martedì 30 dicembre 2014

NON SEMPRE FUSTIGATORE? (di Piero Nicola)

Questa volta sono determinato a trovare quanto di buono e di suo nasce da questa età, e quanto essa di buono preserva e conserva. Non vorrei ancora catoneggiare.
  Do inizio all’esame cominciando da una proprietà caratteristica del presente: la scienza e la tecnica.
  In sé, questi portati del progresso - aventi origine nel passato - sono mezzi disponibili per un fine. Come tali sono soggetti alla volontà che li adopra. Tanto è vero che al loro aumento antecedente non si legò un civile miglioramento. Guerre e crisi stanno lì a darmi ragione. I mezzi accresciuti in ogni senso permisero che fossero criminose.
  Un altro esempio illumina il concetto. Se costruiamo edifici più in breve, e possiamo farli, sotto vari aspetti, migliori, possiamo anche erigerli belli o brutti, possiamo ammassarne molti sciaguratamente o distribuirli in maniera armoniosa ed ecologica sborsando più denaro.
  Ma il progresso tecnologico produce comunque salute fisica e ricchezza, e questa, bene o male distribuita, solleva gran parte d’una nazione progredita da ristrettezze e povertà. In definitiva, osserviamo questo risultato, valutandone i pro e i contro. Le crisi economiche non sono inevitabili e insuperabili. A quanto pare, gli americani riescono a sfangarsela.
  Si ritorna all’uso dei benefici. La vita fisica più sana e più lunga – nonostante i danni arrecati dai mali connessi agli agi e dai relativi incidenti – l’affrancamento da bisogni elementari e, inevitabilmente, disporre del superfluo, che cosa sortiscono?
  La vita agiata – che tuttavia comporta propri affanni e problemi – giova generalmente meno alla sua integrità, in confronto a una vita più sacrificata. Il denaro abbondante conferisce una libertà di azione non augurabile, contrariamente alle apparenze. Esso predispone a seguire impulsi, presunzioni e illusioni egoistiche, disgregatrici della famiglia e della temperanza. Ė un fatto  statistico, soprattutto quando le leggi e i costumi consentano tale andamento o lo assecondino. Il vecchio adagio è sempre valevole: la ricchezza non rende felici. Né si possono dimenticare, per il loro principio, le divine sentenze: La preoccupazione del mondo e l’inganno della ricchezza soffocano la parola [di Dio] ed essa non dà frutto (Mt. 13, 22). In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: Ė più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno dei cieli (19, 23-24). Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione (Lc. 6, 24).
  Il benessere attuale affranca oggettivamente l’uomo da certe schiavitù del bisogno fondato, e offre a molti il conquibus per ulteriori acquisti, diversi dei quali  nocivi.
  L’uomo non è un animale che, soddisfatto nelle sue necessità, situato nel suo habitat e ben pasciuto, ha raggiunto lo stato ottimo. Questo stato rimane soggetto agli abusi o alla preservazione dagli abusi, dunque alla morale, è soggetto alle soddisfazioni superiori o alle superiori insoddisfazioni, afflizioni, disperazioni.
  Lo star bene, preso in esame, dipende dalla sua stessa fabbrica, che reca un certo tasso di corruzione. Minore importanza hanno le difficoltà oggettive di conciliare le tecniche con la genuinità, insomma le conseguenze dell’immancabile difetto insinuano veleni e triboli.
  La prosperità culturale reca l’impronta delle idee, non può considerarsi avulsa da esse. Persino l’alfabetizzazione soggiace a una scuola che inculca idee.
  Possiamo riassumere. Il vantaggio acquisito con la scienza e la tecnica non è vantaggio che valga da solo per la buona esistenza complessiva. Il riscatto dall’indigenza c’è sempre stato per alcuni, e non ha dato loro la felicità desiderabile. Mentre nella vita dura, financo nelle sofferenze e privazioni del soldato al fronte, hanno potuto nascere i sentimenti felici che le trascendono, le azioni benedette che giovano al prossimo e alla patria. Le testimonianze in tal senso sono tangibili, a disdoro dei molti detrattori edonisti e materialisti. Perciò siamo inevitabilmente ricondotti in alto: allo spirito e alla sua moralità, che sovrastano e determinano tutta l’esistenza, quella agiata e quella disagiata.
