Fin da bambino
provai il fascino della Spagna. Prediligevo i film di cappa e spada nelle
calde, confacenti tonalità della Penisola Iberica, e mi dispiacevo che sui
galeoni i pirati avessero la meglio.
Mi capitò di leggere un diario di viaggio
scritto da De Amicis, che raggiungeva in treno le città: da Saragozza a Madrid
a Siviglia, dove entrava nelle tradizioni e nelle intimità. Un libro scovato in
fondo alla libreria, assai mediocre ma avvincente per il fanciullo che
supplisce con l’animo suo, che ricrea un’opera con artistica fantasia, come lo
spasimante novellino abbellisce le pecche di cui il suo adorato bene è
maculato.
Da ragazzo, mi rallegrai alla vista di un
Cristoforo Colombo e di un Cid Campeador gloriosi, nelle pellicole a colori. Mi
pungeva la spina dei contrasti da loro avuti con la Corona, e rimandavo la
ricerca dei riscontri storici chissà dove.
A scuola, mi dispiacque la severità
manzoniana avverso la boria degli intrusi dominatori.
La mia diffidenza nei riguardi dei padroni
della storia, cioè della politica e quindi dei libri di testo, mi spinse a
parteggiare per quei tali considerati sopraffattori e scostanti vanagloriosi,
che in patria si erano rovinati per aver tartassato la laboriosa e intelligente
borghesia. Simpatizzavo per i capitani dei cavalieri e dei fanti con in testa il
morione. Al pari della loro terra, avevano la doratura della gloria, che
scadeva nelle algide, metalliche atmosfere dei francesi e dei nordici.
Adulto, sarei giunto alla conclusione che
nessun popolo era stato più denigrato di quello spagnolo, col pretesto della
sua tracotanza, di aver servito all’Inquisizione, di aver bandito gli ebrei, di
aver depredato e tiranneggiato le Americhe e le Filippine. Mi dimostrassero che
c’era stata una nazione impeccabile! Mi portassero un esempio di maggior
fedeltà alla Chiesa, di resistenza alla Rivoluzione Francese e all’invasore, di
rispetto per il pregio eccellente della cavalleria e di subordinazione destinata
al mercantilismo e al liberalismo, anche nei rivolgimenti civili poi toccati allo
Stato!
Via via, con crescere dell’età, conobbi
piuttosto bene e, geograficamente, quasi per intero l’España dell’onore e dei
fasti. Non aveva niente da spartire con la grandeur
francese, con la superbia inglese, con la sorda precisione dei tedeschi e
la loro soggiacente volontà di potenza. Lo spagnolo è per natura grandioso,
aliena dall’avarizia, cordiale nei suoi rapporti con lo straniero.
Ho amato la corrida, il flamenco, la cucina
semplice, piccante e fine allo stesso tempo. Soprattutto, ho potuto apprezzare
la distanza dall’agiatezza pitocca che rattrappisce l’Occidente.
Scoprii che la Penisola Iberica è un
continente, una vasta appendice che i Pirenei dividono dall’europeo corpo
latino e germanico: separata più di quanto non avvenga per gli altri grandi
paesi tra loro confinanti.
Nel 1960 ero approdato in Andalusia da
navigante. Giovane e inesperto, avevo gustato i costumi, il territorio che si
estendeva oltre i palmeti rivieraschi aspro e forte, fatto per cose grandi, per
i destrieri e i mulini a vento. In esso, in seguito, avrei incontrato gli
adeguamenti al progresso mondiale e le nuove avulse costruzioni, tuttavia
appartenenti ad un’anima singolarmente fiera e vigorosa, che non rifugge dal
sangue, anzi vuol penetrarne l’arcano: sia religiosamente, sia in altro
modo.
Mi ero stupito che quella gente avesse potuto
degradarsi contravvenendo alla sua natura cavalleresca con atrocità e
rivoluzioni. Gente amichevole nei riguardi d’ogni forestiero, a meno che non
fosse impiccione e saccente, gente immune tanto dallo sciovinismo quanto dai
complessi di inferiorità.
Cinquantacinque anni addietro, la vita laggiù
mi fece l’effetto di una ritrovata genuinità, dell’ingenua e vitale freschezza
di sentimento, che ritenni fosse andata largamente perduta da noi, essendo
risucchiata dall’americanismo.
