venerdì 11 maggio 2018

NEOLOGISMI MALIZIOSI (di Piero Nicola)


Gli espedienti retorici non sono un'invenzione né odierna né recente. L'arte di manipolare la lingua è una vecchia porcheria. Però tale malizia ebbe sovente, come le bugie, le gambe corte. Un'onestà formale ineludibile, autorevole, vanificò l'uso insinuante, allusivo di vocaboli per svilirne il valore, vanificò le nuove accezioni che denigravano i buoni significati; i mali giochi linguistici vennero smascherati con il loro significato effettivo.
  Il vocabolario mise le cose in ordine, grazie soprattutto all'etica eterna della Chiesa, che metteva in soggezione quella mondana, benché sempre si cercasse il modo per gabbare la gente con usi impropri e locuzioni sofistiche, atte a trarre in inganno.
  Populismo. - Chi oggi vuol accusare qualcuno o una associazione di essere demagogica, non usa più il termine proprio: demagogia, ma ha stravolto il vecchio significato di populismo sostituendolo a demagogia. Il dizionario Garzanti degli anni Ottanta così definiva la voce populismo: "atteggiamento o movimento politico, sociale o culturale che tende genericamente all'elevamento delle classi più povere, senza riferimento a una specifica forma di socialismo o a una precisa impostazione dottrinale". Dunque il senso spregiativo è recentissimo e sostituisce un termine preciso, come demagogia, perché la novità fa maggior presa sull'immaginazione, perché populismo è maggiormente comprensibile da quel popolo che si presume raggirato, e per diminuire il valore del consenso popolare, che sarebbe carpito con le lusinghe. Tale azzardo, con cui si mette in dubbio la capacità di discernimento del popolo e lo stesso valore del principio democratico, dice la crisi dei partiti ancorati al sistema, dice l'impopolarità dei conformisti difensori dello status quo, la loro disperazione, non essendo riusciti a escogitare un nuova soluzione demagogica o non essendosi resi conto dell'aria che tira.
  L'ultima trovata è il sovranismo. Coloro che hanno coniato e adoperano questo neologismo, non si rendono conto di impugnare un coltello a doppio taglio, che sta ritorcendosi contro di loro. Esso si oppone al sentimento che la gente, avvertendo il profondo malessere sociale, prova verso una sottintesa rinuncia alla propria identità, alla sovranità, in nome di un internazionalismo o globalismo o società multietnica, e di un buonismo che fa d'ogni erba un fascio: proposte a cui non crede, di cui subodora la macchinazione. Sminuire la sovranità significa pregiudicare la proprietà di quanto ci appartiene, che si è giustamente ereditato e che non si è disposti a spartire col primo venuto, il quale ne godrebbe senza alcun merito, col quale si ha poco da spartire, anzi costui, comportandosi a modo suo, turba la pace e l'armonia. Il sentimento di tutto ciò, benché sovente inconsapevole, è diventato più forte della propaganda contraria. Questo spiega la sconfitta e il discredito dei partiti che propugnano la politica continuità e la moderazione. Il problema non è semplicemente economico. Anche la massa che può vivere o vivacchiare si sente moralmente a disagio, minacciata, e ha fiutato l'inganno, ha smesso di credere e di obbedire. I segni della diffidenza e dello scetticismo sono evidenti; l'establishment procede in un vicolo cieco, finché qualcun'altro avanza un'alternativa.
  Nella festa dell'Ascensione, Francesco I visita le comunità utopiche e moderniste e tiene omelie stucchevoli e filantropiche, che sanno di connivenza con l'universalismo e hanno perduto il potere di convincere.
  Mattarella è intervenuto al convegno di Fiesole intitolato The State of The Union. Già questo invadente abuso dell'inglese (per giunta poco comprensibile) ormai suona male alle orecchie nostrane, che non appartengano a pappagalli istruiti e ai vogliosi di tenersi in pari con questa moda esterofila. Mattarella ha approfittato di tale celebrazione della solidarietà nell'UE per mettere in guardia un prossimo governo Lega-5Stelle dicendo che bisogna "sottrarsi alla narrativa sovranista", e ha messo sull'avviso tutti quanti perché nessuno Stato può illudersi di fare da sé. Come se tuttora gli Stati europei non dovessero fare da sé, ossia difendere i loro interessi, nonostante la perdita notevole di sovranità e di interessi, senza adeguata contropartita. Ed è l'avvertita mancanza di vantaggi, anzi l'avvertito discapito (immigrazione, moneta unica, debito pubblico in speculative mani altrui) che ha determinato la volontà nazionale di riappropriarsi della propria roba, dell'autonomia. Ora, questi concetti di conservazione del patrimonio e di indipendenza conducono alla sovranità, conducono all'improvvido uso dispregiativo della parola sovranismo; chi se ne serve sta dandosi la zappa sui piedi.

Piero Nicola

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