Nei giorni 7 e 8 del marzo 2014, per
iniziativa di mons. Ennio Innocenti, autorevole teologo romano e instancabile
organizzatore di manifestazioni anticonformistiche, si è svolto in Roma un
convegno di studi su Rivelazione e Storia. Le coraggiose iniziative di
Innocenti hanno per finalità dimostrare
che il pensiero cattolico sopravvive alla congiura del silenzio,
all'autolesionismo del clero modernizzante, e alle esternazioni aeronautiche e
telefoniche dell'alta gerarchia vaticana.
Innocenti
osa addirittura attaccare il card. Kasper, "cosiddetto teologo che è
andato a scuola dal teorico del cristiano anonimo [Karl Rahner] e ora si mette
a fare il teorico del cristiano medio, è in ginocchio, sì, ma davanti
all'idolo. Ignora che il dovere di amare Dio totalitariamente è un dovere per
tutti. E' stato preferito accucciarlo con l'incenso? Così sia".
Al
convegno hanno partecipato numerosi studiosi fra i più qualificati protagonisti
della resistenza cattolica al nichilismo post-moderno, Antonio Livi, Christian
Ferraro, Michele Malatesta, Pier Paolo Ottonello, Arturo A. Ruiz Freites, Paolo
De Lucia, Ilaria Ramelli, Rafael Breide Obeid ecc.
Nella
introduzione al volume Innocenti ricorre alla filosofia rosminiana (meditata in
conformità con l'insegnamento di Pier Paolo Ottonello) per rispondere alla
domanda sulla possibilità di pensare una rivelazione diretta e personale di
Dio.
Sostiene
Innocenti: "Dio lo posso pensare soltanto a partire da una sua qualche
somiglianza con me. Comincio a pensare di Lui infinito per l'esigenza di
fondare il mio essere finito. Nell'idea del mio essere colgo la concretezza del
mio essere, la sua sussistenza e - insieme - la sua finitezza e la sua apertura
all'infinito: è l'inizio ideale d'un viaggio all'infinito, ma subito penso al
fondamento di questo inizio, all'essere assoluto. C'è evidentemente un'intesa
tra la mia mente e il mio essere: l'essere pervade la mente e si svela alla
mente come essere, è il suo oggetto mentale che si proietta su tutte le varie
forme dell'essere".
Il
prof. Christian Ferraro definisce le fonti del suo avvincente intervento,
"Rivelazione e Storia: note sulla possibilità di un incontro",
dichiarando che la sua riflessione s'ispira a due scritti di Cornelio Fabro,
"Sui presupposti del problema della storia" (datato 1952) e
"Essere e storicità" (datato 1959).
Ferraro
esordisce rammentando che "la metafisica ha un punto di arrivo:
l'esistenza di un ente che è l'ente per essentiam, vale a dire un ente
che non è propriamente un ente ma l'essere stesso sussistente (ipsum esser
subsistens) . Siccome però il nostro intelletto ha come oggetto l'ente,
esso non sarà in grado di considerare questa nuova realtà emersa se non come
causa e principio estrinseco dell'ente".
Ora
l'uomo non è in grado di conoscere che cosa sia in se stesso il principio
estrinseco dell'ente: "non ha modo di saperlo a meno che questo stesso
principio primissimo, che giustamente chiamiamo Dio, assuma l'iniziativa di
darsi a conoscere così come Egli è. Quando questa decisione si attua ha luogo
ciò che si chiama Rivelazione. ... La Rivelazione è tutta in funzione di una
donazione di Sé stesso e di una comunione con Lui, che Dio stesso vuole
instaurare ... Anche se la Rivelazione ha come protagonista sia nel contenuto
sia nel suo attuarsi lo stesso Dio che si dà a conoscere, essa ha come
destinatario l'uomo. Il destinatario però riceve questa Rivelazione nella
Storia".
La
storia non è il semplice scorrere del tempo ma è propriamente il divenire nel tempo della libertà umana.
A
ragion veduta Ferraro rammenta che nel pensiero greco "la Storia come tale
non emerge come problema". E' nella, luce di Cristo, che annuncia il suo
ritorno alla fine dei tempi, che sorge
il problema della Storia "in stretto collegamento con quello della libertà
e della provvidenza. Qui abbiamo a che fare però con un elemento che è già
teologico e soprannaturale".
