Non scende la
notte prima che nella parabola del giorno sia celebrato il dogma più balzano,
progressivo e gravido di contagiose malattie deformanti: l’uguaglianza dei
sessi. Freschi adeguamenti, che intrattengono i cervelli e li mantengono desti
– ché altrimenti potrebbero tediarsi e avviarsi da soli a un risveglio balsamico
e guaritore – giungono tendendo a una piena soddisfazione dell’indefinita,
dogmatica richiesta. Completamento via via più ubriacante, inarrestabile come
un carro in discesa col freno guasto, su cui si tiene fermo per un credo
fanatico.
Si pone dunque la necessità d’una passione -
voluta dai disgregatori professionisti – perché sia oscurata l’evidenza.
L’evidenza sarebbe alla portata degli sciocchi, e però tanto i semplici quanto
gli smaliziati appaiono talpe che hanno portato la materia grigia all’ammasso,
reso in pratica coatto.
L’evidenza canta e grida che la donna è
creatura profondamente differente dall’uomo: nel fisico, nelle sue funzioni,
del tutto in quella procreativa, e quindi nelle elaborazioni mentali, in
svariate attitudini.
L’asino può fare quello che fa il cavallo, la
mucca lavora e può sostituire il bue. Nondimeno, chi se ne servirebbe
indifferentemente, chi li metterebbe in competizione attaccati al calesse o
all’aratro? Né sarebbe venuto in mente al molitore far servire alla mancina una
mucca o uno stallone. Nessuno adibirebbe alla guardia un cane bassotto, e
nemmeno un bracco. Un babbeo metterebbe le giumente nel recinto dei tori.
Tuttora alle olimpiadi gli atleti gareggiano
separatamente dalle atlete. Ma questa distinzione non insegna nulla
all’egualitarismo, accecato e dispotico tale quale il razzismo forsennato. I
diritti all’uguaglianza immaginaria sono Furie inviolabili e tremende. Le
disattenzioni popolari si spiegano. Lo scomodarsi, il timore e la bramosia sono
sufficienti a determinarle.
“Non siamo animali” dicono i modernissimi: gli
stessi infatuati della derivazione dell’uomo dalla scimmia… “Badiamo alle
capacità intellettive più che al corpo” rispondono, ripetendo la lezione, quelli
che mirano all’equivalenza delle proprietà corporee maschili e muliebri, alla
confusione degli attributi genitali, e vagheggiano la nascita dei bambini anche
dal ventre paterno. Consentono volentieri che nella donna c’è una parte di
uomo, e nell’uomo una parte di donna, però non ammettono che si tratti di
proporzioni ben contenute per operazioni definite e distinte: pretendono che
esse siano mutevoli, mutabili sino alla loro inversione in uno stesso
individuo. Ad ogni buon conto, vogliono che la presunta potenzialità femminile
in colui che ha la parte attiva nell’amplesso e la potenzialità maschile in
colei che vi ha la parte passiva, siano tali per cui entrambi abbiano la stessa
idoneità a ricoprire gli stessi ruoli. Anime candide disposte alla perversione,
o pervertite senz’altro!
Che il criterio sia andato sotto terra, sotto
la venerazione del sofisma meraviglioso, non crea meraviglia, quando in ogni
specialità dell’esercito e nelle polizie è stato arruolato il gentil sesso, per
le medesime mansioni e carriere, con una promiscuità inutilmente perturbatrice.
Da un po’ di tempo ci inculcano che tutti
possono scegliere l’orientamento sessuale e persino gli attributi del sesso che
più loro aggrada. Pertanto il gender
è una scelta, non un destino. Che il genere (maschile, femminile o diverso)
abbia un nome inglese la dice lunga sulla nostra indipendenza culturale e non
solo.
Signore e signorine sono ammesse, ricevute
con molte scuse per il ritardo, nella pattuglia acrobatica dell’aeronautica. Ci
furono signore assi dell’aviazione. Lo sappiamo. Quando la scuola era ancora
una cosa seria, vi risonava l’avvertenza per la quale l’eccezione conferma la
regola, talché la regola era la normalità, era la norma. E, prima del tetro
appiattimento e dell’intercambiabilità sollecitata dal crepuscolo calato su di
noi, costituiva una stranezza accertabile con la demoscopia, la propensione di
una maschietta a intendersela ugualmente con i giovanotti e con le ragazze.
