Uno che abbia trascorso al fronte quasi tutta la
nostra Grande Guerra, che abbia partecipato con D'Annunzio all'impresa di
Fiume, che abbia ricoperto nel Ventennio importanti cariche politiche e in
Istituti culturali e universitari, che sia stato ufficiale di stato maggiore
della 4a Armata nel Secondo conflitto mondiale, sino al 1943, è comprensibile
abbia avuto qualche oscillazione nei suoi giudizi sulla guerra e sulle cose
umane.
Questi è
Arturo Marpicati, poeta, narratore, saggista, giornalista, professore,
militare. Per stabilire la statura morale e il valore dello scrittore mi affido
ancora una volta a Piero Operti, giudice competente e assai dotato
d'imparzialità. Nel suo Dizionario Storico della Letteratura Italiana, egli annovera
Marpicati, autore di "fecondissima produzione". Le sue Liriche di guerra, con prefazione di G.
Prezzolini, l'Operti dice essere "improntate a una scabra e schietta
umanità [...] L'anelito alla vittoria non vi si sovrappone alla carità cristiana,
che in guerra dovrebbe brillare di luce più viva; cioè, è la guerra quale l'ha
sentita un vero italiano, nella tormenta sì, ma senza imbestiarsi e rinnegare
ogni cosa in altri momenti cara; ed insieme è la vittoria umanamente raggiunta
e affermata".
Nel
1961, poco prima di morire, il vecchio combattente ridà alle stampe il diario
del conflitto '15 - '18 col titolo ...E allora non dimenticateci. Rispondendo,
nella prefazione, all'amico Prezzolini che gli chiede come mai abbia riesumato
quelle vicende belliche dopo essersi dedicato a "racconti calmi e
sereni", egli risponde d'essere stato indotto a rappresentare nuovamente
la vita militare nelle trincee, a causa dell'ignoranza e anche dell'interesse,
dimostrati da professori universitari, professionisti, industriali e banchieri,
intorno ai fatti d'armi di quel periodo storico.
La
storia personale è varia, andando dalle trincee in cui si marcisce
letteralmente, agli assalti, ai servizi di sussistenza, alle postazioni di
mitragliatrici, alle soste nelle retrovie, all'ospedale, alla ritirata,
all'ammutinamento, alla difesa costiera, durante tre lunghi anni. La singola
sperimentazione può dilatarsi in trattato morale sulla guerra nelle diverse
condizioni, dove le peggiori sono davvero pessime non solo per l'alta
percentuale di caduti, ma anche per le sofferenze e le morti dovute alle
malattie e agli stenti.
La
letteratura nazionale e internazionale abbonda di cosiffatte memorie o di opere
romanzate del medesimo argomento. Parecchie sono antimilitariste, pacifiste o,
peggio, politiche (vedi Hemingway). Altre manifestano eccessivo ottimismo e
riguardano soltanto gli eroismi, allorché il pur sincero espositore perde di
vista l'insieme. Non molti colgono l'essenziale dei dati e azzeccano l'etica e
la sua applicazione.
Marpicati riconosce cordialmente il puro eroismo, ne ha conosciuto il
modello, prima della sua immolazione, nell'amico Giosuè Borsi.
Anche
nel libro di racconti Sole sulle vecchie strade (1956) egli
scrive: "I poveri fanti, sgomentati dal morbo tremendo che non restava [il
colera], erano l'oggetto delle nostre cure più assidue. Imitavo Borsi e parlavo
sovente a loro con semplicità e con serietà: lieti se riuscivamo a sollevarli
un po' dalla sfiducia e dall'abbandono in cui facilmente, tristi o inaspriti,
piombavano".
In
proposito, nel diario troviamo gli episodi in cui un ufficiale o un graduato
suscitano e trasmettono le virtù ai tanti, che altrimenti sarebbero divorati dalla
paura e dalla viltà.
"Egli sentiva in grado eroico l'amore della patria, e misticamente
il dovere del soldato.
"Oggi rileggendo con emozione le sue pagine, mi vien fatto
d'accostarlo all'ammirabile autore dell'Appel
des armes e del Voyage du Centurion,
Ernest Psichari, nipote di Renan, per vocazione soldato e scrittore, ritornato
cattolico dopo una lunga permanenza nei deserti dell'Africa, e caduto
eroicamente in battaglia a trent'anni, il 22 agosto 1914, durante la ritirata
di Charleroi [...] I due poeti eroi hanno lasciato libri che rimarranno nella
storia spirituale delle generazioni della Grande Guerra.