Nell’estate del 1969, in compagnia d’un
amico, percorsi la costa mediterranea sino a Gibilterra. Di nuovo, ma in modo
più tangibile e maturo, mi compiacqui della libertà che ha l’ordine per
genitore. Quando nel grosso dei democratici imperava lo sdegno nei confronti
della dittatura, e nelle loro vene pulsava la ripulsa per quell’organismo
coercitivo, io, turista, respirai la leggerezza della severità. Mi si allargò
il cuore nel silenzio delle diatribe faziose, della dialettica egoista,
dell’ansia di prevalere con le ideologie. Sembrava sopito il logoramento della
morale civiltà. Erano sospese le insicurezze. Vi faceva riscontro il fatto che
se, per una visita o per un pasto, mi assentavo dall’automobile magari lasciata
aperta, ero certo di ritrovarla dove l’avevo parcheggiata e senza alcuna
manomissione. Inoltre, nessuno cercò mai di farmi fesso.
La Guardia Civil presentava spesso e dovunque
la sua lucerna di vernice nera. Mi muoveva al riso il pensiero che i miei
connazionali erano ossessionati dall’idea che i tutori dell’ordine comparissero
come una minaccia di repressione. Il fastidio o il timore che provano i
delinquenti alla comparsa delle guardie, da noi si era trasferito sin nelle
viscere dei timidi timorati e delle Figlie di Maria. Questa particolare coscienza
sporca dei buoni o smania di libertà – ché non saprei come diversamente
definire l’insofferenza verso i preposti a far rispettare le leggi, per giunta
approvate democraticamente – la stramberia dei buoni cui non sorride l’usbergo costituito
da poliziotti e carabinieri, mi riportava per filo e per segno la folle
suscettibilità, la nevrosi recata dal bacillo democratico a uomini e donne proclamati
sovrani. Non mi sfiorò il pensiero che i cittadini iberici potessero sentirsi
schiacciati da Franco, o che io, trovandomi nei loro panni, avrei potuto
rimpiangere il parlamentarismo romano.
Ritornai nella Spagna martoriata dalla droga,
dalle violenze e dalle corruzioni a tradimento, agitata dalle insicurezze,
sbrigliata. La percorsi in lungo e in largo con mia moglie e, pascendoci dei
suoi patrimoni inalienabili, si aveva l’impressione che avrebbero continuato a
regnare, almeno per quanto ci riguardava.
Frattanto, si era seduto su un trono modellato
nel pattume un re del cinema che oscurava lo spirito della migliore sovranità,
poiché gli ottimati non accennavano ad arricciare il naso. Conforme
all’esuberanza del suo pubblico nostrale, egli marciò alla testa di una estrema
rivoluzione, tanto più luciferina essendo incruenta e per immagini; travolse le
recinzioni, le palizzate e gli ultimi baluardi della Chiesa autentica,
dell’hidalgo, del ritegno, dell’odio riservato ai vizi. Distruzioni soltanto?
Oh, no! Dalla fabbrica di sconquassi germinavano le piante coi pomi della
discordia e con quelli della scienza offerta dal Serpente.
L’animale da cinematografia, geniaccio qual
era, rotta mirabilmente ogni verginità, infangato il candore, dileggiata la
pudicizia, spalancate porte e portoni all’irriverenza, annichiliti i sacri
istituti coprendoli di scandalo, accarezzate le estreme fantasie di Sodoma e di
Gomorra, celebrò sullo schermo la reviviscenza dei saturnali più scabrosi e
ributtanti, in rappresentazioni realistiche, esaltate dalle operazioni della
chirurgia plastica e dai ritrovati della medicina diabolica. Mise in atto
l’estro calibrato e suadente di artista, per cui situazioni oscene e apici aberranti
penetrarono sino al cuore dello spettatore, quasi con iniezioni pressoché
indolori di quella droga che del male abolisce il concetto. Sicché il vizio
divenne viziatamente accettabile, e alla sua fonte si abbeverarono nelle più
varie maniere i narcotizzati.
Negli ultimi anni Madrid, all’avanguardia del
progressismo, ha asfaltato del bitume legislativo la strada polverulenta
rullata dal sommo regista, già battuta dall’introduzione del topless sulle
spiagge che contornano l’ardente Ovest mediterraneo e s’inseriscono tra le
severe scogliere atlantiche sino al Finis
Terrae. Sotto il sole marino, il temperamento della spagnola colse al volo
la moda facendo suo il costume più spinto. Invero, ella si comportava da
pedissequa provinciale, affatto piccola al cospetto della sua razza che tiene
in conto l’onore. Mistero infernale delle metamorfosi dal bianco al nero!
Alle corte: la Spagna mi è divenuta ingrata,
e non so immaginare quando e come avrò il piacere di riconciliarmi con lei.
Piero Nicola
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