Hanno fatto la loro figura statisti femmina,
regine con i c… Quante? Generalmente avevano l’aspetto di virago, epiteto molto
eloquente. Come può una donna che assomiglia a un uomo rappresentare la
femminilità? Come può colei che brilla nelle prerogative del suo sesso avere
quelle virili della viragine?
Un mentecatto vagheggia e auspica che le
distinzioni sfumino in un tipo androgino. Per quanto esse si manifestano
all’esterno e, per riflesso inevitabile, interiormente, esiste una dissimile
capacità di svolgere determinate funzioni e compiti della vita, in cui torna a
rifulgere l’eccellenza dell’uno o dell’altro. Soltanto il desiderio di un
degenere livellamento può intendere una siffatta convergente assimilazione.
Il disdegno per il concetto di normalità,
l’apprezzato estendersi dell’anomalia, alla normalità fanno un baffo. Essa
vendica le offese. Poiché gli spregiatori del normale sono nel contempo
democratici che hanno in antipatia l’ordine generale - deridendomi se dico di
preferirlo al disordine e di anteporre la pulizia al sudiciume - la Natura
infila nella sregolatezza anzitutto mentale di questi individui tanto disordine
e schifo, che essi ne escono inebetiti e davvero malconci. Ed è per la forza intrinseca
dell’integrità che si può sperare nella vittoria. Essa, alla lunga, prevale. La
Storia mostra la vicenda dei popoli decaduti soppiantati da popoli maggiormente
sani. Se non ci sono barbari che premono ai confini, la salute dei primi
cristiani nati in seno all’Impero pagano debellò i dissoluti prima ancora delle
invasioni barbariche.
La prossima buona nuova sulla sacra
parificazione dei sessi verrà dal colle Quirinale con le corazziere.
Vi sovviene la regola delle quote rosa, serissimamente approvata,
oltre che da trepidanti demagoghi, da fior di giuristi? Per questo mondo
proprio non c’è futuro! Tradotte in parole povere, le quote rosa riducono a carta igienica i papiri della giustizia che
premia il merito, e sfregiano le tavole dei titoli, dei punteggi, degli esami
in base ai quali si assegnano i posti e le cariche. Non siete riuscite a
piazzarvi con le vostre forze e la vostra perizia? Ciò poco importa rispetto al
diritto di rappresentare il vostro sesso in questo o quell’esercizio delle
responsabilità.
Abbasso
il nepotismo! A morte i favoritismi largiti dietro un tornaconto! Via questo
tarlo insinuato nell’efficienza sociale! Frasi per farsi belli…
Evviva l’ingiustizia legalizzata, rivolta ad
accrescere il proprio elettorato!
Per lo meno, nepotismo, clientelismo, compera
dei voti, debbono avvenire copertamente e con qualche rischio.
I ragionevoli mi inviterebbero a ragionare.
Meschinelli: ignorano che le dosi appropriate ad un impasto, le quantità
fissate dalla ricetta entro dati limiti, sono indispensabili a farlo idoneo al
suo scopo, e che per ottenere lo scopo, per avere un organismo efficiente è
necessario che sia ben dosato. Sarebbe stupido credere che se un corpo ha i
muscoli affogati nel tessuto connettivo, e un altro, al contrario, possiede una
muscolatura prominente e prevalente su quel tessuto, ciò sia un accidente
trascurabile. E come sarebbe possibile che a un organismo congegnato per
concepire, partorire, allattare, non corrispondano un adattamento e una
consonanza di tutte le altre sue facoltà, dalle più grossolane alle più fini?
La femminilità forma la donna. Ė proposizione
lapalissiana. Nevvero? La femminilità si compone di attitudine alla maternità,
che non rampolla soltanto durante la gestazione e il primo allevamento del
figlio; si compone di particolari attrattive, di una grazia, bellezza e
gentilezza peculiari, che improntano i caratteri umani: grazia, gentilezza e
delicatezza dell’intera persona o personalità. Se questa agisce comprimendo le
sue virtù, esaltandone altre non proprio sue, non confacenti alle prime, si
snatura. Il che avviene ogni qual volta si impone di agire emulando l’essere
suo complementare, l’uomo.
