Tutto si può concedere all'imperiosa,
incontenibile e inesorabile ideologia degli antifascisti, non la condivisione
della sentenza, che esclude dal panorama della storia, che è frequentabile
senza orrorosi brividi, la riforma corporativa progettata e tentata, con il
sostegno di Carlo Costamagna e Ugo Spirito, da Giuseppe Bottai, il geniale
organizzatore dell'incontro della modernità italiana e della democrazia classica
con la tradizione del cattolicesimo sociale.
La
soluzione corporativa dei conflitti di classe proposta da Bottaie e dagli
studiosi da lui radunati nella Normale di Pisa, fu il compimento dei progetti
elaborati da Giuseppe Toniolo e da Werner Sombart: un capolavoro
architettonico, che testimonia la presenza nella storia cattolica di un pensiero irriducibile ai
convergenti errori propalati dalla sinistra e dalla destra della modernità
La
cultura tradizionale, quantunque calunniata dagli usurai e dai loro spocchiosi
valletti e tradita da una teologia della
storia obbediente al giornalismo a stelle e strisce, rappresenta un'ideale
alternativa al liberalismo, ostinato relitto di un'era ideologica oggi
replicante, al fine di riprodurre nel nuovo secolo l'artificiale carestia del
1929.
La
cabina di comando liberale è infatti indissolubilmente associata alla
criminogena specola del pensiero malthusiano: i suoi affiliati lavorano in modo
da combinare l'incremento del progresso tecnologico con un rigoroso controllo e
a una felice depressione delle nascite.
Quando
si considerano seriamente le procedure del potere liberale si comprende che la
sconfessione del corporativismo da parte dei cattolici è l'umiliante risultato
del fuoco appiccato alla coda di paglia
di una cultura incapace di resistere, con illuminata fermezza, agli squillanti,
minacciosi ricatti di una propaganda, che non ammette alternative all'ideologia
mummificata e tuttavia fonte delle disgrazie moderne, contemporanee e future.
A dire
il vero il liberalismo tollera i predicatori di un'alternativa frusta e
patetica: la teologia della liberazione, musichetta che accompagna le illusioni
e le manfrine di una gerarchia che fossilizza la tradizione inchiodandola sulla
scena anacronistica, allestita nei primi anni Sessanta, dal machiavellismo di Nikita Kruscev e
dalle piissime fantasticherie di Giorgio La Pira.
Purtroppo
nel campo degli oppositori alla teologia della liberazione si esibiscono
studiosi d'area dotati di apprezzata intelligenza e sostenuti da robuste
letture, ma rapiti dalla manfrina liberal cattolica concepita dal pensatore
brasiliano Plinio Correa de Oliveira.
Al
numero dei manfrini appartiene, purtroppo, il dotto storico peruviano
Julio Loredo, autore di un voluminoso e documentato saggio, Teologia della
Liberazione, edito in questi giorni dall'autorevole casa Cantagalli,
editrice in Siena.
Il
curioso fine perseguito da Loredo è dimostrare che il radicale rifiuto del
capitalismo è una fobia cattolica, che produce il trasbordo inavvertito cioè
l'appiattimento del pensiero cattolico sulle
posizioni della sinistra.
Un tale
stato d'animo gregario, secondo l'opinione della scolastica pliniana, si
può contrastare riconoscendo la necessità di un'adesione dei cattolici alla
tesi di Michael Novak sul capitalismo
democratico.
Di qui
l'implicita condanna dell'opposizione condotta dal Magistero e da militanti
cattolici all'ideologia del capitalismo negli anni Venti e Trenta del xx
secolo: "Sia la predilezione per le corporazioni, sia il rifiuto del
capitalismo liberale, coincidevano (almeno in apparenza) con le simili
disposizioni di parte socialista, suscitando in alcuni ambienti del
cattolicesimo sociale una nascente simpatia per le posizioni della
sinistra".
Affermato un tale
criterio Loredo si spinge fino al punto di accusare di aperturismo un
esponente dell'ala cattolica dell'Action française, il marche René de La
Tour du Pin (1834-1924): "Illustrando la sua posizione, egli scriveva
nel 1889: Alla luce dei princìpi cui ci hanno condotto i nostri studi è facile
affermare che non c'è una dose più preponderante di materialismo nelle
rivendicazioni del socialismo rivoluzionario che in quelle dell'economia
liberale. ... Lo ribadisco ancora: non ci interessa avere o no dalla nostra parte
i conservatori e i loro lamenti moribondi".
Rimandare e avvolgere
nel sudario della sinistra cattolica la critica del capitalismo elaborata da un
illustre pensatore tradizionista quale fu La Tour du Pin è un'operazione
spericolata e depistante, che si può compiere quando si dimentica che la
condanna delle ingiustizie e degli abusi del capitalismo pronunciata dai
vescovi tedeschi ha preceduto di alcuni anni la critica di Marx e quando si
censura la formula usata da Pio XI per condannare la rivoluzione comunista:
"rimedio peggiore del male [capitalista]".
L'oblio
della dottrina sociale della Chiesa, causato e alimentato dalla letteratura
sovietica intorno al papa di Hitler, è un autoschiaffo, vibrato
dalla teologia debole in obbedienza all'urlo antifascista, uscito dalla gola
confusionaria/iniziatica del potere usuriero, per entrare nelle indifese e
incaute orecchie della destra americanizzata.
Il
pacifico e quasi festoso ricevimento di tale schiaffo è purtroppo condiviso
dalla destra e dalla sinistra della ex politica cattolica, inconsapevolmente
narcotizzata dal conformismo vibrante nel Vaticano II.
Una
luce nella fitta nebbia è accesa ultimamente dalla salutare catastrofe di
quella destra che, al fine di poter bere l'elisir liberale, ha
demonizzato il corporativismo e dilapidato l'eredità dei suoi nuovi e
coraggiosi interpreti (Ernesto Massi, Vanni Teodorani, Giano Accame, Silvio
Vitale, Silverio Bacci, Michele Di Bella, Pino Tosca, Primo Siena, Gaetano
Rasi) precipitandoli nella grottesca, illogica definizione "male
assoluto".
La
rinascita del cattolicesimo politico, pertanto, dovrebbe cominciare dalla
tabula rasa degli equivoci prodotti da una destra senza bussola e senza difese
immunitarie nonché dalla riabilitazione della corrente sociale marginalizzata
dal Msi e calunniata e liquidata dall'innominabile fondatore di An.
Piero Vassallo
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