"Taccuino di Talamanca", contraddizioni di una destra adelphiana
Autoritratto gnostico
di un postmoderno a destra
Quale
curioso esempio di destino disfattista, Giano Accame citava la vicenda di un
romanzo borbonico, “L'alfiere”, scritto da Carlo Alianello per celebrare
l'eroismo dei resistenti a Garibaldi ma pubblicato nel 1944 dai comunisti
infeudati nella casa editrice Einaudi, al fine di potenziare nell'animo dei repubblichini
la rassegnazione all'inevitabile sconfitta.
Parallelo
alla fortuna di Alianello fra i fascisti perdenti è lo sconsolato entusiasmo,
suscitato nei notai della capitolazione a destra da Emil Cioran (Rasinai 1911 -
Parigi 1995), filosofo ultra nazista approdato al nichilismo puro
attraverso il corridoio dell'antifascismo di circostanza.
Con
un’abiura scherzosa e acrobatica (“La
Guardia di ferro passava per una sorta
di rimedio a tutti i mali, compresa la noia e perfino lo scolo”) e con una
disinvolta auto assoluzione (“A quei
tempi ho provato di persona come si possa cedere a una infatuazione senza
essere minimamente convinti”) Cioran si era scrollato di dosso la scomoda e
pericolosa nomea del militante nell'estrema destra rumena.
Cioran,
quasi per ingraziarsi il potere culturale, sosteneva di aver aderito alla
Guardia di ferro in odio a re Carol: “cominciai
a interessarmi a quel gruppo, e poiché combatteva la persona che odiavo di più
al mondo, cioè il re, lo presi in simpatia”.
Lo
sguardo umoristico sulla destra di Romania non impedì a Cioran di scrivere, nel
1937, un rovente saggio razzista, "Trasfigurazione della Romania".
A
scanso di indesiderati compromissioni con il passato e di attriti con il potere
culturale vincente, Cioran dichiarò che, a suo giudizio, il filosofo del
movimento di Codreanu, Marin Stefanescu, era mezzo pazzo: “Faceva dei discorsi così: «Nessun essere cosciente può essere
comunista. Platone era cosciente, quindi non poteva essere comunista».
Ragionamenti assurdi, di cui deridevo la follia”.
Cioran
nel dopoguerra non fu del tutto infedele alle malsane suggestioni emanate da
quel fanatismo teutonico, che ultimamente agita la sinistra postmoderna e no global: l’ecologismo forsennato (“la cultura e la civiltà non sono necessarie
… un animale può essere più profondo di un filosofo”), e il culto della
barbarie, “la nostalgia della barbarie è
l’ultima parola di ogni civiltà… la follia [nazista] per quanto grottesca abbia potuto essere, testimoniava in favore dei
tedeschi. Non dimostrava forse che essi erano i soli in Occidente ad aver
conservato ancora qualche traccia di freschezza e di barbarie?”.
r
L’influsso
di Cioran nella neodestra, iniziò nel
1969, allorché le edizioni del Borghese pubblicarono "Storia e
utopia", crebbe nel 1972, anno in cui fu pubblicato nella prestigiosa “Nouvelle Revue Française”, un incantevole saggio “dove dichiaravo ex abrupto che la
rivoluzione francese, la cosiddetta Grande Rivoluzione era assurda anzi era
stata estremamente nociva. La stessa opinione per quanto riguarda la
rivoluzione russa”, e diventò irresistibile negli anni Ottanta, quando la
ubiquitaria Adelphi cominciò ad editarne l'opera omnia.
Il
pensiero di Cioran fu accolto come avvertimento della necessità d'insinuare il
pessimismo radicale tra le righe della cultura della destra nuova e aggiornata
ossia di propiziare un deciso allontanamento dalla tradizione religiosa degli
italiani, che uno sbrigativo e abbagliato giudizio dichiarava ormai prigioniera
dell'ottimismo progressista.
Le
coscienze turbate e impazienti, che, durante gli anni Settanta, frequentavano i
circoli di una destra sconcertata e desolata dal progressismo postconciliare,
infatti, furono elettrizzate e quasi fulminate dalla lettura di Cioran.
Iniziò
allora una fase di riflessioni febbrili e disordinate, intese a collocare
l’anticomunismo in un orizzonte
illuminato dall’idea della storia come conseguenza di “una caduta irreparabile, di una perdita che niente può colmare”.
In
vertiginoso equilibrio tra erudizione e civetteria auto-denigratoria, Cioran
intanto frequentava il salotto iniziatico, luogo venerato dal margine destro
perché vi si delibano le squisitezze
guénoniane imbandite dall’editore Roberto Calasso, “un uomo eccezionale, il suo ultimo libro è di primissimo ordine, è un
uomo acuto”.