  Tolti i disordini provocati della miseria, la sufficienza ha bisogno d’altro. Infatti viene imbottita con ogni sorta di imbonimenti psicologici.
  Passando dal campo dei beni materiali nel campo preminente - chiamiamolo psicologico - che cosa si rinviene nello specifico di questo tempo? Corruttela. E in quale misura, in quale ordine rispetto ai valori? Disgraziatamente compare il sottosopra: i valori risultano sottomessi. Parlo dei valori autentici, delle virtù reali, e non di quelli propagandati e spacciati facendo leva sui nostri punti deboli.
  Ma sembra che il senso della solidarietà, del sovvenire alle disgrazie e alle miserie del prossimo sia tenuto alto. Forse che l’uso della bontà promosso e finanziato dai potenti cambia il mondo da essi determinato? Dalle provvidenze non sorge la redenzione dei costumi diabolici. Ė noto che il diavolo non si rivela, e per insidiare l’uomo diviene benefattore, deve fare quello che fanno i veri benefattori.
  Possiamo astrarre dallo scopo, a patto che non si perda di vista l’insieme. Se nel fare il bene viene a mancare la coerenza, questo bene diventa altro, confonde o seduce. Se coloro cui va la  compassione e l’aiuto, avranno ricevuto soltanto un utilità e cari sentimenti, ma l’esempio edificante sarà sommerso nel complessivo cattivo esempio, non diciamo che il bene vada perduto, ma il principale resta perduto. I beneficati resteranno almeno nel fango in cui si trovino, che è lo stesso in cui i benefattori si trascinano. La bontà può essere feconda quando venga dal fango, quando vi permanga e non tenda a superarlo, quando accanto all’altruismo esprima egoismo, superbia e libidine? No. E che i vizi capitali ci siano, che non restino inattivi e inibiti, lo si vede con la comparsa del buonismo, con l’ingiustizia dell’indulgenza, che infine vuole indulgenza anche per sé, per le sue porcherie.
  Dobbiamo riconoscere l’esistenza di tale corruzione. Una dottrina sballata la coltiva, un’imperante dottrina di libertà.
   La libertà fuori della sua aurea misura sarà conculcata oppure soverchia e corruttrice. Il soverchio informa i presunti valori odierni; per esso, i precedenti sono negletti o disprezzati. Che attualmente la libertà sia distruttiva è fuor di dubbio. I valori che ne discendono sono deformati dalla loro inconsistenza, dal loro errore, dalla loro vanità. Altrimenti gli uomini salirebbero attraverso trasgressioni e egoismi, protesi a una meta solida e beata. Di questo, invece, non si vede l’ombra. La democrazia ha un nero avvenire, viaggiando sulle ruote delle libertà sbagliate. Tutti i suoi ragionamenti e argomenti recano nel midollo questa tara.
  Il caso particolare che svela il panorama: la licenza di sedurre. Essa va dall’offerta che eccita il sesso (vuoi esplicita, vuoi dissimulata), alle proposte dissipatrici voltate in leggi (divorzio, aborto, perversioni legittimate, diritto popolare di giudizio onnicomprensivo, ecc.). Il tutto fondato sulle sabbie mobili della facoltà individuale di decidere resistendo al libero adescamento, o di fare buon uso di comportamenti chiamati leciti, proficui, ristoratori e che sono l’esatto contrario.
  Meschina chimera! Miserabile vaneggiamento di chi, poi, si sbugiarda preoccupandosi della seduzione e temendola moltissimo, tanto da proibirla quando minacci il proprio interesse e il proprio privilegio, tanto da mostrare di non credere per niente alla maturità politica del popolo democratico!
  A buon intenditor…
  Prendendo le mosse dal benessere, ho dovuto passare per le sue tentazioni e per i suoi abusi. Incontrando la solidarietà benefica, ho dovuto altresì valutarne l’accompagnamento. Il bene della libertà, anima del benessere, l’ho ritrovato sul marciapiede della prostituzione, come già sapevo che ci fosse. E mi scuso di non aver saputo desistere dal restare fustigatore.

 Piero Nicola

Nessun commento:

Posta un commento