Primo Siena su Gentile
Riflessioni sul
cammino della filosofia italiana
In
occasione del settantesimo anniversario della morte di Giovanni Gentile, Marco
Solfanelli, editore anticonformista in Chieti, propone un avvincente saggio di
Primo Siena (Giovanni Gentile Un
Italiano nelle intemperie) che introduce un'antologia di testi del grande
filosofo e le riflessioni sull'attualismo scritte da Padre Leonardo Castellani,
da George Uscatescu e da Armando Carlini.
Allievo
di Silvano Panunzio, Primo Siena appartiene al numero ristretto degli studiosi
(Lino Di Stefano, Antonio Fede, Gaetano Rasi, Franco Tamassia, Francesco La
Scala) che, nel tormentato dopoguerra,
hanno tentato, con brillanti esiti, la rilettura e la riabilitazione del
filosofo attualista.
Gentile,
rimosso dall'elenco dei fascisti, in obbedienza al dogma crociano, che nel bieco
ventennio contemplava una vuota, antistorica e selvaggia parentesi,
infatti, fu deportato nell'incredibile
elenco dei continuatori di Marx. Operazione che Siena liquida rammentando che il
marxismo di Gentile fu definito da Roberto Mazzetti una barzelletta. Lino Di
Stefano, opportunamente citato da Siena, dal suo canto, ha dimostrato la
fragilità e la inclinazione al fallimento delle filosofie sedicenti ultime,
neopositivismo, esistenzialismo ateo, costruttivismo, pensiero debole. Di qui
la proposta di rileggere la filosofia gentiliana, collocandola nell'orizzonte
post-fascista, quale alternativa alla catastrofe che sta travolgendo
l'Occidente, vittorioso in guerra, perdente nella finta sua pace.
Per
evitare le insidie rappresentate dal politicamente corretto, palude
chiacchierante, "in cui ha la peggio chi più ragiona e più si fa un
dovere di procedere con metodo e con rigore" [1], occorre
consultare, anzitutto, gli avvincenti testi proposti da Siena, testi che furono
scritti tra il 1925 e il 1926 da Giovanni Gentile, il filosofo che sarà autore
della Dottrina del fascismo, il documento che conferì al movimento delle
camicie nere la dignità che compete a una vera avanguardia filosofica.
Ora
Gentile, nel saggio appena citato, demistifica la vittoria delle potenze
occidentali nella Grande Guerra, vittoria che puntellava un regime indirizzato
"alla dissoluzione sociale dello stato, che seguirono immediatamente
alla vittoria e che il fascismo troncò".
La
segreta causa del consenso alla nuova cultura italiana aveva origine "dal
carattere schiettamente religioso dello spirito fascista" e in ultima
analisi dalla volontà di capovolgere l'ideologia ateista, insegnata da "quei teneri filosofi
dell'illuminismo, così leggeri ma così filantropi, dei quali i massoni leggono
ancora con riverenza infinita gli oracoli"- Tali erano gli errore che
squalificavano e fiaccavano la vincente Internazionale dei liberali.
Gentile
sosteneva risolutamente che Benito Mussolini "ha tante volte espresso,
con l'energia che è propria del suo pensiero intuitivo, il lato mistico del
fascismo, come culto reso a tutta l'anima della nazione. ... E non c'è dubbio,
che uno dei più potenti motivi, anzi il motivo più potente del fascino dal
Mussolini esercitato dai giovani sulle masse e su tutti, deriva da questa
corda, che egli sa far vibrare fortemente negli animi be che vibra prima di
tutto nel suo, ogni volta che egli si abbandona all'ispirazione centrale del suo
pensiero, e riesce veramente eloquente".
Di qui
una lucida interpretazione del programma di Mussolini: "Il fascismo che
intende la necessità della vita religiosa dello spirito, fuori della quale
non c'è se non il materialismo dell'individualismo liberistico o della
socialdemocrazia, intende perciò innestarsi
nel tronco antico ma pur sempre vivo e poderoso della religiosità
storica italiana, che per effetto dell'innesto getterà nuovi germogli e
rinverdirà in novelle fronde".
Nella religione
cattolica, Gentile, pur essendosi ancora liberato dalle suggestioni fatte
cadere da Hegel dal vertice speculativo della modernità, vedeva la radice della
combattività dei giovani fascisti e la ragione delle speranze che la rinnovata
cultura italiani esercitava nella gioventù insofferente e pronta a battersi
contro la piattezza cui è indirizzata la via al capitalismo perfetto e la falsa
pace generata dal conformismo.
Scriveva
Gentile: "A me in verità leggendo il Vangelo, da cui tante cose ho
imparato, han sempre fatto una vivissima impressione quelle parole divine di
Gesù - Non veni pacem mittere sed gladium. Veni enim separare hominem adversus
patrem suum et filia adversus matrem suam. ... Questo il patto divino e la
storia di tutte le religioni che hanno acceso nei cuori umani le maggiori
fiamme d'amore, ma anche i più vasti incendi di odio".