"Borsi amava quelle lunghe ore di obbedienza militare, di totale
rinuncia a se stessi, di regola austera ma insieme soave per la pace dalla
coscienza. Quel servire e quel comandare con sicurezza e con calma, ma più, in
contingenze sì deprimenti, quell'assistere al prodigio ricreatore della nostra
fragile parola sopra gli spiriti di una massa - che pareva vivere come le
piante, e nulla sapere, nulla chiedere, e invece dalle zone più remote
dell'animo rispondeva consapevole ai nomi e alle idee della patria e del dovere
- erano pure una conquista e una letizia, e la fedeltà, che in compenso
scaturiva dalle menti e dai cuori umili e racconsolati, il vero profumo di
quella vita di guerra".
Ma gli
stessi tenenti vanno soggetti a malinconie e inquietudini, alle quali si
alternano momenti in cui il "cuore come divelto dal mondo, fatto
vicinissimo alle cose essenziali, e per nulla timoroso della stessa morte"
comunica "una felicità leggera". "Giosuè Borsi raggiava a queste
confessioni, e noi amici suoi dolcemente ammoniva essere ciò opera e lavorio
prezioso della Grazia, intenta a prepararci le prove più aspre, onde l'anima
uscisse più fiera e meglio accampata".
Il 10
novembre 1915, durante un'offensiva a Zagora, Borsi "cade da prode".
Riceve la preghiera del cappellano, ma poi un grosso calibro piovuto sulla
spoglia la disperde irrimediabilmente.
Nel
volume di racconti sfolgora la figura di un compatriota di Marpicati, il
bresciano Tito Speri, condottiero delle Dieci Giornate. In una ritrovata
lettera scritta a un compagno la sera precedente l'impiccagione "passano
accenti che hanno senz'altro del sovrumano: 'Ti assicuro di aver passato tre
giornate veramente invidiabili; nella mia vita ho qualche volta gustato delle gioie,
ma, te lo assicuro, in confronto a quelle che io provo in questi momenti, esse
non furono che miserabile fango'. 'Una cosa ti dico, ed è questa: che non so
come tutti gli uomini non si persuadano a farsi impiccare. Tu crederai che io
esageri o sia impazzito; no, non esagera e non impazzisce l'uomo che è vicino a
morire. Sento prevalere in me il principio spirituale in tal modo, che sospiro
il momento di liberarmi dalla tortura del corpo e volare finalmente nelle
braccia di Colui dal quale sono disceso. Ho trovato la religione nostra tanto
augusta e tanto veritiera nei suoi argomenti, o per meglio dire nelle sue prove
matematiche, ch'io commisero tutti coloro che per diffidenza ne vanno lontani,
o per tracotanza la vogliono combattere'".
D'accordo:
i veri eroi sono degli eletti. Gli altri che, in guerra, dai più crudeli
patimenti ne escono bene possono essere pochi, quando viene loro a mancare
l'uomo, l'idea che li rianima e li rende valorosi. Tuttavia cominciamo col
distruggere i velenosi negatori dell'eroismo. In secondo luogo la guerra, che
sia quella giusta o quella ingiusta, essendoci, comporta la militanza di coloro
che sono chiamati a combattere. Essi non hanno diritto di sottrarsi al
calvario, anche se i responsabili, i comandanti sono tenuti ad alleviarlo per
quanto sia possibile.
Marpicati sull'orrenda trincea di Oslavia e sulle sue raccapriccianti
vicinanze mostra qualche sconcerto. Forse dimentica che Dio permette le
tremende torture, senza cessare d'essere giusto e misericordioso.
Per altro
verso il bravo Marpicati, osservando i berberi e i beduini del deserto libico e
dell'oasi, presta a quei maomettani una religiosità, un'attuazione di
spiritualità che sembrerebbero poter fare a meno di Dio vero.
Ripeto
che si tratta di piccoli sbandamenti smentiti da un lungo cammino ortodosso, ma
ripresi tendenziosamente dai deplorevoli manipolatori della storia e della
verità, che curano e redigono enciclopedie e dizionari corretti o nuovi, le nuove storie della letteratura, che praticano la
critica pacifista, agnostica e nichilista, con un conformismo nella falsità da
regime affatto totalitario, peggiore degli autoritarismi con cui la vera Chiesa
poté conciliarsi.
Piero Nicola
Molto interessante. Sapevo che Arturo Marpicati era stato segretario del PNF, ma non che avesse scritto libri. Ormai si troveranno solo nelle librerie antiquarie?
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