venerdì 5 febbraio 2016

La psichiatria di Gorizia e la riabilitazione del vespasiano

L'orrore destato dai feroci e assurdi delitti compiuti da conclamati psicopatici, dimessi dopo l'ascolto di sermoni freudiani e la prescrizione di tranquillanti pasticche, induce il profano ad una sospettosa considerazione intorno alla serena convivenza di normalità e follia. Tale ardita coabitazione, a tempo debito (correvano i tumultuosi, fosforescenti anni Sessanta) fu progettata e gridata da Franco Basaglia, illuminato psicopompo & direttore del manicomio demo-buonista di Gorizia.
 Autorevoli psichiatri, attivi nell'area della scienza illuminata dalla misericordia cristiana, avevano sollevato ragionevoli e tempestivi dubbi intorno alla imprudente e rischiosa dimissione dei malati di mente, proposta dagli esponenti di psichiatria democratica.
 Nelle pagine di Renovatio, la rivista del cardinale Giuseppe Siri, un illustre psichiatra, il prof. Bruno Orsini, aveva contestato e puntualmente confutato la teoria a monte della liberazione basagliana.
 Se non che il progressismo è fallocrate e, come il fallo del proverbio, non vuole pensieri. L'urlo falloso della scienza progressiva, infatti, tacitò i critici di Basaglia e li respinse nella oscura e maladetta cajenna dei reazionari.
 In nome della Bontà, il parlamento, teatro di scientifiche flessioni e di acrobatiche giravolte democristiane, votò la legge, che metteva in libertà il delirio.
 Approvata la legge fatale, il sole scientifico spuntò sul mattino della libera immaginazione. La festa intitolata alla liberazione della malattia mentale, fu celebrata da tuffi nel vuoto, corse incontro alle porte a vetri e da massacri in famiglia e in strada.
 La rivelazione del costo associato al gaudioso abbattimento del manicomio allarmò perfino i membri di psichiatria illuminata, e tuttavia suggerì la pia sopportazione delle imprese sanguinarie compiute dai folli dopo la felice liberazione.
 La psichiatria democratica sguinzaglia i delitanti, il delirio uccide. In compenso le reti televisive, unificate dal moralismo surreale, urlano contro la ferocia degli assassini. Il sangue macchia i teleschermi, ma la contemplazione della patologia a monte degli orrori è severamente proibita. La psico-democrazia non deve essere chiamata in causa. Basaglia non si discute. Non si freni la democratica corsa della malattia mentale.
 Gli avversari del delirio, propriamente detti testimoni dei fatti, pensano ostinatamente che l'urlante schizofrenia sia causa di omicidi impunibili e di sanguinari attentati alla tranquillità nell'ordine. In altri termini, i medici realisti sostengono che i basagliani hanno aperto una finestra scientifica affacciata sulla cronaca nera.



 Mentre le reti televisive, tra la notizia di uno psico-massacro e l'altro, annunciano il miracolo strepitoso di Bergoglio, la casa editrice Cantagalli pubblica Dio o niente, il testo di una  conversazione del cardinale Robert Sarah con lo scrittore Nicolas Diat.
 L'alto prelato rivela, ad esempio, che “Francesco rimprovera spesso e con forza i sacerdoti e i religiosi che sono diventati funzionari della fede, in una forma di ripiegamento identitario e rigido del sacerdozio”. Domanda indiscreta: quale è l'alternativa bergogliana alla curva figura del prete identitario e ortodosso? La dritta figura del prete senza identità o quella del teologo eterodosso, squillante in tutte le occasioni del vaniloquio modernista? L'indulgenza gommosa del predicatore di successo?
 Il fantasma di Basaglia corre a perdifiato tra le righe fumose della teologia buonista. Indossate vesti ecumeniche, la psiche dei modernizzatori si è rovesciata – squillando e gongolando – negli ambulacri teologici, conquistati dall'amoroso dialogo del pastore telefonico  con i promotori dell'ateismo salottiero.   
 Le bergogliane parole in telefonica libertà, turbano e imbarazzano i fedeli refrattari alle parole in libertà, fedeli fra i quali si distingue il sagace, implacabile Antonio Socci.
 Il cardinale Sarah, dal suo canto, è tormentato dal desiderio di allontanare (con la necessaria cautela) l'angosciante dubbio che incombe sull'intrepida e squillante teologia di Bergoglio: “Da parte mia, non credo che il pensiero del Papa sia mettere in pericolo l'integrità de magistero. In effetti nessuno, nemmeno il Papa, può distruggere né cambiare l'insegnamento di Cristo, Nessuno neanche il Papa può opporre la pastorale alla dottrina. Sarebbe ribellarsi a Gesù Cristo e al suo insegnamento”.
 Sarà un caso, ma la negazione della negazione afferma. Inoltre i limiti del dialogo sono indicati  dal cardinale Sarah con una chiarezza, che non sempre si legge nei documenti e nelle dichiarazioni di Bergoglio e dei vescovi progressisti: “Oggi, penso che dovremmo smetterla di discutere come intellettuali irrispettosi, che danno l'impressione di contestare l'insegnamento di Gesù e della Chiesa.”
 L'opportunità di ricorrere alla fermezza discende infatti dalla visione dell'empietà politicante: “Alcuni governi occidentali, con grande disprezzo di Dio e della natura promulgano leggi insensate sul matrimoni, la famiglia e la vita”.
 Di qui la proposta di mettere un freno alla lingua dei teologi di stampo basagliano e alla demagogia in corsa nella domanda “chi sono io per giudicare?”.
 Di qui, infine, un duro monito, “La Chiesa non può comportarsi con leggerezza davanti a Dio”.
 Tale sentenza è indirizzato ai preti conformisti e ai giornalisti pavidi, che non osano insorgere contro le leggi infami e demenziali, concepite da demagoghi storditi dal chiasso proveniente dall'Europa gongolante nel vespasiano e nell'obitorio. La leggerezza che approva la pederastia ha origine da una passione mortifera, circolante nel pensiero dei legislatori democratici.
 All'assordante giornalismo laico, che giustifica e applaude gli atti sessuali contro natura, rispondono il silenzio e le mezze parole della teologia aggiornata e rispettosa.



Piero Vassallo

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