Non tutto è perduto per coloro che sognano il
monarca vero, integrale, chiamato assoluto
soprattutto dai rivendicatori delle libertà indebite e sporcaccione.
L’attuale sistema democratico discende dalle
sacre tavole su cui un dio pagano e popolare ha inciso con la sua lingua la
legge delle leggi. I popoli lo venerano nel suo tempio universale con sacro
timore d’essere da lui abbandonati. Intanto, essi temono i subdoli e spietati
rigori dei suoi sacerdoti.
Poiché su quelle nere lastre di pietra sta
scritta in caratteri d’orpello la condanna dei fedeli cattolici che ritengono
funesti i diritti condannati dal loro Dio, il loro unico sogno di liberazione
sta nell’avvento di un re strapotente e adoratore autentico dell’autentico
Signore e Giudice, riconosciuto nei secoli. Essi non possono amare le violenze,
i soprusi, le guerre; sono per l’equa tolleranza verso le grandi forze
irriducibili e minacciose, contrarie all’Onnipotente e alla sua Chiesa.
Tuttavia chi potrebbe togliere loro la preghiera e la speranza, una speranza
nemmeno peregrina, giacché riposta in Colui che tutto può, che tanto è
misericordioso quanto è giusto, e le cui vie sono infinite?
Nel mondo, è ancora rimasto un ambito in cui
regna un solo uomo: la nave. Lì il metodo democratico non ha potuto attecchire.
Schettino ha rispolverato un aureo detto: In
mare il comandante è secondo soltanto a Dio. Ove si sottintende che lo è
relativamente al governo civile, a quella potestà che viene soltanto da Dio. E
se il comandante fa inchini disdicevoli
e altre cose illecite e irreligiose, questa è l’altra faccia della medaglia.
A dirla tutta, anche un’azienda ha un capo e
una gerarchia che ammettono poco il potere dal basso. Qualsiasi società
organica ha un vertice e una gerarchia. Il Signore dispose che fosse così per
la Chiesa (società terrena e ultraterrena perfettamente costituita) e per la famiglia
(Efes 5, 22-23). Ma sindacati, leggi e regolamenti diversi impastoiano
l’organizzazione della fabbrica e, in generale, l’impresa mercantile. Per non
dire del nuovo diritto di famiglia, che la demolisce.
Invece, a bordo la disubbidienza è soggetta a
repressione; fuori delle acque territoriali, il capitano detiene il potere
esecutivo e penale. Ci vada cauto l’equipaggio a presentare anche soltanto una
petizione circa la rotta e il governo della nave, perché costui rischia
d’essere incriminato per ammutinamento.
Dicevo che i credenti fautori della monarchia
non costituzionale, non mutilata da parlamenti e elezioni a suffragio di
popolo, non intralciata dalle partiti rivali, avrebbero qualche possibilità di
vedere esauditi i loro voti. Certo occorre che il banditore delle idee grate a
Dio abbia i carismi indispensabili. Quanto alle idee, a volte, per spopolare
basta una robusta allegoria; e quale è più efficace di quella del capo della
marittima spedizione? A suo tempo, servì pure l’apologo di Menenio Agrippa.
Oggi si passa sotto silenzio questa figura
del capitano che regge le sorti di un viaggio periglioso su acque infide,
soggette a gonfiarsi a dismisura. Prima o poi, il tragitto si svolge superando
stretti insidiati da bassi fondali, o è minacciato dagli iceberg, o procede
lungo coste frastagliate e scogliose, che bisogna rasentare onde non accrescere
le spese del nolo e non diminuire i profitti della società armatrice.
Sarebbe d’effetto, una realistica
introduzione politica raffigurante le attuali civili traversie con la tempesta da
superare, con la nebbia che, malgrado il radar, richiede vigilanza autonoma e
scelte decise, con la manovra per eludere il dominio degli scafi grandi e
prepotenti o per non investire i minuscoli pescherecci. E allora, sarebbero
affari seri per quelli che volessero confutare il parallelo fra la città
racchiusa in lamiere, spinta dalle eliche e diretta dal timone, e l’arca di
un’intera comunità, sollecitata da scosse interne e da esterni cavalloni, la
quale necessita nondimeno di un apparato di direzione indipendente e di un
libero propulsore, con cui navigare conseguendo un degno profitto, e nella più possibile
sicurezza.
È anche appropriata l’analogia tra Stato ed
esercito. La funzione guerresca dell’esercito suscita diffidenze, ma lo Stato
si trova in una condizione di guerra permanente. Non è forse chiamato, come
ogni comunità di individui, a combattere anzitutto contro il male e contro gli
errori che permettono e fomentano la
malizia?
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