Il Signore
perdonerà per l’immagine di San Francesco d’Assisi oggi offerta ai fedeli? Ciò
appare impossibile senza ravvedimento e penitenza. Il Santo fu ben altro,
testimoniò ben altro da quello che si vuol far credere.
Colui che si fece poverello mistico e ricevette
il sacro sigillo delle stimmate, volle per i suoi Frati minori (volontariamente
umili) una Regola che, oltre ai tre voti canonici comuni agli Istituti di
perfezione, prescrivesse sia l’assoluta povertà e la questua per supplire al
difetto dei proventi procacciati con il lavoro, sia l’apostolato, consistente
in opere di carità che includevano la cura della fede e delle conversioni;
ossia tanto le opere di misericordia corporali che quelle spirituali. I frati
che ne avessero avuto l’attitudine, dovevano accettare di votarsi alla missione
evangelizzatrice presso eretici e infedeli. Egli così concepiva la completa
attuazione dell’insegnamento e del mandato di Gesù Cristo.
Il suo Ordine monastico mise in pratica la Regola,
approvata da papa Innocenzo III. Sebbene per sua natura San Francesco fosse
portato alla penitenza più cruda, alla mistica contemplazione, per ben tre
volte intraprese viaggi le cui mete erano in terra musulmana, dove avrebbe
recato il verbo divino e assolto la missione commessa da Nostro Signore.
Una prima volta, nel 1212, la nave che lo
portava in Siria naufragò sulle coste della Dalmazia. Negli anni seguenti si
recò nella Spagna occupata dai Mori, ma un’infermità lo costrinse a far
ritorno. Nel 1219 raggiunse l'Egitto, e vi incontrò il Soldano (al-Malik
al-Kamil) con il preciso intento di
convertirlo. Non vi riuscì; tuttavia ottenne da lui la licenza di
illustrare il Vangelo nei suoi domini.
I monaci col saio inviati in Spagna vennero
arrestati, condannati a morte e graziati. Nel 1220, il Fondatore li mandò in
Marocco. Ne conosciamo i nomi: Bernardo, Pietro, Accursio, Adinto, Ottone.
Catturati mentre predicavano, furono flagellati e decapitati il 16 gennaio. I
loro corpi traslati in Portogallo, contribuirono a suscitare la vocazione
francescana di Antonio, dotto canonico regolare di Sant’Agostino, in breve
entrato nell’Ordine serafico. Anche Antonio partì per il Marocco e avrebbe
seguito le orme dei protomartiri francescani, se una malattia non l’avesse
obbligato a imbarcarsi. Durante la traversata il veliero finì per approdare in
Sicilia. Di là, egli raggiunse la Porziuncola e conobbe il suo restauratore (1221).
Questi lo istituì maestro di teologia. Quindi, dispose che il futuro
Sant’Antonio da Padova andasse in Francia a contrastare l’eresia dei Catari.
Come il pastore non mercenario della Scrittura, egli si preoccupava delle
pecorelle (non ancora modernissime e in grado di badare a se stesse…) avendo incaricando
Antonio di difenderle dall’errore quanto mai contagioso e mortifero.
In seguito, l'ideatore del Presepe (composto
a Greccio nel 1223, con autorizzazione di papa Onorio III) perfezionò la Regola
secondo le esigenze tuttavia umane, fu sempre attento al buon governo dei
monasteri, fondò quello delle Clarisse.
Tutti questi fatti dimostrano che il figlio
del ricco mercante Pietro di Bernardone, rinunciando al suo stato di guerriero e
al mondo, non fu rivoluzionario della società, né un quietista ante litteram, né un pacifista
dialogante col solo risultato di scandalizzare o, peggio ancora, di persuadere
della falsa dottrina per la quale il dialogo non deve essere diretto a fare
proseliti, ma deve riconoscere la pari dignità degl’interlocutori, qualunque
falsità professino come erranti, e deve, perciò, transigere in materia di
verità, di giustizia, di diritti di Dio.
Quand’anche bisognasse ammettere che sia
scomparsa l’attitudine al martirio, non si giustifica l’annullamento del
decreto divino: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni
creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà
condannato” (Mc 16, 15-16). Si diventa apostati, allorché per evitare la
persecuzione e illudersi su facili vie di salvezza si tradisce il Messia.
Infatti: “Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc 6, 26).
Il Santo della fraternità universale – per
nulla egualitaria e incondizionata (fratello dei lupi, che però, restando
ribelli, meritano il castigo) - riconobbe semplicemente il valore delle doti e
delle inclinazioni umane nell’ambito della fede, ricusò l’indulgenza verso gli
erranti ostinati e combatté la peste delle eresie, rendendo ampio ossequio alla
legge del Vangelo, al Re Salvatore (il quale accusa pubblicamente i cattivi
maestri e rovescia i banchi dei mercanti nel Tempio), alla Chiesa e alla Tradizione
cattolica di sempre.
Piero Nicola
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