Di
seguito Ferraro dimostra che il razionalismo cartesiano e quello spinoziano
costituiscono un deciso regresso speculativo. La filosofia cartesiana, ad
esempio, riduce il mondo umano all'anima
"e un'anima che risulta completamente estranea alle vicende del mondo
esterno, tutto regolato secondo le più radicali leggi meccanicistiche. Il
rapporto allora fra Dio e l'uomo accade soltanto a livello dell'anima, che è
una realtà scarnata. E' chiaro che da questa prospettiva difficilmente
possa emergere e farsi sentire il problema della Storia".
Hegel,
dal suo canto, riconosce che l'idea di libertà è venuta nel mondo mediante il
Cristianesimo e perciò tenta di restituire alla Storia la dignità che compete a
un problema squisitamente filosofico. Se non che la filosofia hegeliana, al seguito del
pregiudizio immanentista, abbassa la libertà nella scena dell'assoluto
immanente, ossia concepisce l'inabitazione di Dio nella ragione umana, "la
Storia è allora concepita come il dinamismo stesso della Ragione che ritorna
sempre su se stessa. ... Qui non c'è posto alcuno per un intervento di un
presunto Dio che non sia la sostanza stessa vivente di questo nostro mondo, il
mondo della Ragione".
La
libertà della filosofia hegeliana - intesa quale vertice speculativo della
modernità - si è ultimamente rovesciata in quel nichilismo di matrice
gnostica, da Hegel apprezzato e lodato nelle lettere a Schelling.
Di qui
il problema di scoprire la via d'uscita da una pensiero disperato, il cui
orizzonte è l'assurdo cioè la negazione della bontà del Creatore e l'avversione
al creato.
Ferraro
indica la via d'uscita dal vicolo cieco del pensiero moderno nella filosofia di
San Tommaso, "che ha portato a fondo l'esigenza del primato dell'atto sul
contenuto in un superamento radicale delle prospettive sia aristoteliche sia
platoniche, sia dei predecessori che dei pensatori posteriori. ... Per San
Tommaso l'esse è l'atto di tutti gli atti e perfino di tutte le forme: ipsum
esse est actualitas omnium actuum etiam ipsarum formarum. La forza di
questa sentenza è estrema perché qui l'Angelico fa un'affermazione che tradisce
i principii più elementari dell'aristotelismo storico".
Si
comprende la straordinaria novità del tomismo quando si rammenta che il
pensiero greco ignorava la creazione propriamente detta: nel mondo la filosofia
greca contemplava l'opera di un demiurgo, che imprimeva sulla materia increata
le idee abitanti in un aldilà superiore.
San
Tommaso, invece, stabilisce che "il genoma dell'ente fa capo all'esse che
risulta allora l'unica forma di attualità di tutto l'ente, inclusa la
forma".
San
Tommaso, inoltre, pone un limite alla contingenza della creature e afferma che
le sostanze spirituali non hanno in sé stesse i princìpi della propria
corruzione: "Dio è l'unico essere necessario a sé, perché è l'ens per
essentiam, le creature spirituali, inclusa l'anima umana, sono esseri necessari
ab alio, perché partecipano all'esse senza avere in se stesse
principio interno alcuno di corruzione".
La
conclusione, tratta dal Prologo della Seconda Parte della Summa, è la seguente:
"come Dio è principio delle sue azioni così anche lo spirito finito è
scaturigine di quelle proprie".
Pertanto
quando Dio crea uno spirito finito pone una libertà fondata sull'esse quindi
totalmente dipendente ma nel contempo realmente libera: "nella partecipazione
dell'uomo all'esse c'è una vera dipendenza dell'indipendenza ovvero
indipendenza della dipendenza".
