Primo
Siena, uno fra i più autorevoli protagonisti e interpreti della vicenda
culturale a destra, nella presentazione del magistrale saggio
"Julius Evola. Antimoderno o ultramoderno?", scritto da Paolo Rizza, e pubblicato in Chieti da Marco Solfanelli,
afferma che l'autore, scavando nella concezione metastorica di Evola
"incontra le contraddizioni moderne dell'antimoderno nel magismo, che accoglie
ed esalta i risvolti più ambigui della modernità ultima".
Il
saggio di Rizza conduce a felice e perfetto esito i numerosi precedenti
tentativi, compiuti da critici d'ispirazione cattolica, quali, ad esempio, Pier
Vittorio Barbiellini Amidei, Fausto Belfiori, Ennio Innocenti, Francisco Elias de
Tejada, Giovanni Torti, Pino Tosca, intesi a dimostrare la presenza nell'opera
evoliana, dell'abbagliante confusione di estrema modernità e pseudo tradizione.
Tale analisi era ed è finalizzata a liberare la cultura della destra italiana
dall'infestante/incapacitante sincretismo di stampo magico/eleusino.
Il
saggio di Rizza rivela, infatti, la non celata presenza, nella evoliana
"Metafisica del sesso", di un inequivocabile segnale del cedimento
all'arroventata immoralità del mondo moderno.
La
frenesia sessuale, in corsa disordinata e talora grottesca nell'opera evoliana,
imprime l'inconfondibile sigillo del disordine libertino sull'esoterismo e ne
rivela "una prossimità speculare alle tendenze pansessualistiche di
Herbert Marcuse" (un autore anarcoide, la cui ideologia, negli anni
convulsi seguiti al Sessantotto, fu paragonata e non senza motivo a
quella di Evola).
Lettore
scrupoloso ed esegeta dotato di una solidissima base filosofica, oltre che
elegante padrone della lingua italiana, Rizza approfondisce e sviluppa le tesi
di Roberto Melchionda, evoliano estraneo ai venerati abbagli della scolastica
esoterica e autore di fedeli ricostruzioni del cammino di Evola, dal tumultuoso
esordio nella corrente dadaista, scoppiettante motore della rivolta contro il
senso comune, alla parodia gnostica della tradizione, messa in scena sul
canovaccio proposto dai massoni René Guénon e Arturo Reghini - gli ispiratori
di una simulata/finta rivolta contro il mondo moderno, ossia della
controrivoluzione apparente e perciò destinata a fluire nelle pubblicazioni
ultramoderne degli adelphi della dissoluzione.
Rivisitata,
corretta e aggiornata da Rizza, la spirale evoliana, disegnata da Melchionda,
svela "il nodo cruciale e irrisolto di un pensiero costantemente percorso
da una viva tensione tra la critica rigorosa della modernità e la
riproposizione del suo fondo più intimo [e tenebroso]".
Nel
saggio in questione Rizza dimostra che "la concezione di una storia
risolta nell'insensatezza di una processualità variamente interpretata e
sottratta alla verità dell'Incarnazione redentrice del Verbo, rivela una
singolare specularità tra le posizioni di Evola e il pensiero
moderno".
Tale
specularità è ben visibile nell'avversione al realismo metafisico, "che
rappresenta il cardine della philosophia perennis", una refrattarietà che
avvicina lo stato d'animo evoliano a quello dei modernisti e dei battisti (che
Evola frequentò nel periodo della sua collaborazione, negli anni 1924-1926, con
la rivista Bilychnis) oltre che al furore californiano di Marcuse, che nella
filosofia aristotelico-tomista vedeva l'origine del male fascista.
Le
schegge rivoluzionarie vaganti/nascoste nell'opera evoliana hanno persuaso
Rizza a formulare un giudizio severo sull'indirizzo ultimo dell'esoterismo
infiltrato a destra: "Occorre rilevare che gli esiti catastrofici generati
dalla progressiva accelerazione del moto turbinoso che accompagna il corso
della modernità, appaiono ad Evola suscettibili di una considerazione positiva:
benché non si possano rigorosamente prevedere le attuazioni dei loro concreti e
particolari sviluppi, in essi sono riconoscibili le prospettive anticipatrici
della rinascita"
Da tale
dichiarazione Rizza deduce, senza ombra di dubbio "la connotazione
gnostica [marcionita] e moderna di siffatto orientamento, che riconduce
alla dissoluzione i prodromi della ricostruzione di un ordine politico, pur
sempre condizionato dalle degenerazioni relative al dramma della
temporalità".
