giovedì 11 dicembre 2014

IL CAPITANO (di Piero Nicola)

  Non tutto è perduto per coloro che sognano il monarca vero, integrale, chiamato assoluto soprattutto dai rivendicatori delle libertà indebite e sporcaccione.
  L’attuale sistema democratico discende dalle sacre tavole su cui un dio pagano e popolare ha inciso con la sua lingua la legge delle leggi. I popoli lo venerano nel suo tempio universale con sacro timore d’essere da lui abbandonati. Intanto, essi temono i subdoli e spietati rigori dei suoi sacerdoti.
  Poiché su quelle nere lastre di pietra sta scritta in caratteri d’orpello la condanna dei fedeli cattolici che ritengono funesti i diritti condannati dal loro Dio, il loro unico sogno di liberazione sta nell’avvento di un re strapotente e adoratore autentico dell’autentico Signore e Giudice, riconosciuto nei secoli. Essi non possono amare le violenze, i soprusi, le guerre; sono per l’equa tolleranza verso le grandi forze irriducibili e minacciose, contrarie all’Onnipotente e alla sua Chiesa. Tuttavia chi potrebbe togliere loro la preghiera e la speranza, una speranza nemmeno peregrina, giacché riposta in Colui che tutto può, che tanto è misericordioso quanto è giusto, e le cui vie sono infinite?
 
  Nel mondo, è ancora rimasto un ambito in cui regna un solo uomo: la nave. Lì il metodo democratico non ha potuto attecchire. Schettino ha rispolverato un aureo detto: In mare il comandante è secondo soltanto a Dio. Ove si sottintende che lo è relativamente al governo civile, a quella potestà che viene soltanto da Dio. E se il comandante fa inchini disdicevoli e altre cose illecite e irreligiose, questa è l’altra faccia della medaglia.
  A dirla tutta, anche un’azienda ha un capo e una gerarchia che ammettono poco il potere dal basso. Qualsiasi società organica ha un vertice e una gerarchia. Il Signore dispose che fosse così per la Chiesa (società terrena e ultraterrena perfettamente costituita) e per la famiglia (Efes 5, 22-23). Ma sindacati, leggi e regolamenti diversi impastoiano l’organizzazione della fabbrica e, in generale, l’impresa mercantile. Per non dire del nuovo diritto di famiglia, che la demolisce.
  Invece, a bordo la disubbidienza è soggetta a repressione; fuori delle acque territoriali, il capitano detiene il potere esecutivo e penale. Ci vada cauto l’equipaggio a presentare anche soltanto una petizione circa la rotta e il governo della nave, perché costui rischia d’essere incriminato per ammutinamento.
  Dicevo che i credenti fautori della monarchia non costituzionale, non mutilata da parlamenti e elezioni a suffragio di popolo, non intralciata dalle partiti rivali, avrebbero qualche possibilità di vedere esauditi i loro voti. Certo occorre che il banditore delle idee grate a Dio abbia i carismi indispensabili. Quanto alle idee, a volte, per spopolare basta una robusta allegoria; e quale è più efficace di quella del capo della marittima spedizione? A suo tempo, servì pure l’apologo di Menenio Agrippa.
  Oggi si passa sotto silenzio questa figura del capitano che regge le sorti di un viaggio periglioso su acque infide, soggette a gonfiarsi a dismisura. Prima o poi, il tragitto si svolge superando stretti insidiati da bassi fondali, o è minacciato dagli iceberg, o procede lungo coste frastagliate e scogliose, che bisogna rasentare onde non accrescere le spese del nolo e non diminuire i profitti della società armatrice.
  Sarebbe d’effetto, una realistica introduzione politica raffigurante le attuali civili traversie con la tempesta da superare, con la nebbia che, malgrado il radar, richiede vigilanza autonoma e scelte decise, con la manovra per eludere il dominio degli scafi grandi e prepotenti o per non investire i minuscoli pescherecci. E allora, sarebbero affari seri per quelli che volessero confutare il parallelo fra la città racchiusa in lamiere, spinta dalle eliche e diretta dal timone, e l’arca di un’intera comunità, sollecitata da scosse interne e da esterni cavalloni, la quale necessita nondimeno di un apparato di direzione indipendente e di un libero propulsore, con cui navigare conseguendo un degno profitto, e nella più possibile sicurezza.
  È anche appropriata l’analogia tra Stato ed esercito. La funzione guerresca dell’esercito suscita diffidenze, ma lo Stato si trova in una condizione di guerra permanente. Non è forse chiamato, come ogni comunità di individui, a combattere anzitutto contro il male e contro gli errori che  permettono e fomentano la malizia?

 Piero Nicola

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