Ferraro sostiene che
tale è la costituzione primigenia della libertà: "Proprio perché sgorgante
dall'umana libertà la storia conserva radicalmente la possibilità della novità
e pertanto l'apertura a qualcosa di nuovo come strutturalmente sarebbe,
infatti, una divina rivelazione. La storia poi, nella sua marcia non si fa
avanti nella maniera completamente anarchica, ma neanche in nella forma della
razionalità hegeliana e comunque si trova completamente sotto il dominio dell'Ipsum
esse subsistens, che la governa con la sua Provvidenza rispettando e
fondando l'umana libertà. ... Proprio perché Dio crea per manifestare e
comunicare la sua bontà l'apertura originaria ad una Rivelazione costituisce la
più profonda identità della Storia, che allora, alla luce della fede, si
trasforma nel luogo specificamente umano per la conquista dell'eterna
beatitudine".
r
Formulata
con magistrale chiarezza e sostenuta da una straordinaria sapienza teologica e
filosofica, la relazione di monsignor Antonio Livi, è concepita quale
confutazione delle avventurose tesi proposte da teologi, che "conservano
il lessico tradizionale mentre eliminano materialmente e formalmente i princìpi
primi dai quali discende la specifica maniera di argomentare della
teologia".
Al
proposito dei teologi modernizzanti, Livi sostiene che "abbandonando il
metodo specifico della vera teologia, la falsa teologia perde di vista il
rapporto intrinseco e pertanto necessario che esiste tra il dato rivelato -
identificato formalmente nelle definizioni dogmatiche - i praeambula fidei, ossia
quelle verità naturali, sia metafisiche che morali, che Tommaso d'Aquino aveva
individuato come premesse razionali dell'atto di fede nella nella rivelazione
(fides qua creditur) e condizione logica per comprendere l'annuncio dei misteri
soprannaturali".
Il
criterio, che abbaglia i teologi modernizzanti è un'opinione del monaco tedesco
Elmar Salmann, "un luogo comune relativistico per il quale il
cristianesimo ha bisogno di diversi approcci apparentemente
antagonistici".
In
realtà, obietta Livi, "sono compatibili con la verità della Rivelazione
solo quegli schemi concettuali che rispettano di fatto la razionalità del messaggio
rivelato e il suo rapporto intrinseco con le verità naturali accessibili a ogni
destinatario della Rivelazione stessa, ossia con ciò che la filosofia moderna
denomina il senso comune".
"In
un contesto ecclesiale di perdita dei criteri fondamentali della recta ratio
e di ingiustificata avversione alla razionalità metafisica" è inevitabile
l'avvio di un una precipitosa gara alla conquista del primato nel settore del
bicameralismo mentale.
Risultato
della diserzione dal senso comune è "lo sviluppo di una teologia con le
medesime modalità concettuali e a volte con i medesimi procedimenti dialettici
con i quali Hegel e Schelling avevano praticato la loro filosofia
religiosa ... che pretende di
trasformare la Rivelazione in un teorema razionalistico".
Livi
avvia un serrato confronto tra l'unica vera teologia e la filosofia
pseudo-cristiana dell'idealismo, fonte delle bizzarre/sontuose opinioni
diluvianti nei testi diffusi dall'editoria d'indirizzo neomodernista e accolti
festosamente da una sbigottita e desistente gerarchia.
Infatti
i nuovi teologi, ispirati dal sofisma di Salmann, "dialogano
disinvoltamente con tutti i pensatori atei del loro tempo e si vantano di
trovare sempre maggiori spazi di condivisione con essi, riconoscendo anche di
avere, al pari di essi, una diretta dipendenza dai capiscuola della filosofia
religiosa di stampo idealistico".
Conseguenza
della contaminazione idealistica e l'affondamento della teologia sedicente
ecumenica nelle sabbie mobili del relativismo: "l'impiego delle categorie
dialettiche dello storicismo hegeliano rendono impossibile la pretesa cristiana
di una dottrina religiosa definita una volta per sempre (semel pro semper)
e annullano la premessa metafisica della trascendenza assoluta di Dio come
creatore del cielo e della terra, la cui Parola è allo stesso tempo verità
assoluta e mistero insondabile".
Nel dialogo con gli aggiornati interpreti
dello hegelismo i teologi modernizzanti sono costretti ad abbassare le difese
immunitarie e a sottovalutare l'indirizzo nichilistico dei più rigorosi
continuatori dell'idealismo. In Massimo Cacciari, in Andrea Emo e in Eugenio
Scalfari la dialettica hegeliana si rovescia nell'affermazione del
"primato del nulla, da quale l'essere proviene e al quale necessariamente
fa ritorno, il che comporta l'identificazione del progresso con la
nientificazione".