A
conferma della sua opinione, Rizza cita una lapidaria sentenza di Gennaro
Malgieri, "secondo Evola il nichilismo non lo si può superare che
assecondandolo" e una tagliente definizione di Marcello Veneziani,
"una teologia senza Dio, una Tradizione senza tradizioni viventi".
Il
movimento della storia in direzione del nichilismo, secondo il pensiero
evoliano, è il risultato "di una trama di principi arbitrariamente
sottratti alla loro costitutiva e
originaria dipendenza dal primato della verità": i fatti storici sono
considerati il risultato di una inesorabile necessità, "che si rivela
contrapposta al Verbo di verità e di salvezza".
La
lettura dei febbrili saggi dello svizzero Jean Jacques Bachofen aveva destato
in Evola un'insensata avversione al diritto naturale, uno stato d'animo che prorompeva da quei furori
anti-platonici e anti-cristiani, che avevano turbato e oscurato la mente di
Nietzsche.
Puntualmente Rizza cita un testo in cui sono
condensati i fulminanti abbagli, che colpirono Evola, sedicente e fittizio
erede e continuatore della filosofia della storia di Giambattista Vico:
"Il diritto naturale non è per nulla il diritto al singolare, valido ed
evidente dovunque e per chiunque, ma è solamente un diritto, la speciale
concezione che del diritto ebbero un determinato tipo di civiltà e un determinato
tipo umano".
Lanciato
il sasso della superstizione antropologica contro la filosofia vichiana del
diritto, Evola si avventa contro gli ordinamenti conformi al realismo
tradizionale e perciò sostiene che "l'esercizio della vera sovranità
politica risulterebbe gravemente pregiudicato da un potere che avvertisse
l'esigenza di uniformarsi al rispetto di un ordine ontologico, estraneo ad ogni
arbitraria opzione soggettivistica".
Di qui
il suggerimento, rivolto alla giovane destra italiana, "di cavalcare la tigre
del caos e della dissoluzione spirituale", una soluzione che nasce
dall'illusione di preparare la rinascita inseguendo il disordine praticato dai
rivoluzionari ultimi. Opportunamente Rizza afferma che nell'opera evoliana è
leggibile "una considerazione tendenzialmente positiva di fenomeni
inseparabili da una forte pregnanza nichilistica".
A
questo punto Rizza pone la questione del reale rapporto di Evola con gli
autentici valori tradizionali attivi nella cultura del movimento fascista in
special modo nella scuola milanese di mistica fascista, nella quale (lo ammette
Tomas Carini, nel saggio sulla Scuola di mistica fascista) prevaleva l'idea del
fascismo motore della rinascita della tradizione romana e cattolica. Un
indirizzo culturale, quello impresso dal regime alla scuola milanese, che Evola
contestò duramente, affermando che il fascismo, quanto ai valori spirituali,
"rimase sul piano di rinvii vaghi e conformistici alla religione
dominante".
L'analisi
di Rizza sviluppa sagacemente un giudizio formulato dallo storico Enzo Erra,
secondo cui la dottrina evoliana contribuì a irrigidire l'area umana che
l'aveva assunta, insinuando il sospetto che l'azione politica fosse
un'insidiosa palude, da evitare per non sprofondarvi: "Veniva così a
cadere anche se a quel tempo era difficile rendersene conto, proprio la natura
peculiare del fascismo, che si era identificato fin dalla sua prima origine
nell'interventismo, nell'impulso cioè ad aggredire il reale per modificarlo,
per ribaltarne le regole, per dirottarne il corso".
Evola
ha destato nei giovani militanti nel Msi uno stato d'animo refrattario
all'azione politica e ultimamente incline alla rassegnata sequela del lugubre
corteo sessantottino.
Assunto
il giudizio di Erra quale motore d'avvio alla ricerca, Rizza dimostra che il
tradizionalismo evoliano fu irriducibile all'attivismo fascista: "Evola ha
valutato in termini assai critici il peso che negli anni del regime rivestì la
preoccupazione per la piccola morale al posto della grande morale, specie nei
riguardi sessuali, con relative misure di censura e di interdizione
statale".
Al
seguito di Evola la giovane destra italiana si è trasformata in uno stormo di
farfalle, destinate a spegnersi nella rete dell'almirantismo e a subire
l'egemonia dell'avventizio filosofo Armando Plebe.
Dal
saggio di Rizza, in definitiva, si deduce la convinzione che l'eventuale, oggi
problematica rifondazione di una destra italiana può cominciare solamente dalla
preventiva/tassativa rinuncia all'uso delle ottenebranti suggestioni proposte
da un abile seminatore di malintesi, quale fu Evola.
Piero Vassallo
Nessun commento:
Posta un commento