Alcuni ricordano
di quando, intorno al 1969, certa gente del popolo, prendendo contatto col decisamente
nuovo rito della Messa, osservò che avevano loro cambiato la Religione.
Per l’eresia, non si è forse mutato il catechismo?
A furia di dialogo alla pari, di strette di mano, di baci e di inchini
reciproci con i fratelli separati, a
furia di plateali riconoscimenti ecumenici, di badare a ciò che unisce
lasciando perdere ciò che divide, e avendo un concilio messo nero su bianco che
tutte le dottrine cristiane possiedono preziosi elementi di verità (poco importa
se il loro ponte manca di selciato su alcune campate!) infine, a furia di ribattere
sul diritto alla libertà religiosa, l’eresia è scomparsa dal vocabolario
cattolico. Chi ha l’ardire di nominarla non merita nemmeno d’essere tollerato;
con lui il dialogo è fuori luogo, come è proibito dialogare con gli omofobi.
Ma, dovendosi mettere in non cale l’eresia e
lo scisma che, connessi ai dogmi, furono millenario oggetto di sentenze e condanne
di Pontefici e di Concili - eresia e scisma per forza di cose rimasti
nell’ultimo Denziger-s - perché mai dovremmo prestare ascolto – tanto meno
prestar credito – ai detti di un Bergoglio, che non si dà la pena di
formalizzare le sue posizioni in materia di fede e di costumi, che prosegue nella
liquidazione degli anatemi fulminati contro errori importanti? Egli, che si
associa ai violentatori delle stesse leggi di Natura, viscidamente sottili e
vani nel distinguere la dottrina immutabile dalla dottrina della pratica
pastorale!
Non
dico questo per convincere me stesso e rassicurarmi, ma per i cattolici che
ancora non osano confutare il maggior incurante della verità, o stanno sospesi
ai dubbi amletici.
Ciò stante, sarebbe inutile scendere nella
cronaca degli ultimi atti bergogliani. Però, si sa che le cose attuali e
fresche fresche hanno attrattiva, possono ben servire per passare dalle parole
ragionanti alla chiara semplicità dei fatti.
In questi giorni, colui che è venuto dall’altra
parte del mondo a farsi sentire dall’alto di Piazza San Pietro, ha reso visita
in terra ottomana ai capi musulmano e ortodosso. Con l’uno, nella grande
moschea ha pregato; s’intende, rivolto alla comune divinità; dall’altro,
cristiano, si è fatto benedire e baciare sopra la testa china.
La formale communicatio in sacris l’abbiamo già vista operata da Giovanni
Paolo II e successori (p.e. Benedetto XVI pregò con i protestanti nel tempio
luterano di Roma), tuttavia a noi continua a fare un certo effetto; ed è intesa
a suscitare un esito di consenso tanto fra i presunti fedeli che fra gli acattolici.
“Colui che comunica nelle cose divine con gli
eretici contro ciò che è prescritto nel can. 1250 (proibisce la partecipazione
comunque attiva alla preghiera dei dissidenti) è sospetto di eresia” (can.
2316). Qui il sospetto dev’essere addirittura di infedeltà.
Il nuovo codice del 1983 recita, pur elusivamente
e rilassatamente: “Colui che è colpevole di una communicatio in sacris vietata,
sia punito con una giusta pena” (can. 1365).
Ma Bergoglio va sul sicuro: sulla strada
tracciata e nella veste del comandante. Chi potrebbe censurarlo appellandosi al
CJC, un codice per di più sconosciuto alla massa? Democraticamente (già Wojtyla
consacrò il principio democratico) la massa ha un gran peso, il mondo ce l’ha e
si sta lavorando per lui. Se qualche prelato o un isolato Socci muovono
obiezioni, se i soliti anacronistici lefebvriani fanno i catoni, va bene: ci
vogliono pure i passatisti per mettere in rilievo la bella marcia aggiornata,
pacifica, caritatevole e progressiva!
Davanti al patriarca scismatico di
Costantinopoli, Bergoglio ha esplicitamente espresso la rinuncia al primato
petrino, dicendo che le due chiese (la romana e la greca) non devono avere l’una
sull’altra una superiore autorità, ma possono allearsi, unirsi ecumenicamente.
Però a questo tradimento rispetto al condono
dello scisma, va aggiunta l’accettazione dell’eresia. Occorre ricordare che la
dottrina ortodossa contiene punti di eresia niente affatto trascurabili. Tra
Roma e Costantinopoli c’è una notevole discordanza, soprattutto c’è il
disaccordo degli ortodossi. Sicché non si esclude che abbiamo assistito a una
commedia. Non toglie che il rinnegamento di Roma abbia avuto la sua
consumazione.
Nel nostro Simbolo Apostolico lo Spirito
Santo procede dal Padre e dal Figlio, per gli ortodossi procede soltanto dal
Padre.
Per essi l’essenza di Dio non è partecipabile
dagli eletti, ma essi partecipano di Lui mediante le sue energie increate. Dunque esisterebbero Dio-essenza e le sue divine energie.
Il Vescovo romano potrebbe avere solo un
primato d’onore, esclusa la sua universale giurisdizione.
Il peccato originale, secondo questi
scismatici, fu unicamente di Adamo ed Eva; l’umanità successiva è incolpevole,
pur essendo gravata dalla pena, che ne menoma l’efficienza. Perciò il Battesimo
non toglie il peccato originale, ma conferisce la grazia.
Pertanto essi rifiutano il dogma
dell’Immacolata Concezione. Rifiutano le statue della Madonna e dei Santi, le
apparizioni mariane.
Ricusano anche il dogma del Purgatorio e i
suffragi per i morti.
Per la Consacrazione dell’Ostia e del Vino
richiedono l’epiclesi: invocazione dello Spirito Santo; negano l’efficacia
delle sole formule “Questo è il mio corpo”, “Questo è il calice del Sangue
mio”.
Negano che il Sacrificio di Cristo valga come
riscatto per l’umanità, pur attribuendogli grazie di redenzione.
Ammettono il matrimonio dei sacerdoti.
Non riconoscono l’annullamento cattolico del
vincolo matrimoniale, ma praticano lo scioglimento.
La loro definizione di Chiesa e dei suoi
diritti presenta altresì varie differenze.
Rifiutano la validità di molti Concili
ecumenici.
Negano lo sviluppo dogmatico.
Occorre notare che, a parte la grave impugnazione
di alcuni dogmi, tutta questa discordanza comporta conseguenze che concorrono a
rendere le due religioni incompatibili.
Piero Nicola
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