Nell'area
destra nessuno si era accorto che, a cominciare dagli anni Trenta,
un'agguerrita falange di pensatori in uscita dalla sinistra classica (Walter
Benjamin, Simone Weil, Teodoro Adorno, Max Horkheimer, Georges Bataille, Jean
Paul Sartre, Ernst Bloch, Herbert Marcuse, Max Brod, Jacob Taubes, Maria Zambrano, Hans Jonas ecc.) aveva usato il pensiero di Stirner, di
Nietzsche e di Heidegger per affondare l’illuminismo nel gorgo dell’irrealismo
gnostico.
Nell'università
di Bucarest Cioran, infatti, fu affascinato dal superomismo di Nietzsche e dal pastore
del nulla heideggeriano. In Germania, dove si era recato quale titolare di
una borsa di studio, respirò l'aria tossica del trionfalismo nazista. In
privato condivideva il pessimismo/irrazionalismo degli amici Mircea Eliade ed
Eugene Ionesco, esponenti della scolastica, che anticipava il catastrofismo ariano
di Julius Evola, futuro domatore/attizzatore di tigri in corsa verso il niente
finale.
Sulla
condivisione della passione di Eliade per la mistica ariana non è lecito
dubitare, giacché Cioran rammentava che, per lui “l’unico momento giusto della storia è stato quello dell’India antica,
quando si conduceva una vita contemplativa, quando ci si contentava di guardare
le cose senza mai occuparsene”.
L'irrazionalismo
di Cioran, peraltro, si evince
esaminando il pittoresco fastello di autori eterogenei e incompatibili,
ai quali il pensatore rumeno attribuiva influssi decisivi nella formazione
babelica del suo pensiero: Meister Eckhart e Teresa d’Avila, Nietzsche e Edith
Stein, Heidegger e Kierkegaard, Leopardi ed Ignazio da Lojola, ecc..
Alla
fine Cioran ha trovato denti adatti alla masticazione dei suoi piatti. Marcello
Veneziani, raffinato notaio del tramonto a destra, ha infatti riconosciuto che
[nelle opere di Cioran] "vedi lo spettacolo dell'intelligenza in rotta col
mondo e la vertiginosa ebbrezza del cupio dissolvi, vedi l'allegria del
naufragio e perfino l'umorismo che si nutre di umor nero".
Pubblicata
nel 2011 per i tipi di Adelphi (casa
editrice nata dalla costola nicciana della Einaudi) il "Taccuino di
Salamanca" di Cioran, costituisce un’eccellente occasione per riflettere
sulle cause dell'accasciamento confusionario, che trascinò la cultura della
destra antimoderna al naufragio nella palude ultramoderna.
Cioran
infatti confessa la dipendenza del suo irrazionalismo dalla ruggente avversione
degli eretici alla verità rivelata dal Verbo: "Credo insieme allo gnostico
Basilide, che l'umanità debba rientrare nei suoi limiti naturali, facendo
ritorno a un'ignoranza universale, autentico segno di redenzione".
Un
segnale forte dell'influsso esercitato dallo gnosticismo nel pensiero di Cioran
si vede nella pagina del Taccuino, in cui è citata una leggenda catara, che
narra un Cristo estraneo al Padre: "Lucifero era stato adottato da Dio: il
suo orgoglio crebbe per questo a tal punto che finì ,per ribellarsi; secondo i
Catari anche Gesù era stato adottato; questo nuovo Lucifero, incapace di cadere
doveva, umiliandosi, abbassandosi alla condizione umana, correggere gli effetti
sinistri della prima adozione".
Il
naufragio nelle acque torbide del catastrofismo gnostico di cui fu interprete
Cioran ha reso incomprensibile e indistinguibile la cultura della destra
facilitando il successo della chiacchiera politichese e la prevalenza del
rumore comiziale, scenari adatti
alla comica finale recitata da Fini & Bocchino.
In ultima analisi la riflessione su Cioran insegna che, senza la decisione di innestare la retromarcia per recuperare l'identità perduta nella libreria del delirio, il qualunque tentativo di rifondazione a destra è destinato alla comica finale. Comica che è già in scena nei raduni sparuti e acrobatici nei quali si celebrano le nozze degli errori in agitazione nel pensiero bicamerale di Cioran: "le persone di destra mi fanno disgustare della destra, quelle di sinistra della sinistra. Di fatto con un uomo di destra sono di sinistra, con un uomo di sinistra, di destra".
In ultima analisi la riflessione su Cioran insegna che, senza la decisione di innestare la retromarcia per recuperare l'identità perduta nella libreria del delirio, il qualunque tentativo di rifondazione a destra è destinato alla comica finale. Comica che è già in scena nei raduni sparuti e acrobatici nei quali si celebrano le nozze degli errori in agitazione nel pensiero bicamerale di Cioran: "le persone di destra mi fanno disgustare della destra, quelle di sinistra della sinistra. Di fatto con un uomo di destra sono di sinistra, con un uomo di sinistra, di destra".
Piero Vassallo
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