In un dizionario
Garzanti degli anni ottanta – il più recente che abbia per le mani – la
definizione del piatto lo descrive
tondo o tondeggiante.
La definizione è superata. Si trovano anche
tazzine e bicchieri spigolosi. Sempre più le stoviglie in cui mangiamo o
beviamo hanno assunto una forma quadrangolare. L’aggiornamento del vocabolario
sembra l’ultima delle sollecitudini. Che gli usi cambino stupisce e inquieta i
retrogradi forsennati, ma il come è il perché del cambiamento risulta interessante
e significativo.
Tra le cause delle innovazioni hanno il
primato la necessità, l’utilità e l’estetica. Fino a prova contraria, nessuno
di questi criteri ha motivo di essere nella trasformazione del vasellame per
minestra, zuppa, pasta asciutta e pietanze, divenuto da rotondo che era a
quadrato, rettangolare o che so io. Non vi gioca alcun bisogno, anzi la
rotondità appare maggiormente pratica nella
lavastoviglie, gli angoli rubano spazio inutilmente, e la circonferenza,
l’ellissi appaiono consone alla bellezza almeno quanto un perimetro a lati e
angoli retti o acuti e ottusi, nei servizi di ceramica o di porcellana.
Per esclusione, devo rivolgermi all’interesse
venale e alla stravaganza. Di qua: costruttore e mercante escogitano il
prodotto inedito che renda gli altri consimili banali e desueti; di là: il
compratore gradisce il nuovo e rendersi aggiornato. Di qua: il vile commercio;
di là: colui che cerca l’avvivamento nelle cose insolite, nell’esotismo.
Sciocchezze, inezie? Mica tanto! Nei piccoli
dettagli scende la condizione umana; scende
non avendo trovato resistenza e di meglio nel suo corso. Dal particolare si può
risalire senza intoppo allo spirito del tempo, che permea sino nell’intimo
l’animo del consumatore maggioritario.
Le cose comuni e giornaliere recano
l’impronta della moda e dell’epoca. La moda deve cambiare, e talvolta ritorna
sui suoi passi sbiaditi dal cumulo degli anni trascorsi. L’epoca la contiene e
la regola.
La Belle
epoque ebbe il contrassegno del capriccio. Fiorami, teste di animali, anche
mascheroni e grottesche raffinate, colori lussuosi, forme umane sofisticate,
languide, evanescenti, riverberarono la loro mollezza sovente esotica, i loro
decori eccessivi sugli oggetti qualunque.
Sopravvenne la durezza spietata della Grande
Guerra, e spazzò via rudemente la decadenza. Dalle rovine sulla tabula rasa
sorse la sgomenta linearità. Per non guardare indietro e ripudiando le vecchie
lezioni del passato, l’arte non trovò di meglio che scarnificare, ridurre alla
geometria, ideare cubismi, futurismi, stili astratti; dal che seguì il
razionalismo diffuso. Parve confacente la funzionalità.
L’Italia però, a modo suo avendo ricuperato
le antiche virtù, nobilitò lo stile razionale con un attualizzato classicismo,
che improntava anche i soprammobili. L’essenzialità e il frugalità rivissero
una buona stagione.
Ciò ebbe termine sotto l’influenza
d’Oltreoceano e soprattutto con la prosperità economica. Il genuino dei costumi
parchi, piccolo borghesi e contadini, era andato avanti ancora alla bell’e
meglio per inerzia. Ma il consumismo, la sua sazia abitudine e il loro
sfruttamento coltivarono la viziosità, che negli ultimi decenni ha
caratterizzato l’intera produzione. Dal capriccio borghese del primo anteguerra,
siamo saltati nella coltura dei vizi, perdurante nella crisi sopraggiunta
cent’anni dopo.
Dai quattro classici gusti del gelato siamo
giunti ai dieci, ai venti gusti, attraverso aggiunte sempre più incredibili e,
a ben vedere, disgustose. Dai prelibati piatti tradizionali, che porgevano ai
cuochi di vaglia il banco di prova della loro raffinatezza e di una maestria
che, neanche a dirlo, operava entro le auree prescrizioni della ricetta, si è
passati alle varianti facili, alle invenzioni scriteriate di misture tanto
effimere quanto nauseabonde, alle rose di assaggi spesso male assortiti.
Soltanto una presunzione sciocca o maliziosa pretende di inventare e di far meglio,
in una cucina collaudata, affinata nei secoli, giacché gli ingredienti sono sempre
quelli. E anche quando si importano carni, legumi e verdure straniere,
bisognerebbe attenersi alle formule laggiù consolidate. Ma chi la tiene la
smania di essere scopritori, creativi, quasi creatori?
La moda, proiettata nel mero e sfizioso mai visto prima, nel falso meraviglioso,
è sfuggita alla guida, allo spirito del tempo, per il motivo che questo tempo
rimane destituito di senso e di futuro.
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