L'anno successivo
Gentile scrisse un nuovo articolo per meglio definire le radici filosofiche e
teologiche del fascismo, un testo in cui si rammentava che "tra gli
iniziatori memorandi della nuova Italia è il grande filosofo napoletano
Giambattista Vico". E ai contraddittori, che sorridevano a sentire
"che il buon filosofo cattolico della Scienza nuova è tra i maestri
spirituali del fascismo" [2], suggeriva di studiare la morale eroica di Vico, che
contempla i primitivi in fuga per pudore
dalla Venera vaga "e con la forza e le loro violente passioni conformi
ai disegni della provvidenza fondarono le famiglie e quindi la società e lo
Stato".
A Gentile è stata
attribuita l'intenzione di rovesciare la filosofia di Vico nel pensiero
hegeliano. Ma il testo citato da Siena sembra manifestare una intenzione del
tutto diversa, cioè riconoscere che la Scienza Nuova contempla il primato della
divina Provvidenza nella storia: "Perché pur gli uomini hanno essi
fatto questo mondo di nazioni ... ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito
da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad
essi fini particolari, che essi uomini si (Scienza
Nuova, Conchiusione dell'opera).
Alla
luce della Scienza Nuova, Gentile chiarisce il significato della deplorata barbarie
fascista: "intendete il significato giusto di questa barbarie e noi ce
ne vanteremo, come di sane energie frantumatrici di idoli fallaci e funesti, e
restauratrice della salute delle nazioni nella potenza dello Stato. La nostra
barbarie sdegnerà la falsa cultura intellettualistica traviatrice e
falsificatrice, prona e indulgente alle velleità individualistiche e agli
egoismi anarcoidi, come sdegnerà la falsa pietà e la ipocrita
fratellanza e perfino le regole del galateo che divezzino dalla rude e sana
franchezza e avvezzino al reciproco inganno e a tutte le intollerabili
tolleranze".
La lettura del testo
gentiliano appena citato sollecita gli storici non prevenuti ad esplorare i
lontani e nascosti orizzonti dell'attualismo, ossia, giusta l'acuta
interpretazione di Primo Siena, a svelare l'intenzione di Gentile di uscire
dalle strettoie della filosofia hegeliana.
Vico
filosofo del fascismo" [3], sarà
infatti il progetto dichiarato da Nino Tripodi, un acuto studioso militante
nella Scuola milanese di Mistica fascista. Quasi anticipando la tesi di
Francisco Elias de Tejada, Tripodi dimostrò che la Scienza Nuova è l'ultimo e
vero orizzonte della riforma avviata da Benito Mussolini e da Giovanni Gentile.
L’indirizzo
dell’avanguardia fascista, peraltro, era stato dichiarato già nel 1919. Al
proposito Siena ha rammentato un'osservazione di Nino Tripodi: “È significativo che
proprio a Vico, e proprio il 23 marzo
del 1919, si sia riferito Paolo Orano nel commentare, sul Popolo d’Italia, la
fondazione dei Fasci di combattimento. Orano indicava nel filosofo della
Scienza Nuova il precursore dell’interpretazione del tempo, chiamandolo maestro
dei nostri orientamenti ed evocando la sua teoria del fatto come sede del vero” [4].
Siena
ha indicato la via percorribile da una cultura italiana post-fascista e da una
destra finalmente liberata dai paradossi e dalle suggestioni iniziatiche
(ridicolmente dadaiste ed eleusine) di un'avanguardia prigioniera
dell'ultra-antico.
Piero Vassallo
[1]
Giovanni
Gentile, "Caratteri religiosi della presente lotta politica", citato
da Primo Siena, "Giovanni Gentile Un italiano nelle intemperie",
Solfanelli editore, Chieti 2014, pag. 71.
[2] Giovanni
Gentile,"Che cosa è il fascismo",cfr. Pagine gentiliane, in: Primo
Siena, "Giovanni Gentile Un italiano nelle intemperie", op. cit.,
pag. 89 e segg.
[3] Il saggio di Tripodi , "Il pensiero
politico di Vico e la dottrina del fascismo", fu pubblicato da Cedam,
Padova 1941.
[4] Cfr.:
Fascismo così, Ciarrapico editore, Roma 1984 pag. 21. Il filosofo Paolo Orano
(Roma 1875 - Padula 1945) dopo aver
militato nel partito socialista aderì al fascismo. Nel 1936 fu nominato rettore
dell'Università di Perugia. Sostenne che
"i patti del Laterano chiudendo e risolvendo il dissidio tra Stato e
Vaticano in Italia, pongono come obbligo assoluto al cittadino, alla scuola,
alla cultura di non riaccenderlo". Nel 1945, Orano fu imprigionato
dagli alleati e chiuso nel campo di concentramento di Padula, dove morì.
Nessun commento:
Posta un commento