Raccontiamo una balla sostenendo che lei non
si snatura imitandolo, per esempio nel lavoro, nella professione, e che,
siccome in lei possono convivere diverse nature, ella, seguendo il
comportamento mascolino, non compromette quello proprio. Lo sforzo muscolare
smodato, l’eccessiva pratica del comando, la troppa applicazione della
razionalità, dell’analisi, del raziocinio - a prescindere da una certa inettitudine
rispetto al maschio (filosofe, teologhe, pittrici, drammaturghe, compositrici
di vaglia sono mosche bianche, anche dopo l’emancipazione e decenni di pari
opportunità, mentre ci furono pregevoli scrittrici e poetesse) - sono abusi che
rompono un equilibrio con uno sviluppo improprio. Che il cervello femminino
funzioni diversamente da quello maschile è pure assodato dalla sperimentazione.
So di convincere poco i fautori di un’emancipazione
inarrestabile. Le passioni ricalcitrano. Le donne dissimulano bene, vittime
dell’orgoglio; ammettendo la diversità delle loro attitudini, avrebbero
l’impressione di dichiararsi inferiori. Arrivano a mostrarsi attente al calcio
e tifose, quantunque vi sarebbero indifferenti. Non dico tutte, ma tante:
rendendosi schiave d’un pregiudizio. E questo, benché nessun ragazzo o signore
cerchi di segnalarsi nelle attività e manifestazioni in cui alla fanciulla e all’adulta
è dato di distinguersi, non preoccupandosi costoro d’essere da meno.
Manifestazioni, ben inteso, virtuose: la pazienza, la moderazione, la
dedizione, l’abnegazione, una tal quale capacità di sintetizzare intuendo, oltre
al ricamo, alle cure e al buon gusto della casa. Ma, essendo in ribasso le
virtù come le differenze, sono neglette anche le mirabili disposizioni
dell’animo muliebre.
Le passioni chiariscono a iosa la sforzatura
con cui le figlie di Eva fanno gli uomini e rivaleggiano con essi, rinunciando
ad essere fedeli a se stesse per l’illusione di poterlo fare partitamente
grazie alla loro polivalenza, per l’impressione di non rimetterci, di non
rinunciare a nulla. Le promozioni dei prodotti commerciali magnificano la
libertà della giovane d’essere quella che desidera, tutte le donne che vuole.
La versatilità del bel sesso, unita alla sua vena di atteggiarsi e recitare,
trae facilmente in inganno: essa ha confini che non vanno oltrepassati. E mi
riferisco a conseguenze nell’indole prima, non ancora alle ricadute morali.
La spiegazione dello sconfinamento abituale
verrebbe troppo facile deducendo che il sesso debole si è snaturato essendosi
snaturato quello forte, che ha smesso di tenere alto il suo ruolo. C’è molto
altro.
Mi rifaccio dalle suffragette, dai moventi di
chi si cimenta e ambisce ad affermarsi al di là delle sue doti e delle sue
forze. Essi sono comuni nel genere umano. La spinta si deve all’amor proprio, a
invidia, avarizia, a questi vizi capitali. La velleità sta acquattata e pronta
nell’intimo di ciascuno. Insoddisfatti della propria condizione, eccoci preda
della vanità, che porta a voler essere maggiori di quello che siamo, per cui
rinunciamo ad essere noi stessi. Cedendo al peccato e viziandosi, l’uomo non si
contenta, non trova il cibo immateriale al di fuori dei suoi eccessi. Quando il
mondo gli porge i dolciumi ben poco immateriali, egli vi si butta sopra
voracemente.
Così, dal momento che alla donna è dato di
fare l’uomo, e fare la donna non le basta essendoci riuscita in modo
insoddisfacente per difetto di virtù e di condizioni favorevoli, essa si
impegna, si accanisce a uguagliare il suo complemento
in ciò che egli compie e raggiunge per innata dotazione; sembra persino che lo
superi, recando, nella sua costanza, le malizie e le intuizioni che le sono
connaturate, che in un mondo effeminato hanno successo.
Non le è bastato nemmeno essere desiderabile
e desiderata. Il progetto d’essere madre, di accasarsi diventando padrona nelle
mura domestiche, tra i suoi ninnoli, le sue piante, i gioielli e i generi di
abbigliamento, questo disegno dapprima l’impaurisce, vi premette gli eccitanti
divertimenti, il lavoro, una vita sessuale quasi maschile. Ma quando ha
concretato il progetto, si trova da capo. Ė dura, specialmente con gli
specchietti per le allodole che stanno in giro, è durissima riuscire in quell’antica
missione, intera o attenuata, spartita con un marito presto e sempre più
difettoso. Per farsela andar bene, bisogna spaziare, progredire, evadere, pur tenendosi
la conquista conseguita con la casa.
