“L'opera di
Giuseppe Rizzo manifesta in piena luce da un lato il tendere infinito della
mente nella ricerca della Verità, dall'altro caratterizza in maniera
inequivocabile questo divenire della mente, perché il significato lo riceve
dalla luce della Verità totale alla cui comprensione si sforza pervenire.
Giulio Bonafede
Simile alla inconscia zagaglia di
carducciana memoria, il piombo rovesciato su Giovanni Gentile dal gapista e
pistolero fiorentino Bruno Fanciullacci avviò la calunnia e ispirò l'epurazione
implacabile delle filosofie irriducibili all'utopia marxiana e al suo desolante
esito crepuscolare.
Ebbe inizio in quel tragico e oscuro 1944 il
progetto degli oscurantisti, che hanno usato l'armato ma inconsapevole apparato
culturale dei comunisti per sguinzagliare e promuovere i tenebrosi pensieri
giacenti nel sottobosco esoterico e indirizzarli all'esito fumoso, ultimamente
leggibile nei libri prodotti dalla squillante spocchia adelphiana.
Sugli autori irriducibili alla rivoluzione
esoterica si è abbattuta, infatti, la severa e implacabile intolleranza di una
censura protetta dal metafisico preservativo antifascista.
Di qui il suggerimento di rileggere i testi
dei protagonisti del vivace ma cortese dibattito che oppose i pensatori di
scuola gentiliana ai filosofi d'ispirazione cattolica. Una vicenda sgradita
agli esponenti della cultura in corsa illuminata – da Benedetto Croce a Monica
Cirinnà e a Roberto Calasso - nell'interminabile dopoguerra.
Alla faticosa impresa finalizzata alla
ricostruzione di una importante pagina della storia filosofica italiana si è da
tempo dedicato un allievo sagace e fecondo continuatore dell'opera di Giulio
Bonafede, Tommaso Romano.
Intrepido e ostinato visitatore della
tradizione italiana calunniata, censurata e oscurata dal potere esercitato dai
maghi freneticamente attivi nei vespasiani democratici, Romano esplora le
pagine scomode della storia della filosofia.
La più recente e impegnativa opera di Romano
(edita in Palermo dall'Isspe) è dedicata alla discoverta del pensiero di
un dotto sacerdote, Giuseppe Rizzo (1878-1933) filosofo rosminiano e canonico
di Ciminna, un autore ingiustamente sottovalutato dalla storiografia
d'ispirazione laicista e/o neo-modernista.
Alla formazione filosofica di don Rizzo
contribuirono alcuni illustri docenti dell'università di Palermo, interpreti di
correnti di pensiero con le quali il sacerdote di Ciminna dovette misurarsi: il
neo idealista Giovanni Gentile, e i positivisti Cosmo Guastella, Giovanni
Antonio Colozza e Giuseppe Tarozzi.
Rizzo fu stimato tuttavia da Gentile, che gli
assegnò, quale argomento della tesi di laurea, Il problema del bene e del
male e la Teodicea di Rosmini nella storia della filosofia.
Romano rammenta, opportunamente, che “il
giovane studioso di Ciminna si porrà lontano dalla filosofia dell'Idealismo e
del Positivismo, allora egemoni”.
Fu a Beato Antonio Rosmini cui don Rizzo
fece costante riferimento, senza peraltro (rammenta opportunamente Romano, che
al proposito cita un saggio di Michele Federico Sciacca) “diventare
divulgatore pedissequo ma inserendo personali notazioni, osservazioni,
innovazioni e varianti, non certo di scarso rilievo e interesse”.
Lo storico Salvatore Corso ha dimostrato che
don Rizzo intendeva “stabilire la concretezza e la stabilità del pensiero
rosminiano in paragone con l'astrattismo dell'Idealismo e del semplicismo del
materialismo”.
Pertanto saggio di Romano costituisce un
prezioso contributo alla discoverta di un autore ingiustamnente
sottovalutato e affondato nel gorgo del cattolicesimo spensante.
Piero Vassallo
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