Il
disarmo della teologia, la confessata capitolazione al cospetto della nuova
frontiera dell'ateismo, è ben visibile nei testi di Hans Kung e Klaus Hemmerle,
gli ispiratori delle acrobazie vernali travestite da teologia, che sono
applaudite e incensate dal giornalismo progressista e tollerata e talora
perfino incoraggiate da vescovi paradossalmente consacrati al non vedere e al
non sorvegliare.
Nell'inflessibile
mirino di Livi, sono gli escandescenti catto-hegeliani-severiniani, Giuseppe
Barzaghi, Aniceto Molinaro, Piero Coda e Vito Mancuso.
Di
Barzaghi, esegeta di Emanuele Severino, un alluvionale paroliere, che Fabro
definì traduttore del linguaggio filosofico in "abracadabra",
Livi cita una inquietante/surreale affermazione della possibilità di parlare di
Dio dal punto di vista di Dio: "posto che la filosofia è l'esercizio
prospettico che mira a un punto di fuga ... e che anche Dio cade in questa fuga
di sguardo la filosofia è costretta a un capovolgimento: perché il punto di
fuga è lo sguardo di Dio nel quale ci accorgiamo di essere guardati e in cui
guardiamo il nostro essere visti".
Livi, a
proposito di Coda osserva: "il teologo ignora di proposito ogni differenza
epistemologica tra filosofia e teologia e poi anche le differenze dottrinali
tra cattolicesimo ortodossia e protestantesimo; inoltre pur non potendone
fornire alcuna giustificazione scientifica ... azzarda giudizi storiografici
del tutto inaccettabili: come quando racconta di un filone speculativo che
unirebbe Meister Eckhart a Hegel, quando si sa che senza Spinoza e senza Kant
non si comprenderebbe la genesi dell'idealismo tedesco".
Di
Mancuso, un autore che nel 1997 aveva pubblicato una lucida critica del monismo
hegeliano, Livi scrive: "Di fronte al mistero del male, il teologo che
all'inizio cercava ostinatamente uno spazio concettuale che valga a riportare
in un quadro logico di necessità gli eventi della storia, alla fine non trova
di meglio che rinunciare ad ogni razionalità; il mistero della storia diventa
così l'assurdo e dall'assurdo del dato rivelato si passa a definire come
assurdità, come aporia e come contraddizione tutta la realtà naturale, ragione
per cui la metafisica e la logica vanno eliminate dalla teologia".
Il
magistrale intervento di Livi svela l'indirizzo catastrofico del cattolicesimo
modernizzante, una scelta avviata dall'evoluzionismo cosmico di Pierre
Theilhard de Chardin, "che è quanto di più lontano dalla vera
filosofia", e indirizzata al compromesso con il delirio postmoderno,
"basti pensare che, da un principio scientificamente errato come quello
che Mancuso enuncia affermando che, nel caso di una vita colpita da una grave
malattia o da senilità acuta, l'anima razionale-spirituale non c'è più, deriva
la legittimazione dell'eutanasia".
Nel suo
puntuale intervento Pier Paolo Ottonello, profondo investigatore della crisi
della filosofia contemporanea e geniale inventore di fulminanti neologismi, ci
ricorda che "senza la Trascendenza non ha senso né la persona né il cosmo
tutto, così senza la rivelazione la storia perde ogni senso sostanziale,
smarrendo la sua intrinseca finalità di progresso ... Le risse scientistiche
predominanti nella contemporaneità si riducono ben presto a infimi cascami
dell'autentico progresso: a passi di più o meno ampia gittata, sotto il
captante alibi delle razionalizzazioni, corrono verso la pancaotizzazione".
La
vastità del prolasso mentale/morale in atto nella frazione moderata del
movimento pro-vita, coraggiosamente analizzato e denunciato da Roberto Dal
Bosco ed Elisabetta Frezza, si comprende osservando la parabola discendente
della teologia in libera circolazione nelle università cattoliche.
Piero Vassallo
[L'invio del volume degli atti, edito in
questi giorni può essere richiesto a fraternitasaurigarum@gmail.com - tel.
065755119]
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