i frati francescani
dell'Immacolata, colpevoli di praticare le antipatiche virtù passive. .
Purtroppo
il disprezzo delle virtù passive non è la sola presenza dell'errore
nell'americanismo e nella teologia post-conciliare. Leone XIII indicava infatti
un'altra suggestione in corsa sfrenata nei testi di Hecker: "perché coloro
che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica,
la Chiesa deve avvicinarsi alla civiltà del mondo progredito e, allentata
l'antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei
popoli".
Nell'americanismo
anche il lettore refrattario alla critica può leggere l'anticipazione del
buonismo, ai giorni nostri in libera e allegra circolazione negli sragionamenti
in forsennata uscita dalle bocche dei
fustigatori delle virtù passive.
L'eco
dell'americanismo, ad esempio. rintrona nell'affermazione della moralista attiva,
incaricata dalla gerarchia buonista di correggere le monache francescane
dell'Immacolata e di affermare che la
stagione della filosofia dell'essere è chiusa e definitivamente e superata
dalla filosofia delle buone azioni.
Sarebbe
inutile chiedere come è possibile pensare ad una buona azione concepita da un
attore che ignora il principio che l'azione dipende da agenti che sono l'Essere
assoluto o enti che hanno l'essere per partecipazione. Separare l'azione dalla
dottrina dell'essere (un tempo detta ontologia) significa allestire una scena
frequentata da fantasmi partoriti dal vuoto mentale.
Infine
l'americanismo (e il buonismo) esprimono l'intenzione di una sofistica intesa
ad abbassare la religione cristiana a quella attività assistenziale che nella
comunità cristiana delle origini era considerata minore e, come si legge negli
Atti degli Apostoli, assegnata ai catecumeni: "I Dodici radunata
l'assemblea dei discepoli dissero: Non sta bene che noi trascuriamo la parola
di Dio per servire alle mense. Cercate piuttosto in mezzo a voi, o fratelli,
sette uomini di buona volontà, pieni di spirito e di sapienza che noi
proporremo a questo servizio" (At., 6, 2-3).
Americanismo
e buonismo, in definitiva, hanno in
comune la tendenza ad oscurare il primato dello spirituale e a ridurre la
funzione sacerdotale a simpatiche e allegre manifestazioni di stampo populista.
Di
conseguenza l'universo ecclesiale è invaso dai gesti affettuosi/untuosi, che
attirano l'applauso: il bacio ai bambini, lo scambio delle papaline, il
cordiale, dialogante apprezzamento della falsa coscienza degli atei, la
premurosa telefonata al digiunante capofila degli erodiani d'Italia, la
rinuncia a giudicare la perversione sessuale, la dura repressione dei religiosi
che praticano le virtù passive, infine l'appiattimento della carità sulla
teologia della liberazione.
Piero Vassallo
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