Un
saggio di Paolo Pasqualucci
La
persecuzione dei lefebvriani
Movente del
Vaticano II è la volontà di abolire la storia del cattolicesimo,
identificata nella detestata e odiata raccolta, compiuta da
Denzinger, delle sentenze emanate dai Concili anteriori al Vaticano
II e dalla legittima autorità ecclesiastica.
Jean
Madiran
Gli
imperiosi esponenti del partito internazionale ateista aspergono
incenso dolce e untuoso sulla martellante richiesta, indirizzata al
Vaticano, di isolare e sconfessare, con surrettizie argomentazioni,
le pagine, a loro avviso, più rigide e urticanti dei libri sacri e
del magistero cattolico.
Gli
eredi di Nerone, di Tigellino e di Poppea non esigono più la
consegna dei libri (il tradimento
pubblico e sfacciato) tantomeno infliggono le orrende torture, che
scandalizzarono perfino Tacito, ma impongono al clero la fedeltà
all'esegesi buonista/modernista della Sacra Scrittura.
A
versare il sangue dei cattolici intanto provvedono i pii testimoni
dell'ecumenismo islamico applaudito a New York, ad Assisi e
ultimamente nella Città del Vaticano.
I
maestri del nuovo e radicale paganesimo, gli onusiani, progettano la
dolce emorragia del pensiero cristiano e la messa al margine dei
fedeli, che affermano impavidi le verità di sempre.
La
Chiesa cattolica si divide, di conseguenza, tra la stordita folla
degli ecumenici festanti e l'angosciata/diffamata pattuglia dei
tradizionalisti.
Stretti
tra la folla delle sirene compromesse e dei rari guardiani
dell'ortodossia, i fedeli domenicali
sono costretti a scegliere tra il rumoroso cedimento alla teologia
mondana, e la deplorata e irrisa fedeltà alla dottrina di sempre.
L'applauso
al progresso teologizzante scroscia dagli spalti occupati dagli
incensatori del feticcio Vaticano II e dalle piste battute dai
tradizionalisti fittizi e/o dimezzati, che fanno scivolare la loro
mente bicamerale negli ambulacri vaselinosi consigliati da una
truccata bussola.
La
minoranza irriducibile alla nuova teologia, invece, sta organizzando
le linee di difesa dall'eresia strisciante nei discorsi dei teologi,
che si affacciano alle applaudite finestre del pensiero
giornalistico.
Ora
la prima barriera elevata in faccia all'errore irrazionalista,
incautamente lasciato correre nei documenti del Vaticano II, è la
filosofia del senso comune, oggetto degli studi di padre Cornelio
Fabro e di mons. Antonio Livi, motore dei preambula
fidei e antidoto agli
errori in folle discesa sul taboga teologico dell'incontro
spensante.
Dopo
la filosofia del senso comune si vorrebbe che i cattolici
conoscessero il Catechismo di San Pio X, pilastro incrollabile della
vera fede.
Di
seguito si suggerisce di considerare seriamente l'argine elevato dal
card. Giuseppe Siri e da padre Julio Meinvielle contro la suggestione
neognostica, che ha conquistato/radicalizzato il già infetto cuore
della modernità, mettendo in mora le pie illusioni del Vaticano II
intorno all'autocorrezione degli eretici e degli ideologi moderni.
Infine
è indispensabile la conoscenza degli abusi compiuti durante e dopo
il Concilio Vaticano II per assolvere gli errori condannati
dall'enciclica Humani generis di Pio XII e per mettere fuori gioco i
seguaci di mons. Marcel Lefebvre. Come scrive Paolo Pasqualucci,
infatti, "la Fraternità Sacerdotale San Pio X rappresenta oggi
l'unica istituzione cattolica che sia rimasta fedele alla vera
dottrina e alla vera pastorale della Chiesa".
La
rivendicazione dell'ortodossia cattolica della Fraternità San Pio X
è un'attività alla quale si dedica, da alcuni anni e con vera
competenza, l'emerito professore di filosofia del diritto
Pasqualucci, un autentico erudito, del quale l'impavido editore Marco
Solfanelli pubblica, in questi giorni, un saggio intitolato La
persecuzione dei Lefebvriani ovvero l'illegale soppressione della
Fraternità sacerdotale san Pio X.
Pasqualucci
dimostra che, per iniziativa del clero modernizzante, umiliato dalla
crisi delle vocazioni, allarmato dalla rarefazione dei fedeli
praticanti e irritato del successo che arride alle comunità
tradizionali, "Sulla Fraternità circolano a tutt'oggi i
pregiudizi più assurdi, che finiscono col tener lontani tanti fedeli
delle S. Messe celebrate dai suoi sacerdoti così come dagli Esercizi
spirituali ignaziani che essi impartiscono con il metodo tradizionale
dei cinque giorni separati per uomini e donne".
Ora
i sospetti diffusi con arte da giornali curiali e/o
scandalistici, non hanno fondamento, poiché la Fraternità è stata
costituita con i crismi del diritto canonico: infatti "gli
Statuti della Fraternità Sacerdotale S, Pio X furono approvati in
data 1° novembre 1970, da mons. Charrière, vescovo di Losanna,
Ginevra e Friburgo in Svizzera, nella cui diocesi veniva a sorgere la
nuova entità. La Fraternità è nata perciò con tutti i crismi del
diritto canonico e in modo perfettamente regolare".