Quando una non si contenta di quello che ha,
non le saranno sufficienti né il poco né il molto. Allora si persuade di poter
riuscire in ogni sua inclinazione, ma d’essere impedita specie dall’esterno,
defraudata nei suoi diritti; è certa di dover lottare per avere quanto le
spetta e dimostrare la sua validità. Strano che per millenni non abbia trovato
il vigore con cui imporsi, che soltanto adesso lo esplichi.
Le cose stanno così: tanto più la donna si
conduce da quello che non è, tanto più si dissipa e rovina famiglia e società.
Intervenendo la seconda legge delle
conseguenze, dopo la legge per cui le forzature delle attitudini producono una menomazione
intrinseca, si tratta di fuggire le occasioni
prossime del peccato. I positivisti dovranno ammettere che la Chiesa non le
paventò a sproposito. Vogliamo chiamare il peccato un errore, di noi soggetti a
sbagliare? Compaiono gli effetti indesiderabili di sbagli e cedimenti. Siamo
influenzabili dalle circostanze, e compaiono le circostanze che inducono a
fuorviarci.
Ora la donna è un boccone molto ghiotto. Un
boccone, se così si può dire, suscettibile di voler essere mangiato,
addirittura di innamorarsi del mangiatore con cui spartisce ore lavorative, e
che avrebbe potuto restare un estraneo. Anch’egli può essere preso d’una data
pietanza, che non è il solito pasto. Situazione consueta, inutile
nasconderselo. Se i due non stessero lunghe ore insieme, mancherebbero le occasioni. Diversamente, messo il
bocconcino tra gli affamati, per virtuoso che esso sia, per onesti che siano
loro, le complicazioni non mancheranno. Ne derivano famiglie disfatte, prole
inadattabile alla risistemazione.
Concludendo con l’impegno esterno della donna - che deve operare
anche all’interno e provvede ai figli
in modo speciale - esso forma un onere gravoso che costringe a trascurare le
creature uscite dal suo seno. Invece la filosofia che va per la maggiore
sollecita la poverina a mettersi alla prova, a trovare tempo e energie per non
lasciarsi sfuggire qualsiasi personale realizzazione.
Esulando dalla nostra morale religiosa –
intendo quella autentica, predicata e in vigore fino a sessant’anni fa – e
andando ad attingere altrove, alle filosofie consacrate dell’Oriente, dovremmo dirle
altrettanto vane quando parlano della brama, mai sazia e bestiale, che andrebbe
distrutta e da cui solo i monaci riescono ad affrancarsi, o quando consigliano
di stare attenti a mettersi in grado di agire con la facilità propiziata dalla
modestia. Infatti non c’è chi tenga in soda considerazione la saggezza di Budda
o di Confucio. La brama si estende ovunque, e nella donna sedotta dalle sue
possibilità, da chi le decanta, provoca metamorfosi inconfondibili ed esiti
singolarmente gravi. Tra questi va ricordata l’indegna e traumatica
manipolazione della funzione procreativa e dei suoi frutti. Sintetizzo così non
scendendo nel dettaglio degli espedienti anticoncezionali, abortivi, di
concepimento e gestazione, e dei loro rimorsi. Essi dipendono assai dalla
cosiddetta facoltà delle interessate di disporre di sé, che, se fosse buona,
non violenterebbe la predisposizione a concepire la vita e non l’ucciderebbe.
Gli uomini si sono indotti a considerare precarie
le unioni destinate a durare e a essere preservate dalla lesione dei
tradimenti. Porte aperte a uomini e donne. Li tiene vivi sentirsi liberi da un
vincolo perenne, l’evenienza d’essere eccitati e messi in condizione di fare esperienze
imprevedibili, gustosissime, di imbattersi nella scarpa davvero adatta al loro
piede, di potersi levare quella che vada loro stretta. Quand’anche debba dolere
nel loro intimo la piaga di tale instabilità, non osano desiderarne
l’abolizione e rinunciare al fatidico progresso, che ne verrebbe coinvolto
irrimediabilmente.
Le donne, poi, maggiormente tradiscono,
tradendo il loro essere conservatore.
Piero Nicola
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