Il
successo dell'apostolato condotto da mons. Marcel Lefebvre fu
immediato al pari del malumore della gerarchia progressista, che
assisteva al successo di un vescovo passato indenne attraverso le
rovinose/contagiose novità introdotte dai progressisti.
L'undici
novembre del 1974 furono inviati nel Seminario fondato da mons.
Lefebvre a Ecône, due visitatori apostolici, agitati dalle
suggestioni della teologia modernizzante, i quali "provocarono
vivo turbamento tra i giovani. Dissero che si sarebbero fatalmente
giunti ad ordinare delle persone spostate, che la Chiesa non era
l'unica depositaria della verità, che la Resurrezione di Nostro
Signore non era una certezza".
Immediatamente
mons. Lefebvre reagì all'aggressione diffondendo un documento nel
quale "si affermava con estrema chiarezza e precisione il
seguente concetto: noi non possiamo prendere parte alla presente
demolizione della Chiesa, resistiamo e ci opponiamo alla novità
distruttiva".
Di
seguito mons. Lefebvre fu convocato a Roma per ascoltare la dura
reprimenda dei cardinali Garrone e Tabera, che lo accusarono di
"voler fare l'Atanasio" [quasi che l'imitazione del Santo
che fu vittorioso contestatore dell'eresia di Ario fosse una colpa].
In
data 6 maggio 1975 la Fraternità San Pio X e il Seminario furono
soppressi del vescovo di Ecône, Mamie, successore di mons.
Charrière. La decisione era motivata dal rifiuto di mons. Lefebvre
di accettare talune dichiarazioni conciliari e di celebrare la Santa
Messa secondo il rito stabilito da Paolo VI.
Pasqualucci,
navigando con ammirevole perizia nel mare del diritto canonico, al
proposito rammenta che: "Qualsiasi istituzione religiosa, anche
di diritto diocesano, una volta legittimamente fondata può essere
soppressa solo dalla Santa Sede".
Il
card. Tabera, in una lettera indirizzata al vescovo Mamie scriveva
invece: "Vostra Eccellenza aveva piena autorità per revocare
l'approvazione inizialmente accordata []alla Fraternità]".
Oltre
tutto "la soppressione della Fraternità e del Seminario doveva
ritenersi illegittima perché non era provocata da irregolarità o
abusi di potere o errori dottrinali ... le uniche patologie ammesse
dal diritto per legittimare la soppressione di una societas o
di un istituto religioso. La Fraternitas veniva soppressa unicamente
per ripicca contro le opinioni espresse dal fondatore".
Pasqualucci
rievoca la lettera indirizzata da ventotto sacerdoti francesi a Paolo
VI, nell'agosto del 1976: Nel procedimento che ha condotto
all'attuale drammatica situazione, molti constatano che è
impossibile riconoscere le norme di una procedura regolare.
Per
citare solo un punto: non si può che essere estremamente sorpresi
nell'apprendere che il rapporto della visita al Seminario di Ecône
nel novembre 1947 non è mai stato fatto conoscere al superiore della
stessa [Lefebvre]".
Nel
maggio del 1975, Lefebvre scrisse a Paolo VI: "Quando penso alla
tolleranza di cui Vostra Santità dà prova nei confronti dei vescovi
olandesi e di teologi come Hans Kung e Cardonnel, non posso credere
che le crudeli decisioni prese nei miei confronti provengano dalla
stessa persona".
Paolo
VI rispose rimproverando Lefebvre per aver osato contestare "un
Concilio come il Vaticano II, che non ha minor autorità, che per
certi aspetti è persino più importante di quello di Nicea".
L'avversione
a Lefebvre, in definitiva, dipende dalla stima eccessiva prestata al
Vaticano II, giudicato addirittura più importante del concilio di
Nicea.
Per
mantenere fermo il giudizio sulla sovra eminenza del Vaticano II, il
pontefice, che aveva visto il fumo di satana in festosa uscita
dall'aula conciliare, tentava di isolare la minoranza
irriducibilmente fedele alla tradizione cattolica.
Il
saggio di Pasqualucci mette finalmente in chiaro la fragilità delle
procedure alterate da Paolo VI (e ancor più da Giovanni Paolo II) al
fine di delegittimare la Fraternità fondata da mons. Lefebvre.
Legittimità che Benedetto XVI ha riconosciuto apertamente.
La
minoranza che rappresenta la Fede invincibile vive nella Chiesa
nonostante la persecuzione attuata dagli interpreti di una teologia
piegate sulle tossiche illusioni della modernità. E offre un
contributo decisivo alla soluzione dei problemi che assillano gli
uditori cattolici delle parole messe in libertà da un clero
compromesso con i pensieri e indulgente con i vizi della agonizzante
modernità. Il saggio di Pasqualucci dimostra che il cedimento
all'errore è accompagnato da una sistematica violazione del diritto
canonico.
Piero Vassallo
Nessun commento:
Posta un commento